A Boston, un boss della malavita crea seri problemi alla polizia di stato,che decide di infiltrare un uomo nella sua banda per riuscire a incastrarlo. Ma ben presto diviene chiaro che il boss ha a sua volta un infiltrato all’interno della polizia. Tra le due spie comincia così una complessa e mortale partita in cui ognuno dei due cerca di individuare l’altro senza farsi scoprire a sua volta.
Questa volta Scorsese ha moderato le ambizioni e, invece di puntare al capolavoro (che gli sfugge ormai da una decina d’anni, come nel caso del grandioso ma malriuscito Gangs of New York), si è dedicato al remake di un noir di Hong Kong di grande successo ma inedito in Italia, Infernal Affairs. Quando è all’opera un grande del cinema come lui, che conosce tutti i trucchi per tenere desta l’attenzione dello spettatore, sappiamo già che ci condurrà anche attraverso una trama decisamente complicata senza mai farci perdere il filo o lasciar calare la tensione. Molti hanno gridato al ritorno del regista alla sua vena migliore, ma io rimango decisamente più freddo: il film è intrigante, appassionante fin quasi alla fine, ma a conti fatti manca il bersaglio e rimane per molti versi irrisolto.
Scorsese, nonostante il sottotitolo dell’opera sia “il bene e il male” si rifiutar di seguire la strada dell’originale in cui bene e male si mescolavano sino a confondersi. Qui il poliziotto rimane un buono, e il mafioso rimane fino in fondo un bastardo. Il problema è che allora non si capisce dove il film voglia andare a parare. A un certo punto sembra che voglia addirittura buttarla in politica, e che tutto sia una metafora dell’America post-11-settembre dove tutti spiano tutti, ma anche questo debole tentativo resta sulla carta.
L’errore più grave è però quello di avere introdotto nella trama il personaggio di Mark Wahlberg. Non solo è caratterizzato in maniera risibile (si esprime unicamente via insulti e turpiloquio), ma, essendo a conoscenza dell’identità dell’infiltrato “buono”, costringe la sceneggiatura a una serie di mosse arzigogolate e poco credibili per fare in modo che il poliziotto infiltrato non si rivolga a lui. Salvo poi farlo intervenire all’ultimo momento per impedire che i “cattivi” vincano del tutto, in un finale del tutto privo di senso dove sceneggiatura e logica si squagliano come neve al sole. Peccato, perché fin quasi alla fine il film reggeva.
Per quanto riguarda gli attori, Di Caprio se la cava dignitosamente nel ruolo di protagonista, Jack Nicholson fa il solito personaggio gigionescamente luciferino già visto mille volte, ma se non altro lo fa bene. Pessimo invece Matt Damon, che mantiene per tutto il film la stessa faccia da poker. Inizialmente può anche andare d’accordo con l’impenetrabilità dell’infiltrato, ma alla lunga diventa pura inespressività.
La conclusione potete immaginarla: uno Scorsese si vede sempre volentieri, ma non ci siamo.