Parigi, 1930. Hugo è un orfano che vive nei cunicoli della stazione Montparnasse di Parigi, dove mantiene in funzione gli orologi sostituendosi allo zio, un ubriacone scomparso da tempo. Il suo scopo nella vita è rimettere in funzione un automa scrivano lasciatogli in eredità dal padre, convinto che ciò che scriverà sarà un messaggio destinato a lui.
Questo è un film che aspettavamo un po’ tutti al varco: quello in cui a cimentarsi col 3D non è uno specialista di film d’azione come Cameron e Spielberg, non è un oscuro mestierante alla ricerca del blockbuster, ma un vero e riconosciuto Autore. Certo, il fatto che abbia scelto una sceneggiatura tratta da un oscuro romanzo per ragazzi faceva sorgere qualche perplessità, che non si è del tutto dissipata con la visione.
Funziona davvero il 3D d’autore? A mio avviso sì, ma non del tutto. La regia di Hugo Cabret è talmente inventiva e spettacolare da giustificare da sola la visione del film. In alcune scene (per esempio quella in cui Hugo rischia di essere travolto dal treno) la tridimensionalità viene sfruttata alla perfezione e dà veramente la sensazione di essere trascinati “dentro” lo schermo. In generale, Scorsese ha un utilizzo molto “reale” del 3D, lo usa non solo per vertiginose prospettive ma per immergerti in masse di folla o di nebbia, oppure per esplicitare la metafora sottintesa al film, in cui tutto quanto, da Parigi fino al poliziotto che lo minaccia, non è che un colossale meccanismo al quale il protagonista si sforza di dare un senso e uno scopo. E tuttavia non ho potuto a volte evitare la sensazione che il tutto fosse un po’ troppo artificioso e insistito, e che senza 3D si sarebbe potuto realizzare un film altrettanto coinvolgente.
Al di là del 3D, Hugo Cabret è comunque un film tutto da guardare, con ottimi interpreti (il giovane protagonista, ma anche un impeccabile Sacha Baron Coen nella parte del poliziotto), splendidi costumi e scenografie, un sentito e coinvolgente omaggio al cinema muto, e tantissimi piccoli dettagli realizzati con cura maniacale anche dove il pubblico probabilmente non li noterà (quanti, per esempio, si saranno accorti del James Joyce inquadrato per un istante tra i frequentatori di un caffè parigino, o il fatto che il chitarrista che vi suona sia Django Reinhardt?).
Tuttavia credo che Hugo Cabret si fermi un passo prima di essere davvero un grande film, e che questo sia dovuto soprattutto alla sceneggiatura. La storia, infatti, somiglia molto a un pretesto per permettere a Scorsese di parlare del cinema di Méliès, e per il resto è inutlmente arzigogolata, con personaggi privi di spessore, troppo infantile per risultare credibile a un adulto e troppo adulta per interessare davvero un bambino. Ne consiglio comunque la visione, perché è un grande spettacolo, ma non è tra i capolavori cui il regista italoamericano ci ha abituato.
Interessante recensione di un film che non mi convince “a pelle” e che non penso che andrò a vedere. La diffonderò. 😉
Concordo, questo non è un grande film, e da appassionata di Scorsese sono uscita dal cinema davvero delusa. C’è da dire che, avendolo visto in 2D e doppiato in francese (doppiaggio non all’altezza), probabilmente ho perso qualcosa.
Io non posso dire di essere rimasto deluso, perché mi aspettavo poco. Comunque è un film che si può ammirare ma non coinvolge.
P.S.: Ciao Silvia, son contento che mi leggi!