Come travisare completamente una notizia

Corriere e Repubblica (e praticamente ogni altro quotidiano italiano) titolano parlando di “scandalo” e “choc” riguardo a un’indagine commissionata da Save the Children a IPSOS, secondo la quale quasi metà degli italiani riterrebbe accettabile il sesso tra adulti e minori.
Trovando la cosa molto strana, sono andato a cercarmi l’indagine originale (sono bastati 5 minuti su Google). E ho potuto constatare che dice una cosa completamente diversa.
In primo luogo, l’indagine non parla genericamente di minori, ma di adolescenti, e c’è una bella differenza. Vale la pena di ricordare che in Italia il sesso tra un adulto e un minore di 14 anni e praticamente sempre un reato, mentre tra adulti e ragazzi di 14-18 anni è considerato accettabile dalla legge, salvo nei casi in cui l’adulto sia un genitore, un insegnante o un’altra figura con potestà sull’adolescente stesso.
In secondo luogo, dall’indagine risulta che ben il 62% degli adulti considera il sesso con adolescenti inaccettabile in ogni caso, il 18% lo considera accettabile sono in alcune circostanze, e solo il 20% lo approva incondizionatamente. Parlare di “quasi metà degli italiani” è perciò una grossolana forzatura.
Non ne sono sicuro, ma credo che il problema sia partito dall’agenzia ADN Kronos, che riporta correttamente il contenuto dell’indagine, ma nel titolo parla di “sesso con minori”, e per buona misura illustra l’articolo con il manifesto del film Lolita (il cui personaggio, ricordiamolo, nel romanzo ha 12 anni). Ma potrebbe essere invece colpa dell’ANSA, che addirittura riporta la notizia con un link che menziona la “pedofilia”.
Di tutti i principali quotidiani, nessuno che si sia preso la briga di spendere pochi minuti per verificare la notizia. Meglio pubblicare una boiata priva di fondamento che rischiare il “buco. Lascio a voi le conclusioni.

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I miei articoli

I frequentatori di questo blog sanno ormai che si alternano periodi in cui lo aggiorno meno di quanto dovrei e periodi in cui non lo aggiorno affatto. Purtroppo il blog è sempre in competizione con altre attività, in particolare quelle che mi permettono di sopravvivere, e ci sono periodi in cui le energie per aggiornarlo proprio non ci sono.
In ogni caso eccomi di nuovo a voi, dopo uno iato di quasi quattro mesi. Non starò a farvi l’ennesimo elenco di buoni propositi che non manterrò: accontentatevi di sapere che nei prossimi giorni dovreste vedere il blog aggiornato con una certa frequenza, più in là non mi spingo.
Per l’occasione, annuncio di avere finalmente cominciato a realizzare una novità cui pensavo da parecchio tempo: una pagina che raccoglie parte degli articoli che ho scritto  per le varie testate per cui lavoro o ho lavorato.
Per il momento la pagina raccoglie solo gli articoli scritti per Nòva 24, ma nelle intenzioni dovrebbe espandersi rapidamente. La potete raggiungere tramite il menu sotto la testata, oppure da qui.

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La guerra dei cloni


Computer Idea è una rivista per cui ho lavorato per cinque anni, dal 2000 al 2004. Anche se poi la mia carriera è proseguita altrove, le sono tuttora molto affezionato: è stata la prima testata sulla quale ho firmato articoli con regolarità, e si può dire che facendo parte della redazione ho imparato gran parte di ciò che so del mestiere di giornalista. Fu anche una piccola rivoluzione nell’editoria italiana: la prima rivista di informatica e tecnologia autenticamente popolare, che raggiunse un picco di 200.000 copie vendute. Partecipare dall’interno, in un gruppo giovane ed entusiasta (anche se i conflitti non sono mancati), fu un’esperienza davvero indimenticabile.
Purtroppo, non molto dopo la mia uscita, il gruppo internazionale VNU, che la editava, decise di sbarazzarsi dell’intero comparto editoria. Computer Idea cominciò così un declino nelle mani di vari editori improvvisati, che promettevano improbabili rilanci ma in realtà hanno lentamente strangolato la rivista, obbligando la redazione a continui spostamenti, non pagando i collaboratori, diminuendo le risorse, fino alla cessazione delle pubblicazioni avvenuta quest’anno.
Computer Idea aveva ancora molti lettori affezionatissimi che non perdevano un numero da anni. E che saranno molto felici di vedere la loro rivista preferita di nuovo in edicola. Peccato che non sia vero. Guardate attentamente le due riviste nella foto. Quella di sinistra è la vera Computer Idea. Quella di destra è Il Mio Computer Ideale, una rivista edita da Sprea, la cui grafica e organizzazione interna ricalcano nei minimi dettagli quella di Computer Idea, e la cui testata è stata resa quasi identica a quella di Computer Idea con astuzie grafiche. La somiglianza è tale che credo che, acquistando la rivista in edicola, ci sarei potuto cascare anch’io.
Non è certo una novità che in Italia vengano create riviste con titolo e impostazione simili a quelli di una pubblicazione di successo, per accalappiare i lettori che non badano troppo ai dettagli. Per esempio, Idea Web di Edizioni Master fu un tentativo piuttosto azzeccato di sfruttare il “traino” di Computer Idea. Tuttavia, se è legittimo ispirarsi a un prodotto riuscito per proporne una versione simile, in questo caso si va ben oltre i limiti del plagio. Una simile operazione di clonazione editoriale non si era mai vista.
Trovo la cosa estremamente discutibile, sia perché si configura come un deliberato inganno nei confronti dei lettori, sia perché la cosa va a tutto svantaggio dei lavoratori di Computer Idea, che sono a casa senza stipendio in attesa della cassa integrazione, con la rivista in mano al curatore fallimentare, e che si vedono così derubati dell’unica cosa loro rimasta, cioè quel patrimonio di lettori che potrebbero gradire un rilancio della testata in edicola.
La qualità morale dell’operazione si commenta da sé. In ogni caso, sappiate che quella che trovate in edicola non è Computer Idea.

 

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Le insidie del pesce-bufalo

Pesce-bufalaCiao a tutti.
Mi rendo conto solo ora che sono più di tre settimane che non pubblico alcun post. Non era mia intenzione fermarmi per tanto tempo. In questi giorni sono presissimo con molti progetti, di molti dei quali non posso ancora parlare ma che sicuramente emergeranno presto anche su questo blog.
In ogni caso, da questo momento riprendono più o meno regolarmente le pubblicazioni. E volevo cominciare raccontandovi una cosa che mi è successa ieri.
Tutto è cominciato da un tweet di William Gibson che rimandava a un articolo sugli scacchi. Ho deciso di fare clic perché l’accoppiata Gibson/scacchi sembrava interessante. E sono arrivato a un’interessante intervista pubblicata in inglese da un sito specializzato tedesco, in cui Vasik Rajlich, autore di un apprezzato software per il gioco degli scacchi, descriveva il modo in cui aveva utilizzato molti mesi di tempo macchina su un supercomputer a 30 core per analizzare completamente la più comune apertura, il gambitto di re, e verificare la correttezza dell’analisi compiuta a suo tempo da Bobby Fischer su di essa. In pratica aveva computato ogni possibile partita giocabile dopo quell’apertura, per verificare, assumendo che ambedue i giocatori giocassero nel modo migliore possibile, quali risposte risultavano vincenti e quali perdenti. Il programmatore proseguiva spiegando come alla base di questo risultato ci fosse un algoritmo in grado di eliminare le partite “sicuramente perse” senza calcolarle fino in fondo, riducendo così di molto la quantità di calcoli da fare. Infine spiegava come l’analisi compiuta da Fischer fosse sostanzialmente corretta, ma non del tutto: alcune contromosse apparentemente perdenti risultavano invece vincenti, e viceversa.
Appena terminata la lettura dell’intervista, mi sono detto: questo è un risultato di portata storica. Considerato che all’inizio di una partita il bianco ha solo 20 possibili mosse per aprire, è evidente che basta impiegare una potenza di calcolo di un solo ordine di grandezza superiore per analizzare l’intero gioco degli scacchi. Era l’argomento ideale per un articolo: di sicuro interesse scientifico, ma anche pieno di spunti interessanti per “l’uomo della strada”. Il pezzo mi si stava già scrivendo in testa da solo: avrei cominciato citando la famosa leggenda sull’origine degli scacchi, in cui l’inventore del gioco chiede in cambio un chicco di grano per la prima casella, due per la seconda, quattro per la terza e così via, giungendo a un numero esorbitante, per dare al lettore l’idea di quante possibili partite esistano e di quanto fosse straordinario l’essere riusciti ad analizzarle tutte in blocco. Dovevo solo decidere a quale testata l’argomento interessasse di più.
A quel punto è arivato un secondo tweet di William Gibson, in realtà un retweet di un suo follower che lo informava che si era trattato di un pesce d’aprile. Gli stessi autori dello scherzo spiegano che la potenza di calcolo necessaria per fare una cosa del genere è superiore di 25 ordini di grandezza rispetto a quella oggi disponibile.
A quanto pare ci ero cascato completamente. La mia unica consolazione è quella di essere in buona compagnia. Non solo prima di me ci era cascato William Gibson, ma pare che gli autori siano stati tempestati di richieste di interviste da giornali e televisioni di tutto il mondo!
Credo che questo episodio mi abbia impartito una sana lezione di giornalismo. Mi piace pensare che, se avessi veramente dovuto scrivere un articolo su questo argomento, avrei comunque scoperto lo scherzo prima di arrivare alla pubblicazione. Ma cosa sarebbe successo se, invece che scrivere per settimanali e mensili, io fossi stato il redattore di un quotidiano? Molto probabilmente avrei buttato dentro la notizia senza troppe verifiche per evitare che ci arrivasse prima qualcun altro. Ed è così che nascono le bufale.
Credo sia necessario tenere presenti le seguenti regole:

  • Mai fidarsi ciecamente dell’autorità. William Gibson è una persona informatissima sugli argomenti più disparati e all’avanguardia, ma nemmeno lui è infallibile: infatti in questo caso ha diffuso una notizia falsa credendola vera. Non bisogna mai dare per scontato che qualcuno abbia già controllato la veridicità della notizia prima di noi.
  • Se è plausibile, non vuol dire che sia vero. Se mi avessero detto semplicemente che un supercomputer era riuscito a calcolare tutte le possibili partite a scacchi, avrei risposto senza esitare che era impossibile. Ma questo pesce d’aprile ha minato il mio scetticismo descrivendo una tecnica per diminuire l’ordine di grandezza dei calcoli necessari. Una spiegazione del tutto plausibile, se non fosse che la riduzione non è sufficiente. Anche le affermazioni plausibili vanno verificate.
  • Attenzione agli argomenti che non si conoscono abbastanza. Io so giocare a scacchi, ma non sono certamente un esperto. L’articolo-pesce era pieno di indizi che suggerivano la sua vera natura. Un esperto di scacchi avrebbe trovato incredibili le conclusioni cui giungeva l’analisi, e si sarebbe insospettito, mentre io non ci trovavo niente di strano. È facilissimo prendere cantonate negli argomenti di cui si ha solo un’infarinatura.

Ovviamente queste regole non sono facili da applicare. La verità è che, se io scrivessi solo di argomenti che conosco assolutamente alla perfezione, e solo dopo aver verificato ogni singola affermazione contenuta nell’articolo, probabilmente non scriverei più nulla. Tuttavia oggi i tempi del giornalismo sono diventati talmente rapidi che diventa obbligatorio non abbassare mai la guardia. Non si sa mai quando il pesce-bufalo potrà colpire.

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Born Again!


Quando ho cominciato questa seconda versione del mio blog, ho deciso che avrei evitato di scrivere post di carattere strettamente personale. La mia vita non è tale da risultare interessante per il lettore casuale, e per tenere informati gli amici di quello che mi succede ci sono Facebook e gli altri social network. Tuttavia oggi faccio un’eccezione, un po’ perché quanto mi sta succedendo mi coinvolge non solo a livello personale ma anche professionale, e un po’ perché investirà direttamente anche questo blog.
Ecco cosa ho da dirvi: dall’inizio di questo mese sono in cassa integrazione a zero ore. La redazione milanese della rivista per cui lavoravo ha chiuso i battenti. I dettagli sono ancora da definire, in base a una trattativa con l’azienda. Ma le probabilità che io torni a scrivere per quella testata sono davvero scarse. E, stante l’attuale situazione del mercato del lavoro, le probabilità che qualcuno mi assuma a tempo indeterminato in una redazione sono, almeno in un futuro prossimo, vicine allo zero.
Non ne faccio un dramma. C’è, come vi ho detto, la cassa integrazione, poi eventualmente ci sarà il sussidio di disoccupazione (la tessera di giornalista almeno a questo serve). E per fortuna le opportunità di lavoro, sia pure precarie, non mancano.
Ma dirò di più: sto vivendo questo evento, più come una disgrazia, come una liberazione e un’opportunità.
Liberazione: da tempo il mio lavoro aveva cessato di significare qualcosa per me. Quando sono entrato in questa redazione, provavo tutto il piacere che deriva dal fare un lavoro creativo. Avevo una mia sezione che potevo gestire con relativa libertà, il tempo e le risorse per creare articoli da zero e per provare prodotti in modo approfondito. Avevo contatti continui con le aziende, partecipavo a fiere e conferenze stampa, potevo tenermi aggiornato. E il mio contributo veniva apprezzato. Col tempo, per l’azione congiunta della crisi (triplice: dell’economia, dell’informatica e dell’editoria) e di una totale mancanza di cultura giornalistica daparte dell’azienda, il mio lavoro si è completamente snaturato. Da qualche anno, ormai, il mio compito era solo quella di tradurre articoli provenienti dall’estero, seguendo una scaletta decisa a mille chilometri di distanza senza consultarmi. Avevo smesso di fare proposte, dato che non venivano prese in considerazione. Non avevo quasi mai possibilità di partecipare a eventi, considerati “perdite di tempo”. Ero diventato un passacarte: a ogni giorno che passava sentivo che la professionalità che avevo costruito in anni di giornalismo mi sfuggiva un po’ di più.
Avevo pensato tante volte di andarmene e basta, e a trattenermi c’era solo quel contratto a tempo indeterminato, una specie di santo Graal nel mondo editoriale di oggi, che pareva un sacrliegio gettare via senza un’adeguata contropartita. Ma quel contratto era diventato una catena che mi teneva avvinghiato a un lavoro che non mi dava nulla. Ora, per il bene o per il male, la catena si è spezzata. E sono libero di cercare qualcosa di diverso.
Opportunità: Il lavoro di giornalista non è certo il più gravoso del mondo. Ma lavorare per otto ore al giorno in una redazione richiede comunque un bel po’ di energia creativa. È abbastanza duro tornare a casa, e sforzarsi ancora di scrivere un racconto, una sceneggiatura, il canovaccio di una trasmissione radio, o anche solo di scrivere post per questo blog, che infatti nelle ultime settimane ho trascurato tantissimo. Quanti sono i post che ho concepito, di cui anzi ho cominciato la bozza, e che poi non sono arrivato a portare a termine, cancellandoli perché ormai inattuali?
Ora, all’improvviso, si spalancano abissi insondabili di tempo a disposizione. Ho davanti un periodo in cui in pratica sarò in totale vacanza obbligata. Anche se dovessi trovarmi altri lavori da fare, saranno probabilmente del tipo che si svolge in tutto o in parte a casa, lasciandomi la possibilità di gestirmi come preferisco. Progetti il cui completamento mi sembrava un sogno irraggiungibile ora appaiono a portata di mano. Lo so: la realtà si incaricherà presto di mostrarmi che ci sono altri ostacoli da superare oltre alla mancanza di tempo, prime tra tutti la mia pigrizia e disorganizzazione. Ma ho troppo desiderato un’occasione del genere per non provare a sfruttarla.
Perciò vi autorizzo ad aspettarvi grandi cose da me. Comincio però a promettere una piccola cosa: non lascerò più questo blog per più di 48 ore senza un post. Ho detto.

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