Tra i giocattoli che da bambino ho usato più spesso c’era un gruppo di astronauti di plastica pressoché indistruttibili, in pose improbabili e dipinti in modo approssimativo, cui feci vivere mille avventure. Non avevo dubbi che il capo fosse quello dall’aria più decisa, che a differenza degli altri teneva in mano un pistolone (che allora, ispirato da qualche fumetto, chiamavo “disintegratore”). Ricordo che la cosa mi lasciava dubbioso, dato che gli astronauti veri (che si vedevano spesso in televisione, dato che era l’epoca delle missioni Apollo) non sembravano essere dotati di armi. Tuttavia mi sembrava logico che, ancor più di un cowboy o di un tigrotto della Malesia, un astronauta dovesse essere armato: sicuramente nello spazio si nascondevano pericoli che non era prudente affrontare senz’armi. Soltanto adesso, più di 40 anni dopo, scopro che le cose stavano proprio così, e che fino a poco tempo fa persino l’equipaggiamento ufficiale dei cosmonauti sovietici (e poi russi) comprendeva uno speciale modello di pistola!
L’uso militare dello spazio è regolato in modo molto vago dal Trattato sullo spazio extra-atmosferico, entrato in vigore nel 1967. Questo stabilisce il principio per cui lo spazio è patrimonio comune dell’umanità e non può essere teatro di attività militari, ma vieta esplicitamente solo la sperimentazione e la presenza stabile di armi di distruzione di massa e la creazione di basi militari. Le armi personali, insomma, non sono esplicitamente vietate. La dotazione delle capsule Soyuz (che sono in attività dal 1967 e non sono ancora state pensionate) includeva una pistola, la TOZ 82 (o TP 82), che ogni membro dell’equipaggio (inclusi eventuali passeggeri stranieri) veniva addestrato a usare.
Va detto che lo scopo dell’arma non era di essere usata nello spazio. Dotata di tre canne in grado di sparare proiettili comuni, pallini da caccia e razzi di segnalazione, e di un manico pieghevole in grado di fungere da badile e contenente un machete, doveva servire ai cosmonauti per sopravvivere sulla Terra in un ambiente selvaggio, dato che le Soyuz venivano fatte atterrare in Siberia, e un errore di rotta poteva significare perdersi chissà dove nella taiga. Pare che a volere l’arma sia stato proprio il celebre cosmonauta Alexej Leonov, che nel 1965, al termine della missione Voskhod 2, aveva dovuto attendere i soccorsi per due giorni rischiando di essere divorato dai lupi. La TOZ 82 fu perciò introdotta nel 1982 (par che ultimamente fosse stata sostituita da un’arma più comune, dato che le munizioni prodotte allora erano ormai scadute e non se ne producevano di nuove).
Ho appreso dell’esistenza della TOZ 82 da un articolo pubblicato su IEEE Spectrum dal giornalista statunitense James Oberg. Questi riferisce che la presenza dell’arma è proseguita anche nel corso delle missioni sulla Stazione Spaziale Internazionale, e solo di recente la pistola è stata tolta dalla dotazione, forse anche per le continue sollecitazioni del giornalista stesso che riteneva inopportuna la presenza di un arma nel corso di pacifiche missioni scientifiche. Oberg cita anche a testimone l’astronauta italiana Samantha Cristoforetti, che tra pochi giorni si recherà sulla Stazione Spaziale Internazionale a bordo di una Soyuz, e che nel corso di un’intervista gli ha fatto sapere che la pistola non è più inclusa nella dotazione, ma che si tratta di un provvedimento temporaneo non ancora confermato in via definitiva.
Riesce difficile credere che si riuscirà per sempre a mantenere lo spazio libero da guerre. Ma l’aver liberato dalle armi la Stazione Spaziale Internazionale è un piccolo atto simbolico che ci fa sperare che, almeno per il momento, ci contenteremo di usarle sulla Terra.
Mese: Novembre 2014
Interstellar
Cooper è un ex astronauta, che si è ridotto a fare l’agricoltore in un mondo messo in ginocchio da un’epidemia sconosciuta che decima i raccolti provocando tempeste di polvere. Finché non gli arriva in modo misterioso la possibilità di partecipare a una missione che andrà a cercare una possibilità di salvezza al di fuori del Sistema Solare…
Uno dei motivi che mi fanno amare il nuovo film di Christopher Nolan, Interstellar, è che è un vero film di fantascienza. Ossia: non un’avventura ambientata in uno pseudofuturo rutilante ma in fondo modellato sul passato, bensì una storia davvero incentrata sul rapporto tra l’uomo, la scienza e l’ignoto. Nell’incipit del film si respira davvero un’atmosfera da vecchia fantascienza (anche se poi la vicenda prende un taglio molto più moderno, e mi ha ricordato i romanzi di M. John Harrison).
Di Interstellar mi sono piaciute molte cose. In primo luogo la costruzione, complessa e articolata, piena di sorprese, in grado di tenere interessato lo spettatore per le quasi tre ore di durata, e che dipana con arditi parallelismi vicende lontane nello spazio e nel tempo ma destinate a intrecciarsi. Mi è piaciuto il modo in cui Nolan riesce a far capire la realtà del futuro senza entrare nei dettagli ma con poche scene efficaci (la caccia al drone, la discussione con la maestra). Ho apprezzato come ripropone in modo credibile ma innovativo topoi come l’astronave e soprattutto i robot (dall’aspetto totalmente disumano, ma simpatici, affidabili e rassicuranti: l’esatto opposto di come li vorrebbe il cliché). Ho ammirato il modo in cui è riuscito a visualizzare in modo convincente e comprensibile una realtà con più di tre dimensioni.
E mi pare che si possa dire che abbia raggiunto il suo scopo, che sembra essere quello di fare un film alla 2001: Odissea nello spazio (di cui ricalca in modo fedelissimo la struttura: messaggio da un’entità sconosciuta, lungo viaggio, incidente dovuto a contrasti sullo scopo ultimo della missione, uscita dal mondo e rinascita) rimanendo però comprensibile per lo spettatore medio.
Con tanti pregi, si può dire che è un capolavoro? Purtroppo no, a mio avviso. Perché Nolan, dopo aver messo in piedi una struttura grandiosa, per qualche motivo non riesce a mantenere il rigore di sceneggiatura che ha avuto in Memento o The Prestige (due altri suoi film che affrontano, in modi diversi, lo stesso tema: il mistero della nostra esistenza nel Tempo). Procede così a corrente alternata, con momenti entusiasmanti che convivono con dialoghi dimenticabili e scontati (la tirata sull’Amore, che banalizza un messaggio che il film sa esprimere con ben altra forza solo per immagini, oltretutto mettendola in bocca a una donna, per calcare sullo stereotipo) o carenze e incongruenze di sceneggiatura (il fatto che tutti siano convinti di aver ricevuto un aiuto da misteriosi alieni, ma nessuno si preoccupi di investigare; o il protagonista che dopo 30 anni di inattività viene immediatamente posto al comando di una missione perché nessuno è più esperto di lui, ma poi continua a fare domande come se non sapesse nulla di astrofisica). E anche con qualche aspetto scientifico poco convincente, che stona particolarmente in un film che in generale rappresenta scienza e tecnologia in modo credibile e realistico (ma su questo, per non annoiarvi, farò un post a parte).
Interstellar è un film ambizioso (persino troppo), originale, interessante, intenso. E nonostante questo un po’ irritante, perché sarebbe potuto essere anche migliore. Comunque da vedere.