Film: Elizabeth – the Golden Age

Elisabetta I di Inghilterra è sul trono, ma la sua situazione è instabile, molti tramano per mettere al suo posto Mary Stuart, regina di Scozia. I suoi consiglieri tramano per metterle accanto un marito, ma lei rifiuta. Viene invece colta da un’infelice passione per il corsaro ed esploratore Walter Raleigh. Tuttavia, quando l’Armada spagnola giunge alle coste dell’Inghilterrà, sa riscuotersi e condurre il Paese a un’insperata vittoria.
Il precedente film del regista indiano Shekhar Kapur su questo tema, Elizabeth, era basato sulla lenta rinuncia di Elizabeth ai propri sogni di ragazza per trasformarsi consapevolmente in un simbolo e in una donna di potere. Questo secondo film, girato nove anni dopo il precedente, è basato sullo stesso schema, ma in modo decisamente meno riuscito. Se nel primo film Elizabeth era solo una ragazza, qui è già una politica esperta sul trono da diversi anni, e risulta forzato vederla sdilinquirsi come una donnetta qualsiasi di fronte al tenebroso Raleigh. Inoltre il manicheismo, già presente allora, qui risulta davvero eccessivo: per quanto io abbia una pessima opinione del Cattolicesimo, trovo discutibile vedere il conflitto tra Spagna e Inghilterra rappresentato come una lotta tra l’Oscurantismo e la Ragione, come appare nel film. Soprattutto nel finale la retorica sale a livelli intollerabili, e sembra quasi che davvero Elizabeth riesca a scatenare la tempesta contro l’Armada come se Cate Blanchett fosse ancora nei panni di Galadriel, la regina degli elfi.
Peraltro il film è sontuoso nei costumi e nelle scenografie, creativamente eccessivo nella regia come solo un indiano sa essere, e soprattutto ha degli interpreti di ottima qualità, a cominciare dalla Blanchett davvero perfetta nel suo ruolo. Può quindi valere una visione.

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Film: Stardust

Wall è un villaggio inglese che sorge, come dice il nome, accanto a un muro, oltre  il quale si stende il regno fatato di Stormhold. Agli esseri umani è vietato attraversare il muro, ma il giovane Tristan promette di farlo per recuperare una stella cadente, con la quale intende conquistare il cuore dell’amata Victoria. Ci sono però alcuni problemi. In primo luogo, Tristan ignora che già suo padre scavalcò il muro vent’anni prima, e che la madre che non ha mai incontrato è nativa di Stormhold. Poi c’è il fatto che la stella, una volta precipitata a terra, si è trasformata in una splendida ragazza, per nulla disposta a seguirlo. Inoltre la stella non interessa solo a Tristan, ma anche a un gruppo di nobili fratelli pretendenti al trono, perennemente impegnati ad assassinarsi a vicenda, e a un trio di streghe malvagie…
Vedendo trailer e manifesti di Stardust si è portati a pensare che si tratti della solita favoletta vista al cinema mille volte, e a depennarlo. Ma sarebbe un errore, perché è sì una favola, ma non la "solita". Uscita dalla penna di Neil Gaiman, infatti, la vicenda mette insieme tutta una serie di cliché tipici della letteratura fantastica, ma reinventandoli in modo libero ed estremamente efficace. Del resto, la cifra stilistica di Gaiman è proprio nel trasportare simboli e archetipi di un remoto passato all’interno di un modo di raccontare moderno, senza banalizzarli ma rendendoli attuali. E così anche una favola a lieto fine finisce per apparire niente affatto banale e scontata.
Il merito va anche a un cast di ottimi attori di contorno, tra cui un Robert DeNiro scopertamente buffonesco e una Michelle Pfeiffer molto coraggiosa nel giocare con la propria bellezza, più volte trasformata in un’orribile maschera di decrepitezza. E alla regia di Matthew Vaughn che, invece di puntare all’effetto speciale spaccatutto, cura minuziosamente i dettagli.
Insomma, nientge di trascendentale, ma semplicemente uno di quei film piacevoli, divertenti e originali di cui i blockbuster hollywoodiani spesso ci fanno sentire la mancanza.

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Volete un frugoncino?

Quand’ero ancora una ragazzino lessi uno splendido libro fantasy-horror per ragazzi, che mi è rimasto nel cuore. Roba che, secondo me, non ha niente da invidiare ad Harry Potter, e che potenzialmente potrebbe avere lo stesso successo, ma che invece, nonostante due edizioni italiane, è stato quasi completamente ignorato nel nostro Paese (in USA ha avuto ben dieci seguiti!).
Tempo fa ho conosciuto una persona che lavora in una casa editrice, e ho scoperto che anche lei ha questo libro nel cuore, avendolo letto da piccola, come me. In pratica, ogni volta che ci siamo incontrati abbiamo dedicato del tempo a citare scene e passi del libro con sguardo rapito, sperando che lei riuscisse a convincere i suoi capi a pubblicarlo in Italia per la terza volta.
Ebbene, forse succederà: l’amica è riuscita a interessare i suoi capi, anche se le trattative sono appena iniziate (ed è per questo che non ne svelo il titolo: non vorrei romperle le uova nel paniere).
Però il troppo amore per un libro può portare anche a delle delusioni. Dovete sapere che il romanzo in questione aveva un’ottima traduzione, scorrevole e fantasiosa, e soprattutto con uno piena di termini insoliti che aggiungevano molto alle bizzarre atmosfere della storia. Per esempio, il protagonista aveva l’abitudine di rimpinzarsi di frugoncini al cioccolato. Ora, se avete letto "furgoncini", leggete meglio: sono frugoncini. Inutile cercare il termine su Google: non esiste, se non come errore di battitura per furgoncino. Non c’è nemmeno sul De Mauro, e neppure sullo Zingarelli.
In realtà io mi ricordo di aver cercato il termine un quarto di secolo fa, ben prima di Internet, e di averlo trovato. Oggi non ci sono riuscito, e non capisco perché. Forse nel frattempo la parola è diventata così rara da sparire del tutto dall’italiano, ed è ormai un termine che solo i linguisti conoscono. In ogni caso, ricordo che il significato era "biscotto al cioccolato" (il che fa pensare che frugoncino al cioccolato sia un termine ridondante, in quanto il termine frugoncino implica la presenza del cioccolato. Chissà se è vero, e se sono mai esistiti frugoncini ad altri gusti.
Più volte io e la mia amica ci siamo chiesti: cosa sarà mai stato un frugoncino nel testo originale. Ebbene, ora lei se lo è procurato, e la delusione è stata grande. I frugoncini, infatti, nel testo originale sono banalissimi chocolate-chip cookies.
C’è da chiedersi quanto del fascino che quel libro ha avuto su di noi fosse dovuto ai suoi propri meriti, e quando invece fosse opera di un traduttore geniale e bizzarro (che tra l’altro era un famoso giallista, oggi scomparso da tempo). Chissà quali ricordi evocava per lui il termine "frugoncino". Per quanto mi riguarda, farò di tutto per far rivivere in qualche modo questa parola dimenticata.

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Cagnoloni bonsai

Sta circolando per i blog l’invito a firmare una indignata petizione per protestare contro un artista, tale Guillermo Habacuc Vargas, che avrebbe esposto un cane legato accanto a montagne di cibo per cani, e come performance artistica lo avrebbe lasciato morire di fame in pubblico.

Io ho fatto qualche ricerca su Google su questo Vargas, e ho trovato centinaia di post indignati che segnalano la petizione. Tuttavia, l’unica fonte di prima mano che riporta la notizia è un blog nicaraguense, che contiene alcune foto dell’esposizione. Tutti gli altri blog non fanno altro che riportare questa unica notizia.

Andando a guardare meglio, si trova un altro blog la cui autrice dice di avere chiesto informazioni alla galleria d’arte che ha ospitato la mostra. A quanto pare, il direttore sosterrebbe che il cane appariva denutrito in quanto era un randagio preso pochi minuti prima dalla strada, ma è stato regolarmente nutrito, ed è rimasto legato senza cibo solo per le tre ore destinate alla performance.

Insomma, a me questa sembra la classica bufala come quella dei gattini bonsai. Magari questa volta non è uno scherzo, ma è sicuramente molto rumore per nulla. Possibile che la gente non impari mai? E possibile che molta più gente scatti per un cane maltrattato che non per un dissidente imprigionato?

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Film: Michael Clayton

Michael CLaytonMichael Clayton è un avvocato specializzato nell’aggiustare a forza di trucchi e corruzione quelle situazioni che non offrono buone possibilità di essere risolte per via legale. Michael si trova in cattive acque finanziarie e, quando un socio dello studio legale ha una crisi personale e minaccia di rivelare che i cinici intrallazzi dell’azienda chimica sua cliente hanno causato dei morti che si potevano evitare, si trova a dover scegliere tra l’amicizia e la carriera.
Dopo aver visto questo film, sono rimasto sorpreso che sia stato accolto in modo così tiepido. E’ vero, racconta una storia già vista molte volte, e la trama è piuttosto lineare, senza particolari invenzioni. E c’è persino un classico lieto fine per dare il contentino allo spettatore. Trovo però che Michael Clayton (che titolo insulso, però!) si distingua nettamente dalla massa per la grandissima cura nello sviluppo dei caratteri e l’asettico cinismo con cui li tratta. In questo film non ci sono buoni da amare né cattivi da odiare.Il protagonista alla fine si schiera dalla parte giusta, ma per tutto il film è indeciso sul da farsi, e capiamo bene che se avessero saputo prenderlo dalla parte giusta avrebbe potuto fare la scelta opposta. La manager che ordina gli omicidi è quasi una vittima, costretta a calarsi in un ruolo di vincente spietata che prova ogni giorno davanti allo specchio, ma in realtà colta dalla nausea al pensiero di ciò che ha fatto. Persino i killer, nonostante la clinica spietatezza dimostrata, sembrano solo due travet del crimine che preferirebbero trovarsi da un’altra parte. Insomma, quello che si percepisce in Michael Clayton è la forza di un meccanismo infernale che trascina tutti a vendere l’anima contro la propria volontà. Risultato ottenuto con una scrittura antiretorica. Persino il personaggio del figlio di Michael, che in quasi ogni altro film sarebbe stata l’occasione per somministrare un concentrato di melassa, acquista invece una propria personalità autonoma. L’esordiente regista Tony Gilroy non solo esibisce una grande perizia tecnica, ma ha ilcoraggio di inserire el film insoliti simbolismi. Come il romanzo fantasy di serie Z per cui ifigli di Michael ha una sviscerata passione, e che appare in tutti i momenti topici del film a cambiare il destino dei personaggi. Sembra quasi che l’autore voglia suggerire che certi ideali tanto triti e consunti da non risultare più credibili per nessuno sono però l’unica cosa che ci può ancora salvare dall’inarrestabile ingranaggio del mercato. Da vedere.

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Libro: La casta dei giornali

Peccato che l’editore Baraghini abbia voluto dare a questo libro un titolo che sembra andare a rimorchio del ben più famoso La casta di Rizzo e Stella. Infatti questo non è affatot un instant-book per lucrare sul successo altrui. È invece un’inchiesta davvero seria e documentata su un problema di fondamentale importanza per la nostra democrazia, e cioè il cattivo uso che si fa dei finanziamenti a favore della stampa.
Possiamo riassumere così, in breve i dati riportati e le tesi espresse:

  • L’ammontare delle sovvenzioni alla stampa in Italia è impressionante: sommando i contributi diretti e quelli indiretti si arriva alla spaventosa cifra di oltre 700 milioni di euro annui.
  • Buona parte dei contributi diretti sono erogati a soggetti che non avrebbero alcun motivo per riceverli, ma sfruttano inghippi legislativi, sanatorie, false dichiarazioni per attingere perpetuamente alle casse dello Stato, spesso producendo testate che hanno una diffusione ridicola, quando addirittura non vanno direttamente al macero.
  • E tuttavia, mentre lo scandalo si è spesso appuntato su tali percettori di contributi diretti, in particolare quotidiani politici di movimenti spesso fittizi o defunti, una quantità molto maggiore di fondi viene erogata ai grandi quotidiani sotto forma di contributi indiretti (crediti di imposta sull’acquisto di carta, sconti sulle tariffe postali e telefoniche ecc…). Il risultato è che i grandi gruppi editoriali realizzano enormi utili a spese dei contribuenti, senza avere alcun incentivo a migliorare i propri prodotti in modo che vendano di più.
  • In questo modo la dipendenza dal potere delle grandi testate è fortissima, e  il numero dilettori rimane basso. Per giunta i grandi gruppi editoriali assistiti acquistano così indebitamente la forza di colonizzare o spazzare via qualsiasi realtà alternativa.
  • Il sistema è talmente perverso da far sì che non ci sia quasi nessuno che non partecipi in qualche modo delle elargizioni e non sia perciò interessato a mantenere una cappa di silenzio sui finanziamenti.
  • Il governo Prodi ha fatto qualche tentativo per migliorare la situazione. Ma (come in quasi tutto quello che fa, del resto) sono stati tentativi incerti, poco efficaci e suscettibili di essere presto annullati nei loro effetti.

Questo è quanto. Il libro non è proprio una lettura amena, essendo in gran parte occupato da sfilze di dati, numeri, leggi. In effetti la sua impostazione è un po’ vecchiotta: avrei preferito un testo più agile e delle tabelle riassuntive, meglio consultabili, per i dati. Inoltre la struttura ridondante fa sì che le stesse cose vengano ripetute più volte in punti diversi del libro, il che favorisce la chiarezza, ma può risultare parecchio noioso. Tuttavia si tratta di un’inchiesta davvero completa, che prende in esame ogni singolo aspetto del problema, e dà un’immagine assolutamente desolante del sistema Italia. Infatti, il sistema delle sovvenzioni alla stampa è un perfetto specchio di come viene ammnistrato il Paese, con leggi nate per motivi giusti che vengono piegate a fini ignobili, imbrogli palesi che vengono sanati per motivi politici, e una generale connivenza che fa sì che tutti in qualche modo partecipino alla spartizione e non abbiano interesse a cambiare le cose, nemmeno quando la situazione è diventata talmente grave che il meccanismo si corrode dall’interno.

Qualcuno mi chiederà: ma tu non dicevi, qualche tempo fa, che eri contrario all’abolizione delle sovvenzioni? In effetti lo sono tuttora. Io penso che on ci sia nulla di male, in sé,  nelle sovvenzioni. Il problema è come vengono erogate. Dovrebbero servire ad aiutare entità politiche effettivamente esistenti a esprimere le proprie idee e, soprattutto, a facilitare la nascita di nuove imprese in un regime di concorrenza. Come sono ora, servono a foraggiare una casta di portaborse e intriganti e, soprattutto, a mantenere in piedi aziende sclerotizzate e ingessate. Bisogna dire però che la lettura del libro ha notevolmente aumentato il mio scetticismo sulla effettiva praticabilità di una riforma virtuosa del sistema, stante l’attuale sistema politico.
Da leggere se vi sentite troppo allegri.

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Non avrete il mio euro!

Dopodomani si vota per le primarie del Partito Democratico, ma ho deciso che non parteciperò alle votazioni.
Non è stata una decisione facile. L’idea del Partito Democratico mi vedeva una volta tra i suoi più convinti sostenitori. Sembrava assolutamente logico che, visti i grandi cambiamenti nel sistema politico italiano, e visto che un gran numero di elettori si riconosce in una coalizione di centrosinistra, si creasse un grande cantiere che stabilisse alcuni principi di fondo in cui tutti si potessero riconoscere e alcuni obiettivi comuni da raggiungere. All’interno di questa "cornice", si sarebbe potuto dibattere liberamente, senza posizioni precostituite e lasciando spazio anche a voci che non provenissero dalle vecchie strutture dei partiti.
Un bel sogno, forse. Certo, qualcosa che non ha nulla a che vedere con la realtà del Partito Democratico oggi.
In primo luogo, il PD che sta nascendo non rappresenta affatto tutta l’area della coalizione di centrosinistra, ma solo la fusione di due delle sue componenti principali, lasciano fuori la sinistra vera e propria. Le responsabilità di questo sono molte, ma è un fatto, ed è già grave.
A questo si aggiunge il fatto che queste primarie sono state concepite in modo tale da rendere impossibile un confronto tra posizioni autenticamente diverse. Nelle primarie dei democratici americani ci sono enormi differenze tra i candidati, nessuno può assimilare un Jesse Jackson a un John Kerry, tanto per dire. nelle primarie del PD, al di là dell’appartenenza a diverse cordate personalistiche, è piuttosto difficile dire quali siano le differenze tra le posizioni dei principali candidati. Anche perché, tanto più un candidato è forte, tanto più si ingegna per mantenere le mani libere, evitando di impegnarsi su qualsiasi questione seria. Il regolamento delle primarie è stato concepito in modo tale che nessun candidato autenticamente alternativo ha avuto la possibilità di presentarsi. Possiamo scegliere tra Veltroni, il vincitore obbligato; un paio di democristiani; e una coppia di outsider che non impensieriscono nessuno e sono stati messi lì solo per dare un’illusione di partecipazione.
Se andiamo ad analizzare le dichiarazioni dei candidati alla segreteria nel loro insieme, ne risulta un vuoto desolante. Dal punto di vista ideologico, non esiste più alcun riferimento. Si naviga a vista verso un generico "nuovo", tanto che l’ex-candidato Schetitni ha potuto in tutta serietà proporre come figura di riferimento per il nuovo partito il capitano Kirk di Star Trek. Dal punto di vista programmatico, le cose non vanno meglio. Tra tutti i candidati, nessuno osa proporre qualcosa, non dico di rivoluzionario, ma anche solo di innovativo per risollevare il nostro Paese. Tutti si limitano a proporre piccole correzioni e aggiustamenti, che danno ben poca fiducia di poter cambiare significativamente il corso delle cose.
Essendo questa la situazione, non riesco proprio a vedere perché dovrei andare a donare un euro e, cosa molto più importante, la mia benedizione a un partito come questo. Sarei felice di poter votare un candidato di minoranza, se potessi riconoscermi almeno in parte in lui. Ma questo quintetto non ha saputo esprimere nulla del genere. E ha fatto ben poco per rassicurarmi sul fatto che su tutti i temi che io considero importanti il futuro partito prenderà posizioni che potrò condividere.
Se sarò costretto a scegliere tra questo PD e una destra che non ha fatto nulla per migliorare, lo voterò: si sceglie sempre il male minore. Ma in questo caso non sono costretto a scegliere, e non intendo dare la mia approvazione a un partito che sembra nascere già morto. Io sperò che domenica si presentino alle urne in pochi.  Mi rendo conto che si rischia, e che un PD nato male creerà ulteriori tensioni politiche che rafforzeranno la destra. Ma non si può approvare sempre tutto a causa dello spauracchio di Berlusconi. Io spero in un segnale d’allarme che faccia capire che di questo PD ce ne facciamo ben poco.

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"Non ci lasceremo processare nelle piazze"

"Hegel nota in un passo delle sue opere che tutti i grandi fatti e i grandi personaggi della storia universale si presentano, per così dire, due volte. Ha dimenticato di aggiungere la prima volta come tragedia, la seconda volta come farsa."

Karl Marx

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Film: I Simpson – Il film

Questo è un caso in cui il critico ha ben poco da dire. il film dei Simpson, in definitiva, non è altro che un episodio dei Simpson di durata doppia. C’è una grafica particolarmente curata, con qualche effetto tridimensionale, ma niente di davvero "diverso". E si vede il pistolino di Bart, cosa che immagino non sia possibile in TV. La sceneggiatura non comprende nessun evento "epocale" (d’accordo, come sempre accadono varie catastrofi, ma non muore alcun personaggio e non ne vengono introdotti di particolarmente interessanti).
Tuttavia un "normale" episodio dei Simpson è comunque già una gran cosa, spriitoso, arguto e divertente. E infatti ho apprezzato la satira e ho riso per ogni singolo minuto del film senza annoiarmi, nonostante la sceneggiatura divaghi parecchio.
Insomma, se ci si aspetta un film che dica qualcosa di nuovo, è un’occasione perduta. Se ci si aspetta quello che già apprezziamo in TV, solo in dose più massiccia, è esattamente quello che si ottiene, in tutta la sua gloria. A me è bastato.

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Disco: Nil Recurring

NilRecurringTra le tante cose che apprezzo dei Porcupine Tree c’è anche il grande numero di brani prodotti al di fuori degli album veri e propri. Anche e soprattutto perché si tratta spesso di pezzi rimasti esclusi dalla pubblicazione per problemi di affinità tematica o musicale, ma che di per loro sono di qualità del tutto paragonabile a quella dei brani inclusi. Inoltre i PT hanno l’abitudine di suonare questi brani anche dal vivo in concerto, senza escluderli a causa della ridotta esposizione al pubblico; e questo è un ulteriore stimolo ad andarseli a cercare.
Ora i PT hanno pubblicato un minialbum con quattro brani registrati duranti la produzione di Fear of a Blank Planet, per una durata complessiva di mezz’ora. L’ho ordinato e ricevuto, e ne sono rimasto pienamente soddisfatto.
La title-track, Nil Recurring, è uno strumentale con la partecipazione di Robert Fripp alla chitarra solista. Stilisticamente ricorda un incrocio tra In Absentia (forse il miglior disco dei PT) e il Fripp degli ultimi ProjeKCts. Il contributo frippiano è decisamente più interessante rispetto all’ormai scontata frippertronics fornita nell’album vero e proprio, e in generale il brano può confrontarsi con i migliori strumentali della band.
Il brano successivo, Normal, è la perla del mini album. Tiratissimo e sostenuto da un velocissimo arpeggio di chitarra acustica (un inedito per Steven Wilson), regge il confronto con i migliori pezzi di In Absentia, e fa capire che l’unico motivo per cui questi brani sono stati tenuti da parte è lo stile troppo poco innovativo rispetto al passato, non certo la scarsa ispirazione.
Il terzo brano, Cheating the Poligraph, è cofirmato da Gavin Harrison, e probabilmente è nato da una sua improvvisazione alla batteria. È molto interessante dal punto di vista ritmico, ma forse un po’ divagante. Il sound ricorda quello di Deadwing.
Chiude il minialbum What Happens Now?, un brano decisamente atipico. Lungo più di otto minuti, rimanda al periodo più pop e melodico dei PT ma, più ancora, a una delle altre band di Steven Wilson, i No-Man. Non solo per l’insolito loop di percussioni, ma più ancora per la presenza del violino elettrico di Ben Coleman, che dei No-Man fu membro.
In conclusione, mezz’ora di ottima musica, forse meno innovativa di quella contenuta in Fear of a Blank Planet, ma anche più accessibile. Mi sentirei di consigliarla non solo ai fan dei Porcupine Tree (per i quali è imprescindibile), ma anche a chi non ha mai ascoltato la band e vuole farsene un’idea a poco prezzo (sto scherzando: lo so che per quello ci si può scaricare la discografia completa su eMule). Però il disco è in edizione limitata e già esaurito. Potrete trovarlo in vendita ai prossimi concerti della band.

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