Libro: Il giovane sbirro

Il Giovane SbirroGià il primo libro di Biondillo, Per cosa si uccide, mi era piaciuto: basterebbe il personaggio di Ferraro, uno dei poliziotti più umani e autentici della nostra letteratura gialla, a giustificarne la lettura. Ancora meglio il successivo Con la morte nel cuore, che espandeil personaggio di Ferraro e lo porta a nuove vette, grazie a una scrittura capace di autentici pezzi di bravura (la scena del suicidio della sveglia è giustamente famosa). Ma quello che mi è piaciuto di più è Per sempre giovane, che non è un giallo e sembra non avere niente a che fare con Ferraro (ma poi si scopre che non è del tutto vero), ed è invece la storia di un gruppo rock femminile negli anni ’80. Mi ci sono veramente immedesimato, perché è tutto autentico: ho rivissuto le atmosfere degli assurdi localini come il Magia Music meeting, sul cui minuscolo palco le band si accalcavano per avere la sospirata occasione di suonare in pubblico, tutte cose che ho vissuto ed erano proprio come lui le descrive. mi sono innamorato di tutte e quattro le musiciste e mi sono commosso.
Adeso è uscito Il giovane sbirro, che comincia poco dopo Per sempre giovane, con un Ferraro ventenne che decide di entrare in Polizia, e finisce con Ferraro che si separa dalla moglie, pronto a entrare in quel periodo di depressione in cui lo troviamo all’inizio di Per cosa si uccide. In un certo senso, quindi, il libro definitivo su Ferraro, quello che spiega tutto, che lo definisce. Ma è davvero così?
L’inizio, diciamolo, è splendido. Quando parla di musica, Biondillo mi rapisce. Sarà perché ha solo un anno meno di me, e abbiamo ambedue passato la prima giovinezza a Milano, ma lui ed io vediamo le cose esattamente nello stesso modo. E nella disamina di Lucio Battisti che Biondillo inserisce tra un capitolo e l’altro io mi riconosco totalmente.
Anche il finale è molto bello. Sappiamo già come sono andate le cose, perché ce lo ha raccontato nei libri precedenti. Eppure non si può fare a meno di soffrire con Ferraro: Biondillo ha descritto con efficacia l’ineluttabilità con cui una rleazione si sfascia, senza che nessuno dei due lo voglia.
Quello che c’è in mezzo… ecco, purtroppo quello che c’è in mezzo non è altrettanto soddisfacente. Soprattutto perché non è quello che ci aspetteremmo. Tra questo inizio e questo finale, infatti, ci vorrebbe una solida trama che ci tenesse avvinti e ci costringesse a voltare le pagine una dopo l’altra. Biondillo, invece, ci ha messo dieci racconti, con un undicesimo racconto intercalato "a fette", a fare da fil rouge per mantenere almeno un po’ di tensione verso il finale. Bisogna poi aggiungere che non tutti i racconti sono pertinenti (per esempio, in Rosso, denso e vischioso e in Modello 1928 la presenza di Ferraro è piuttosto ininfulente, e in La gita lo si vede appena).Lo stile dei racconti, poi, è disomogeneo. Si va dall’usuale stile biondilliano fino a cose come Strategie, che sembra quasi un pezzo di Ammaniti. Infine, bisogna dire che non tutti i racconti sono del tutto riusciti. La gita, per esempio, è poco più che un abbozzo, e La signora in rosa è legnoso e poco sviluppato. Molti sono troppo brevi: le storie avrebbero ottime potenzialità anche come base di romanzi interi, ma Biondillo le stronca sul nascere, ti fornisce la soluzione dopo poche pagine e passa oltre.
Con questo non voglio dire che il libro sia scritto male o che la lettura sia noiosa. Al contrario. Biondillo scrive sempre benissimo (forse è l’unico italiano che può usare gaddismi come tintotricotico senza apparire affettato), le idee gialle sono tutte buone, alcune ottime. E gli appassionati di Ferraro possono godere di tante piccole chicche disseminate in tutto il romanzo: dal primo incontro con l’ispettore Lanza a quello con il vicecomissario De Matteis, e tanti momenti che contrivuiscono a fare di Ferraro un personaggio indimenticabile. Se vi sono poiaciuti i libri precedenti, potete tranquillamente acquistare anche questo. Però la sensazione dell’occasione in parte sprecata, del libro che sarebbe potuto essere migliore, permane.

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La pippa è manuale, il ditalino è digitale

CDDa un po’ di tempo a questa parte si parla di "musica digitale" come sinonima di audio e video scaricabili da Internet. La cosa è avallata addirittura dall’autorevole (?) FIMI, l’associazione dei discografici italiani, in un documento che è la traduzione di un’ancor più autorevole ricerca condotta dall’IFPI (l’analoga organizzazione a livello mondiale. In questi documenti si parla di "digitalizzare" i brani musicali nel senso di produrre file in formato compresso scaricabili via internet; si parla di album "solo digitali" intendendo disponibili unicamente sul web e non venduti nei negozi. E così via. Le riviste musicali si sono già adeguate, e utilizzano la stessa terminologia.
Ora, per favore, qualcuno vorrebbe spiegare a tutta questa gente che non c’è niente di più digitale di un banalissimo CD venduto nei negozi senza passare per Internet? Possibile che chi ha a che fare col marketing non sia capace di usare un termine con un minimo di proprietà? E possibile che poi tutti gli vadano dietro?

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Webcomic: Fumetti Pallosi

Titolo e link: Fumetti Pallosi
Lingua: Italiano
Tipologia: Comico (palloso)
Formato: Strip di due vignette
Colore o b/n: Bianco e nero o a colori
Cadenza: Irregolare
Continuità: Storie singole, con tormentoni anche a lunga distanza di tempo
Gergalità: Nessuna
Elementi fantastici: Qualcuno
Violenza: Inesistente
Autoreferenzialità: L’autore è apparso in alcune occasioni
Archivio: L’intero corpo del fumetto è disponibile online
Giudizio: (8)

Quando ho incontrato per la prima volta Fumetti Pallosi, ho pensato: “questo fumetto può far ridere solo una persona dall’umorismo deviato come me”. Ma in realtà diversi frequentatori di questo blog mi hanno detto di aver cliccato sul link qui a lato (sì, perché Fumetti Pallosi è ospitato da un blog su Live Journal) e di essersi fatti delle gran risate. Quindi, evidentemente, c’è un meccanismo per cui fa ridere, anche se non è facile capire perché. Credo che da principio si rida di se stessi: siamo stai avvertiti che il fumetto è palloso, eppure non possiamo fare a meno, leggendo la prima vignetta, di crearci delle aspettative che vengono inesorabilmente deluse dalla seconda.  Successivamente si ride per l’effetto ripetizione: una gag che ci ha fatto sorridere, ripetuta in continue variazioni fa ridere sempre di più. infine subentra un umorismo più esoterico: ci si diverte vedendo i personaggi ritornare, cercando di derivare delle leggi intrinseche alla pallosità. Nel farlo ci si scopre pallosi, si ride di nuovo di se stessi, e il ciclo ricomincia. Come avete detto? Questa recensione è pallosa? Allora ho raggiunto lo scopo. Che state a fare qui? Andate a leggere fumetti pallosi, che tanto…

P.S.: In mezzo ai Fumetti Pallosi trovate anche i Deadly Stupid Tales, allegri fumetti che hanno come protagonista la Morte.

Esempio   Esempio   Esempio

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Son tornate a fiorire le petunie

petuniaRiceviamo e volentieri pubblichiamo:

Son tornate a fiorire le… rose.
Adesso ThePetunias’ è punto It.
Anche la mail.

Era ora! Bentornato Roberto! 

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Qual è l'originale?

vanamondeÈ ufficiale: sono entrato a far parte dell’universo dei fumetti. L’evento è avvenuto l’altro ieri, all’interno di Girl Genius, come testimonia la vignetta qui accanto. Ora mi chiedo: dovrei radermi e ossigenarmi il ciuffo per adeguarmi al mio doppio fumettistico?

Scherzi a parte: mi piacerebbe molto pensare che Phil e Kaja abbiano battezzato il personaggio dopo aver visto il mio blog, che ho portato alla loro attenzione due mesi fa segnalando loro che li avevo linkati (e ricevendo in premio un meraviglioso sfondo per il desktop). D’altra parte, ho la sensazione che le sceneggiature vengano scritte molti mesi prima che il fumetto appaia online. Ho scritto loro per avere conferma o smentita, ma ancora non hanno risposto. Vi terrò aggiornati.

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E' la stampa, bruttezza

carta stracciaNei giorni scorsi ho votato per il rinnovo degli organi dell’Ordine dei Giornalisti. Devo dire che l’esperienza è stata da incubo. Mi aspettavo una cosa tranquilla, invece ho incontrato un atmosfera da repubblica delle banane.
Cominciamo col dire che ha votato meno di uno su venti tra gli aventi diritto, il che forse non è sorprendente ma è comunque desolante. Quando sono arrivato alla sede del seggio, per entrare sono dovuto passare tra due ali di propagandisti urlanti che cercavano di mettermi in mano il foglio con i nomi dei loro candidati. All’interno del seggio, poi, c’era il più celebre dei candidati in persona, che stringeva mani a più non posso e controllava che tutti i "suoi" fossero presenti. Alle 14, terminato l’orario di voto, le porte del seggio sono state chiuse, con gente arrivata all’ultimo minuto che strepitava e menava pugni contro le porte.
Che dire? Spesso mi irrito quando si prendono a bersaglio i giornalisti per partito preso, ma devo dire che l’immagine che danno di loro stessi, globalmente, non è migliore di quella del Paese, e forse è persino peggiore.

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Libro: Giochi Sacri

Giochi SacriSartaj Singh è un ispettore della polizia di Mumbai, in India. Un giorno al suo telefono, una voce sconosciuta gli chiede "Vuoi Ganesh Gaitonde?". Lui risponde di sì, perché Gaitonde è uno dei più celebri boss della malavita indiana, e arrestarlo sarebbe il più grosso colpo della sua carriera. E in effetti Gaitonde è lì, dove è stato indicato. Mentre Sartaj discute con il boss asserragliato in un appartamento e cerca di convincerlo ad arrendersi, non può fare a meno di porsi delle domande. Perché Gaitonde è lì, a correre il rischio di essere arrestato, invece che al sicuro all’estero? Chi ha fatto la soffiata, e perché? E come mai il boss non si arrende, ma filosofeggia attraverso il citofono, come se stesse cercando di dirgli qualcosa? Le stesse domande diventeranno di capitale importanza quando interverranno i servizi segreti, e ordineranno a Sartaj di trovare le risposte, perché da esse dipende l’esito di un gioco che coinvolge tutta l’India, e forse più.
Giochi sacri è un colossale romanzo di quasi 1200 pagine scritto da Vikram Chandra, che è allo stesso tempo molte cose. È un poliziesco di ottima fattura, realistico e avvincente e con una buona dose di colpi di scena. Ma è anche un grande romanzo sull’India, questa enorme nazione in cui convivono altissima tecnologia e villaggi rimasti al medioevo, libertà moderne e privilegi di casta, in un inestricabile groviglio che riproduce tutte le contraddizioni del mondo di oggi. Ed è soprattutto un libro sul bisogno di identità, questa cosa misteriosa e sfuggente su cui si basano tanti dei conflitti di oggi. "Chi sono io?", si chiede Sartaj Singh, chenon è religioso ma il cui posto nella vita è indissolubilmente segnato dalla sua appartenenza all’etnia sikh, e la cui fondamentale onestà si scontra ogni giorno con un sistema che premia la corruzione e l’inefficienza. E la stessa domanda se la pone Ganesh Gaitonde, che ha vissuto tutta la propria vita sfruttando la propria immagine di uomo spietato e pronto a tutto, ma che nel suo intimo è rimasto il teppista senza radici arrivato a Mumbai tanti anni prima.

Il libro ha una struttura complessa: alterna l’indagine di Sartaj Singh all’autobiografia di Gaitonde raccontata in prima persona; in più, introduce squarci narrativi ambientati in altri tempi e in altri luoghi, che lasciano capire come ogni nemico sia in realtà strettamente imparentato con il proprio avversario, come noi stessi generiamo la nemesi che ci verrà a colpire, e come in realtà esista un’unica identità, che si ricompone nonostante i nostri migliori tentativi di frammentarla.
Ci sono due soli motivi per cui potreste non volerlo leggere. Il primo è la colossale lunghezza (ma vale la pena). Il secondo è che la lingua del romanzo è infarcita da parole hindi e urdu, tanto che c’è un glossario di venti pagine in fondo. Per alcuni questo sarà un ostacolo insormontabile, ma per me questo è un ulteriore pregio: come il siciliano di Camilleri, anche l’hindi di Chandra è un mezzo per trasportarci instantaneamente in un altro mondo, e darci il desiderio di conoscerlo e comprenderlo. Così, ora che ho finito il libro, non solo so che Bombay ha cambiato nome da 12 anni e si chiama Mumbai, ma conosco anche abbastanza turpiloquio hindi da poter sostenere una conversazione nei peggiori bassifondi indiani. Quindi, maderchod che non siete altro, non avete più scuse: muovete il gaand e andate a comprare questo bhenchod di un libro, ci scommetto le goli che vi piacerà!

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Genova per noi

Genova - pestaggiGiuliano Amato sostiene che esiste ancora un’immotivata sfiducia verso la polizia da parte di alcune fasce sociali. Che tale sfiducia esista, è assolutamente vero. Che sia un fatto negativo, non ci piove. Che sia immotivata, beh, questo è un altro paio di maniche.
Io sono figlio di un ufficiale dei Carabinieri, abituato fin da bambino ad avere familiarità con le forze dell’ordine e a considerarle amiche: i miei baby-sitter erano carabinieri. Eppure, sinceramente, dopo Genova, non credo affatto che mi sentirei tranquillo se mi capitasse di dover affidare la mia incolumità fisica alla correttezza e democraticità delle nostre forze di polizia.
Nei giorni scorsi, come segnalato da Falena, è arrivata una prima condanna per i pestaggi di Genova. Si direbbe una notizia importante, eppure è stata del tutto ignorata o pubblicata con un rilievo minimo. Amato finge che la cosa non sia accaduta. Ciò non incoraggia a pensare che la situazione sia cambiata.

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10000!

Diecimila lireEbbene sì, qualche ora fa questo blog ha superato la barriera dei diecimila contatti! Risultato tanto più sorprendente se si pensa che per fare i primi cinquemila c’era voluto più di un anno, mentre per il resto sono bastati poco più di quattro mesi. In effetti, ultimamente ho notato che, se scrivo un post ben riusicto, il blog tende a mantenersi sopra i 50 contatti al giorno anche se per alcuni giorni non scrivo nulla. Che dire? Mi rendo conto che questo non fa di me una blogstar, e che c’è gente che diecimila contatti li fa in una settimana. Comunque è una soddisfazione che, lavoro e ispirazione permettendo, mi spingerà a scrivere di più e di meglio. Ringrazio tutti quanti, sia quelli che mi seguono fin dall’inizio, sia i tanti nuovi arrivati (che, se non lo hanno già fatto, invito a scrivere qualche commento). Ad maiora!

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I miracoli dell'outsourcing

Ghost writerAlcuni mesi fa mi è stato proposto di scrivere un manuale per una piccola casa editrice emergente.
Ho preparato un progetto, la persona con cui ero in contatto lo ha accolto con enorme entusiasmo e mi ha esortato a mettermi subito al lavoro. Ho preparato un capitolo, è piaciuto moltissimo. A quel punto ho detto: "discutiamo di contratto e soldi?". Se n’è discusso, mi è stato recapitato un contratto da firmare. L’ho firmato, l’ho rispedito attendendo che un rappresentante della casa editrice lo firmasse a sua volta.
A quel punto mi è stato detto: "sbrigati perché abbiamo deciso di pubblicarlo tra pochissimo tempo". Io sono rimasto basito, di date non si era mai parlato, ora pretendono che scriva un libro in un mese nei ritagli di tempo dal lavoro. Ho cancellato tutti gli impegni, lavorato tutte le sere e, in due week-end, sono riuscito a produrre quasi metà libro.
Senonché, invece del contratto firmato mi è arrivata una e-mail del mio contatto che diceva "mi spiace molto, ma è meglio che per il momento ti fermi, ci sono state delle novità, non so quando potrà essere pubblicato il libro". A poco a poco è venuto fuori come stavano le cose: la persona con cui parlavo era un consulente esterno, la casa editrice non aveva più finanziamenti, quindi ha smesso di pubblicare libri e di pagare i consulenti, lui se n’è andato ed io, che avevo contatti solo con lui e non avevo un contratto firmato, potevo scegliere se buttare nel cesso settimane di duro lavoro oppure proseguirlo e sperare che qualcun’altro, non si sa bene chi, lo pubblicasse.

Un paio di mesi fa ho proposto un articolo a un periodico di una Grande Casa Editrice. Sorprendentemente, me lo hanno accettato, e mi hanno dato specifiche ben precise secondo cui realizzarlo. L’ho scritto, impiegando un intero fine settimana del mio prezioso tempo. Ho ottenuto conferma dell’avvenuta ricezione.
Dopo un mese, ho scritto una mail per ottenere notizie. Nessuna risposta.
Dopo un altro mese, ho cominciato a telefonare. Mi dicevano di chiamare al pomeriggio per parlare col direttore, ma al pomeriggio nessuno rispondeva.
Oggi ho chiamato per l’ennesima volta, mi hanno detto che la rivista "non la fanno più lì", e di rivolgermi alla Grande Casa Editrice. Alla Grande Casa Editrice mi hanno risposto che non ne sanno nulla, che per loro la rivista esiste ancora allo stesso numero di telefono e indirizzo, ma mi richiameranno e mi faranno sapere. Intanto io ho scritto un articolo e non so a chi l’ho venduto, se sarà pubblicato, se la testata esiste ancora.

Cominciate a vedere un pattern? Io sì….

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