In questi giorni ho ricevuto da numerosi amici e conoscenti la richiesta di firmare un referendum cosiddetto “anticasta”, per abrogare l’indennità di rimborso spese dei parlamentari e togliere così un po’ di soldi a deputati e senatori.
Devo dire che già a prima vista questo referendum non mi ha convinto. È pacifico che i nostri parlamentari guadagnino troppo e rendano troppo poco. Tuttavia non credo che tagliargli lo stipendio sia una delle priorità del nostro Paese. L’entità delle cifre in gioco sembra grande, ma in realtà è quasi trascurabile sul piano del bilancio dello Stato (solo l’organizzazione del referendum si porterebbe via quasi tutto il risparmio di un anno). E credo che non apporterebbe alcun beneficio sul piano della moralizzazione del Parlamento, che è il vero obiettivo che andrebbe perseguito. Insomma, mi pare una di quelle cause dal consenso facile (chi può essere contrario, a parte i parlamentari stessi?) ma di dubbia utilità, che distolgono la gente dai problemi più urgenti ma meno semplici.
Ha contribuito alla mia diffidenza il fatto che a promuovere il referendum non siano comitati di cittadini, ma un partitino appena nato creato da alcuni politici di secondo piano transfughi dell’UDC. E ancora di più che costoro si dichiarino vittime di un boicottaggio mediatico, quando in realtà per promuovere il referendum hanno fatto davvero poco.
Per togliermi qualunque dubbio sui veri scopi di questo referendum, però, è bastato fare alcune considerazioni:
- Le norme vigenti (cioè la legge n. 352 del 1970 che disciplina le consultazioni referendarie) impediscono di presentare proposte di referendum a partire da un anno prima della scadenza naturale di una legislatura e fino a sei mesi dopo le elezioni.
- Le stesse norme impediscono di presentare proposte di referendum negli ultimi tre mesi dell’anno.
- Dato che la legislatura corrente finirà nell’aprile 2013, salvo anticipi, ne consegue che non sarà possibile depositare le firme per un referendum fino al gennaio 2014.
- Per allora le firme saranno carta straccia, dato che vanno raccolte nei tre mesi precedenti il deposito, e non si possono “congelare” in attesa della riapertura dei termini.
Posti di fronte a questo problema, i promotori del referendum hanno risposto che la legge 352/1970 sarebbe incostituzionale. Una pretesa ridicola, dato che è in vigore da 42 anni. Tra l’altro esiste già almeno un precedente: si pose lo stesso problema per le firme raccolte dai seguaci di Beppe Grillo nel 2008 (e infatti quei referendum non si sono mai tenuti, nonostante l’enorme quantità di firme raccolte; particolare che i tanti che allora parteciparono al “Vaffa-day” dovrebbero tenere a mente, prima di accodarsi alla prossima manifestazione indetta da Grillo).
Perché si raccolgono firme per referendum che non si potranno mai realizzare? Una prima ipotesi è la totale incompetenza dei promotori. Che potrebbe essere plausibile, però a mio avviso non quanto un’altra ipotesi, e cioè che questi referendum servano a farsi pubblicità e a raccogliere soldi senza rischi. Ci si presenta come eroi anticasta, ci si fa conoscere, si raccolgono nominativi, iscrizioni e contributi volontari, e se si raggiunge il quorum si ricevono anche dallo Stato 0,52 euro per ogni firma come rimborso spese. Poi il referendum non si tiene, ma è meglio così: ci si può atteggiare a vittime di un complotto politico-legale, e si evita che si possa scoprire che le conseguenze pratiche del referendum proposto non sono poi così buone come si voleva far credere.
Insomma, io la mia firma sotto questo referendum non la metterò, e consiglio a chiunque di evitare di farlo.