Dal mitragliatore di David al baffo della Gioconda


Dopo che L’Espresso ha portato a conoscenza degli italiani la campagna pubblicitaria di ArmaLite, in cui il David di Michelangelo imbraccia un fucile mitragliatore definito “un’opera d’arte”, si sono moltiplicate le reazioni negative. Dalla soprintendenza di Firenze fino al neoministro dei Beni Culturali, tutti a dire che la campagna è un illecito, deve cessare immediatamente, è un insulto all’opera, richiederebbe un colossale risarcimento.
Premetto che sono contrario alla vendita di armi ai privati e al culto del fucile, e quindi non provo simpatia per l’azienda in questione (anche se devo dire che l’immagine pubblicitaria è indubbiamente efficace). Trovo però fastidiosamente velleitarie certe prese di posizione. La legge Ronchey, che impone la richiesta di una concessione a pagamento per la riproduzione di beni culturali, è una legge puramente italiana che non ha alcun corrispettivo internazionale. Si può quindi escludere di poterla fare applicare sul territorio statunitense. Tante roboanti dichiarazioni ottengono quindi il solo risultato di dare ulteriore risonanza alla campagna, magari col rischio di incitare altre aziende a fare la stessa cosa.
Al di là delle questioni legali, tuttavia, io mi chiedo se tale scandalo sia realmente giustificato. Quando l’assessore fiorentino alla cultura Givone dichiara: “Quella pubblicità rappresenta un oltraggio forte. È un atto di violenza nei confronti della scultura: come prenderla a martellate e forse, anzi, persino peggio.”, io mi chiedo se abbia la stessa opinione anche dell’opera L.H.O.O.Q., in cui Marcel Duchamp sbeffeggiava la Gioconda di Leonardo disegnandole i baffi. Il David e la Gioconda sono due opere coeve, e Michelangelo e Leonardo due tra i massimi artisti mai vissuti. I casi sono due: o riprodurre l’opera d’arte di un maestro modificandola per cambiarle il senso è un crimine, e allora Duchamp andrebbe tolto dai musei e considerato un criminale; oppure Duchamp resta un grande artista, e allora scandalizzarsi se un pubblicitario ripercorre le sue orme un secolo dopo ha ben poco senso.
Io penso in primo luogo che questo modo di tutelare le opere d’arte, sia pure benintenzionato, sia fuori dal tempo. Viviamo in un mondo in cui chiunque può. in casa propria, procurarsi una copia digitale di qualità di un’opera d’arte, modificarla e diffonderla in rete rendendola disponibile a tutto il mondo. In una situazione in cui persino l’agenzia Getty Images rinuncia a tutelare con il copyright la sua collezione di scatti, pensare di poter sottoporre la riproduzione dei beni culturali a burocratiche autorizzazioni è semplicemente irrealistico. Se l’obiettivo è quello di procurare introiti da destinare alla tutela delle opere, sarà meglio trovare un altro metodo più consono alla modernità.
Se invece il punto è quello di tutelare la sacralità delle opere d’arte, io penso senza mezzi termini che sia un’intenzione sbagliata. Dopo cinquecento anni, credo che il David sia patrimonio di tutta l’umanità. E con questo intendo che ogni persona ha il diritto di farne l’uso che preferisce, incluso quello di sbeffeggiarlo, travisarlo e usarlo per scopi triviali. L’idea che un gruppo di studiosi e/o burocrati abbia il potere di stabilire quale sia il “giusto” uso dell’immagine di un’opera mi pare decrepita e reazionaria, e non credo faccia un buon servizio all’arte, che non ha bisogno di paternalismi per affermarsi.
Mi piacerebbe che questo episodio fosse l’occasione per ripensare alla politica dei diritti di riproduciblità. E per chiedersi se all’Europa convenga seguire gli Stati Uniti nella politica secondo cui anche dopo decenni o secoli la riproduzione di opere di ingegno deve essere sottoposta a infiniti vincoli, autorizzazioni e pagamenti. O se non sarebbe culturalmente molto più sano lasciare che, passato un tempo ragionevole, le opere potessero diffondersi liberamente tra la gente, e fecondarsi a vicenda senza controllo e in modo imprevedibile. Mi piacerebbe, ma ho idea che non succederà.

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