Quando ero un ragazzino, alcune bambine del mio condominio avevano l’abitudine di cogliere fiori e mangiarseli come se fossero grandi leccornie. Nonostante l’illustre esempio di Fabio Concato, non mi è mai venuta voglia di imitarle. C’è voluta la Malga Gostner a farmi cambiare idea.
La malga si trova all’Alpe di Siusi, che è l’altopiano più grande d’Europa, un luogo paradisiaco ai piedi dello Sciliar, la più caratteristica montagna delle Dolomiti. Raggiungere l’Alpe e poi la malga è semplicissimo. Da Bolzano ci vuole una mezz’oretta di macchina fino a Castelrotto, poi la si lascia nel parcheggio e si prende l’ovovia (perché sull’Alpe la circolazione è giustamente limitata: lassù c’è un silenzio impressionante). Dopodiché basta camminare per un’altra ventina di minuti, tutti in piano a parte una breve salita finale, e si è arrivati.
La malga è all’apparenza uno dei classici posti di ristoro che si trovano in montagna in Alto Adige: gran tavoloni all’aperto (difesi dal sole, non troppo bene, da ombrelloni) dove ci si può rifocillare prima, dopo o durante una camminata. Di solito in luoghi del genere si trovano piatti tipici: lo speck da tagliare direttamente sulla tavoletta di legno, i canederli (gnocchi di pane), gli Schlutzkrapfen (ravioli locali), polenta e funghi, il Kaiserschmarrn (frittatine dolci accompagnate da composta di frutta) e così via. Piatti simili si possono trovare anche alla malga Gostner… ma tutto è impreziosito dall’uso sapiente di fiori ed erbe di montagna, e da una grande cura nella presentazione dei piatti, che trasformano il tutto in un’esperienza davvero unica nel suo genere.
Per capire con cosa si ha a che fare, è meglio cominciare proprio dall’antipasto, cioè l’insalata con il meglio del prato e del giardino. Guardare per credere:
Un piatto del genere è innanzitutto una meraviglia per gli occhi, ma mangiarlo è ancora meglio (e lo dice uno che non ha mai avuto una grande passione per le insalate). Condita con un condimento semplice che non copre il sapore delle singole erbe (credo olio e aceto di mele), ha un sapore diverso a ogni boccone, con ogni fiore ed erba a dare il suo particolare e aromatico contributo. E’ un’esperienza! Costa più di un’insalata comune, ma non c’è paragone. Non lasciate la malga senza averla provata!
Alla malga troverete molti altri piatti, in cui erbe e fiori fanno sempre da decorazione, e il più delle volte danno anche un intenso contributo al gusto del piatto. Per esempio, durante la mia ultima visita sono incappato nelle lasagne con porcini ed erbe di montagna: deliziose già di per loro, ma le erbe davano il tocco definitivo.
Un altro piatto obbligatorio da prendere alla malga Gostner è il Kaiserschmarrn, qui servito con composta di albicocche, miele e fiori. Mi spiace di non averlo potuto fotografare per voi, dato che è forse il piatto più bello da vedere. Questa volta però mi sono davvero lasciato andare alla golosità, e al momento del dessert non ce l’avrei mai fatta ad affrontarlo (in generale il Kaiserschmarrn ha abbastanza calorie per farvi raggiungere la cima dell’Everest). Ho quindi ripiegato su uno yogurt di produzione propria dolcificato con miele di rosa alpina e accompagnato da un sorbetto di lamponi. Una vera sorpresa, per l’estetica ma soprattutto per il perfetto equilibrio dei sapori.
Che altro dire? I prezzi della malga sono a mio avviso onesti, solo lievemente più cari di quelli di altre malghe che propongono la solita cucina sudtirolese (il che non significa che siano bassi: mangiare ad alta quota costa!). Hanno anche una cantina fornita (e costosa!), che però non ho mai avvicinato. Il posto, perlomeno in agosto, è sempre piuttosto affollato, quindi non conviene arrivare tardi. La sera si mangia solo su prenotazione. Pare che di inverno propongano piatti molto diversi, tra cui una mitologica “zuppa di fieno nella pagnotta” che prossimamente voglio provare ad ogni costo. Il servizio è accettabilmente celere, tenuto conto che siamo pur sempre in una rustica baita di montagna. Io lo consiglio senza alcuna remora.
Mese: Agosto 2012
Memento – I sopravvissuti
Le Detonazioni hanno trasformato la Terra in un luogo desolato: la civiltà è distrutta, e tutti gli umani sono stati trasformati in esseri deformi, fusi con oggetti, tra di loro e con la terra stessa. Si sono salvati solo i Puri, cioè coloro che abitano un enorme rifugio chiamato la Sfera, e attendono che il pianeta ritorni abitabile. Pressia, una ragazza la cui mano destra è fusa con una testa di bambola, è in fuga per evitare, al compimento dei 16 anni, di essere arruolata a forza nella milizia. Nel frattempo il suo coetaneo Partridge, figlio del leader della Sfera, fugge dal rifugio alla ricerca della madre, dopo aver scoperto che potrebbe essere sopravvissuta e nascosta da qualche parte all’esterno…
La fantascienza sarà pure moribonda, ma deve conservare almeno un po’ del suo appeal se Julianna Baggott, affermata autrice di romanzi sentimentali e per ragazzi, ha deciso di scrivere una distopia postcatastrofica nel segno della fantascienza più classica. Ammetto di essermici accostato con molto sospetto, timoroso di trovarmi di fronte all’ennesimo polpettone sentimentale a sfondo fantastico per adolescenti. Fortunatamente non è stato così: Memento – I sopravvissuti è un libro serio, non sdolcinato (anzi, a dirla tutta alquanto depressivo) e con qualche ambizione. Non è però un libro particolarmente riuscito, per i motivi che dirò.
La cosa migliore del romanzo è l’ambientazione: l’autrice mostra fantasia e abilità nel creare una galleria di personaggi deformi (il mio preferito è El Capitan, che si porta addosso il fratello minore come un doppio inseparabile, una specie di riedizione del Joe-Jim Gregory di Heinlein), destreggiandosi tra uno scoperto simbolismo e il puro gusto del bizzarro.
Il problema è che l’autrice riesce a sfruttare tali atmosfere solo in piccola parte. La trama è molto complicata ma priva di vere sorprese e, pur descrivendo un mondo degradato e violento, sembra sempre fermarsi un passo prima dal risultare autenticamente scioccante. La cosa meno riuscita sono i dialoghi, legnosi e talvolta ingenui. Ma soprattutto, il messaggio di fondo appare troppo scontato, e non va al di là di un generico antiautoritarismo con qualche venatura femminista.
Alla fine il risultato è un né-carne-né-pesce che rischia di non soddisfare nessuno: troppo deprimente per chi cerca il puro intrattenimento, troppo blando e schematico per gli autentici appassionati del genere. Per giunta, il finale è piuttosto interlocutorio: l’autrice intende scrivere altri due volumi prima di concedere agli eroi di compiere il loro destino. Grazie, ma credo che mi fermerò qui.
Noi crediamo
Noi crediamo che l’obiettivo del centrosinistra non debba essere quello di vincere per occupare e spartirsi posti di potere.
Noi crediamo che l’obiettivo del centrosinistra debba essere vincere per cambiare davvero l’Italia: rendendola un Paese all’avanguardia nel mondo per i diritti civili e sociali, per legalità ed equità, per qualità di welfare e ambiente, per accesso a Internet.
Noi crediamo che il rocambolesco balletto inscenato nelle ultime settimane dai leader dei partiti del centrosinistra attorno alle alleanze sia offensivo nei confronti di milioni di cittadini e di elettori.
Noi crediamo che il centrosinistra possa e debba proporre agli italiani una prospettiva ideale e concreta che non rimanga paralizzata per tutta una legislatura dal mercanteggiamento triste con chi in anni recenti e meno recenti ha rappresentato una delle componenti che ci è più lontana culturalmente, politicamente ed eticamente, e che soprattutto è stata complice di Berlusconi nel portare l’Italia in questa crisi.
Noi crediamo che non sia una questione di ‘veti’ ideologici ma al contrario di pragmatica consapevolezza che una coalizione innaturale non porterà mai ad alcun reale risultato politico, né potrà mai dare all’Italia quella frustata di civiltà e di giustizia di cui ha fortemente bisogno.
Noi crediamo che sia necessario puntare non a una coalizione da sopportare, ma a un progetto da supportare. Non a una mediazione prima ancora di incominciare, ma a una grande sfida da raccogliere. Non crediamo a scelte che provengono da lontano, ma a quelle che lontano ci possono portare.
Questo testo è stato scritto da Giuseppe Civati, Sara De Santis, Piero Filotico, Alessandro Gilioli, Patrizia Grandicelli, Ernesto Ruffini e Guido Scorza, ma appartiene a tutti coloro che vorranno condividerlo.