Noi crediamo

Noi crediamo che l’obiettivo del centrosinistra non debba essere quello di vincere per occupare e spartirsi posti di potere.
Noi crediamo che l’obiettivo del centrosinistra debba essere vincere per cambiare davvero l’Italia: rendendola un Paese all’avanguardia nel mondo per i diritti civili e sociali, per legalità ed equità, per qualità di welfare e ambiente, per accesso a Internet.
Noi crediamo che il rocambolesco balletto inscenato nelle ultime settimane dai leader dei partiti del centrosinistra attorno alle alleanze sia offensivo nei confronti di milioni di cittadini e di elettori.
Noi crediamo che il centrosinistra possa e debba proporre agli italiani una prospettiva ideale e concreta che non rimanga paralizzata per tutta una legislatura dal mercanteggiamento triste con chi in anni recenti e meno recenti ha rappresentato una delle componenti che ci è più lontana culturalmente, politicamente ed eticamente, e che soprattutto è stata complice di Berlusconi nel portare l’Italia in questa crisi.
Noi crediamo che non sia una questione di ‘veti’ ideologici ma al contrario di pragmatica consapevolezza che una coalizione innaturale non porterà mai ad alcun reale risultato politico, né potrà mai dare all’Italia quella frustata di civiltà e di giustizia di cui ha fortemente bisogno.
Noi crediamo che sia necessario puntare non a una coalizione da sopportare, ma a un progetto da supportare. Non a una mediazione prima ancora di incominciare, ma a una grande sfida da raccogliere. Non crediamo a scelte che provengono da lontano, ma a quelle che lontano ci possono portare.
Questo testo è stato scritto da Giuseppe Civati, Sara De Santis, Piero Filotico, Alessandro Gilioli, Patrizia Grandicelli, Ernesto Ruffini e Guido Scorza, ma appartiene a tutti coloro che vorranno condividerlo.

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Punti di vista

Rickey MedlockeQualche mese fa ho intervistato Rickey Medlocke dei Lynyrd Skynyrd. Gli ho chiesto tra l’altro se la sua band fosse ancora molto orientata politicamente come era negli anni ’60. Mi ha risposto in primo luogo dicendomi che quando si è giovani si è radicali e si pensa di dover cambiare il mondo, ma poi invecchiando si capisce che le cose non sonomai bianche o nere, anche se ovviamente anche oggi i membri della band hanno opinioni politiche. Poi ha aggiunto che il titolo del nuovo album è God & Guns, e che ovviamente tutti avrebbero pensato che si tratta del solito immaginario da redneck, ma in realtà se si leggono bene i testi si capisce che il vero messaggio del disco è il disco parla soprattutto di speranza e di fede, fede di poter viver da persone libere, in un mondo migliore. Infine mi ha detto di avere per buona parte sangue indiano, e di avere imparato dai suoi progenitori indiani che esiste una spiritualità che è universale per l’uomo e che si può trovare in ogni luogo. Infatti lui era appena stato a visitare il Cenacolo di Leonardo Da Vinci e aveva percepito le energie che provenivano da quell’affresco. Insomma, era quasi riuscito a convincermi che i Lynyrd Skynyrd fossero un gruppo new age.
Oggi mi è arrivata la copia ufficiale del disco coi testi. Che sono cose del tipo:
I overheard an old man
Tell a young soldier “thanks”
The young soldier hung his head and said “it’s hard to believe
You’re the only one who took the time to say a word to me”
And the old man said…

That ain’t my America
That aint this country’s roots
You wanna slam old Uncle Sam
But I ain’t letting you
I’m mad as hell and you know I still bleed Red, White, and Blue
That ain’t us
That Ain’t My America

It’s to the women and men who in their hands hold a Bible and a gun
And they ain’t afraid of nothing, when when they’re holding either one
.
Oppure:

Oh there’s a time we’d not forgot
You could rest all night with your doors unlocked
But there ain’t nobody safe no more
So you say your prayers and you thank the Lord
For the peacemaker in the dresser drawer


God and guns kept us strong
That’s what the country was founded on
Well we might well give up and run
If we let’em take our God and guns

Come dire? Basta capirsi…

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Viva la rana!

Pare che Bolzano sia in subbuglio a causa di una rana crocifissa. Si tratta di una scultura del defunto artista Martin Kippenberger, esposta al Museion, il museo di arte moderna di Bolzano, in occasione dell’apertura della nuova sede. Vari politici locali si sono pronunciati contro l’opera, e l’opposizione va crescendo con l’avvicinarsi della visita del Papa a Bolzano.
In passato ho espresso delle riserve riguardo alla libertà di esercitare la blasfemia in nome dell’arte: pur essendo ateo e fautore della massima libertà di parola, credo che ci siano modi migliori dell’insulto gratuito al sentimento religioso altrui per criticare la religione.
Tuttavia non mi sembra proprio che questo sia il caso. L’interpretazione ufficiale dell’opera è che l’autore abbia voluto rappresentare gli altoatesini, che si proclamano molto religiosi ma in realtà sono dediti all’alcool e alla bestemmia. Quindi in realtà non si tratta affatto di un’opera contro la religione, bensì di una critica a chi tradisce la propria. E, in ogni caso, la rana crocefissa può scioccare o sorprendere, ma non contraddice o ridicolizza alcun dogma cristiano.
Mi sembra quindi che le proteste dei poltici locali esprimano soprattutto un provincialismo estremo. Sottolineato del resto dalla frase attribuita a una di loro, "Qui non siamo a New York". Per l’appunto: e se ne vantano. Sono orgogliosi della loro grettezza. Ed è davvero paradossale che questa gente abbia speso cifre enormi per costruire un faraonico museo, con tanto di ponte-scultura sul torrente Talvera per accedervi, ma poi già alla prima mostra non sia capace di tollerare l’arte che vi viene esposta. Una situazione davvero simbolica dei tempi in cui viviamo.
E, parlando di crocefissi, giunge a proposito la notizia che il goberno Zapatero, in Spagna, sta facendo tutto il possibile per eliminare ogni simbologia cattolica da edifici e cerimonie pubblici, in primis proprio i crocefissi che ancora adornano aule ed edifici statali. Un atto che sembrerebbe del tutto automatico una volta che è stata abolita la religione di stato e sancito il principio che tutte le confessioni sono uguali di fronte allo Stato, e quindi nessuna va privilegiata. Eppure in Italia, a più 60 anni dalla promulgazione della Costituzione, e a quasi 20 anni dalla sentenza della Corte Costituzionale che conferma la fine della religione di Stato, i crocefissi sono inamovibili. Peggio: praticamente nessuno li vuole rimuovere. È una battaglia che viene lasciata ai radicali, o addirittura a provocatori estremisti del calibro di Adel Smith. La distanza culturale che ci separa dal resto d’Europa si sta facendo abissale.
Perciò viva la rana, mi auguro che resti dov’è e che faccia gli sberleffi al Papa quando arriva.

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L'abisso

Dunque, mentre l’orizzonte mediatico era occupato quasi del tutto dalla dignità offesa del Papa costretto a ritirarsi dall’università perché non poteva tollerare qualche fischio, in giro sono successe le seguenti cose:

  • Napoli è stata sommersa dai rifiuti, e credo lo sia tuttora. Tutti hanno dato la colpa a qualcun altro, nessuno si è dimesso. Il presidente Napolitano ha giudicato "eccessiva" la censura UE nei nostri confronti a questo proposito.
  • Berlusconi ha apertamente proposto lo scambio di una riforma elettorale ritenuta indispensabile da tutte le forze politiche con la mancata approvazione di una legge che minaccia i suoi personali guadagni.
  • La signora Lonardo Mastella continua a presiedere il consiglio regionale della Campania, pur essendo agli arresti domiciliari per concussione.
  • Suo marito Clemente Mastella si è dimesso dalla carica di Guardasigilli pronunciando un’invettiva contro i giudici che ha fatto impallidire quelle di Berlusconi, ricevendo per questo gli applausi dell’intero Parlamento.
  • Il presidente della regione Sicilia, Salvatore Cuffaro detto Totò, è stato condannato a cinque anni di reclusione per favoreggiamento nei confronti di un mafioso, ma intende rimanere al suo posto in quanto i giudici non hanno ritenuto dimostrata la sua affiliazione vera e propria con la mafia. Il presidente del suo partito, Pierferdinando Casini, si è congratulato come se avesse ricevuto una medaglia.

Toccheremo mai il fondo?

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Nuntio vobis gaudium magnum: non habemus papam

Nel coro mediatico quasi unanime di disapprovazione per quanto è avvenuto a La Sapienza, mi sento tenuto a dire che ho approvato la protesta dei docenti e degli studenti, e sono contento che siano riusciti nel loro intento di impedire che il Papa tenesse un discorso in occasione dell’apertura dell’Anno Accademico.
Sono disposto a concedere che non è mai bello impedire a qualcuno di parlare. Tuttavia la situazione va valutata nel suo contesto.
Cominciamo col dire che parlare di censura o di lesione della libertà di parola è abbastanza ridicolo
Il Papa possiede un proprio quotidiano e una propria radio (che trasmette su tutto il territorio nazionale con potenze fuorilegge), oltre che un esercito di seguaci pronti a diffondere il suo verbo fin nel più remoto dei paesini. Gode inoltre di una sovradimensionata attenzione da parte dei media italiani, senza eccezione. Quindi non penso sia stato leso il suo diritto di farci conoscere il suo pensiero.
Va detto, invece, che il Papa non è un intellettuale qualsiasi che va a confrontarsi in un dibattito alla pari. È in primo luogo un capo religioso, un capo di stato, e anche una figura che interviene pesantemente nella politica. In quanto tale, invitarlo ad aprire l’Anno Accademico non è un atto "neutro". Da questo punto di vista, contestarlo mi pare assolutamente legittimo.
L’argomento principale che viene usato per condannare la protesta contro il Papa è che in questo modo i laici si sarebbero sottratti al “confronto” e al “dialogo” e avrebbero dimostrato “chiusura”. Ebbene, questo mi sembra il punto fondamentale. Un dialogo si può avere quando i due interlocutori sono alla pari. Ma in Italia, da fin troppo tempo, assistiamo a un curioso “dialogo” tra laici e cattolici, in cui le posizioni dei laici sono sempre negoziabili e criticabili, e quelle cattoliche sono sempre principi irrinunciabili che non si possono mettere in discussione. In questi ultimi anni, tutti i tentativi di far passare alcuni fondamentali principi di laicità e di uguaglianza (nulla di rivoluzionario, ma semplici adeguamenti alla modernità già accettati quasi ovunque in Europa) sono stati ferocemente combattuti fino a farli scomparire dall’agenda politica. E questo non a causa della volontà della maggioranza degli elettori (il che sarebbe triste, ma giusto), bensì grazie a manovre politiche in cui il papato ha utilizzato senza scrupoli tutto il proprio potere religioso, economico, politico e mediatico, per ottenere risultati che vanno molto oltre l’effettiva consistenza numerica dei cattolici praticanti in Italia. Siamo arrivati al punto in cui le posizioni di chi vorrebbe una società autenticamente laica (che forse non saranno la maggioranza in Italia, ma sono comunque una parte importante della popolazione) sono di fatto prive di rappresentanza politica. In Italia non esistono più partiti laici di una qualche consistenza, ogni formazione politica ha in sé i suoi gendarmi cattolici pronti a mettersi di traverso se la volontà del Papa viene trasgredita. In queste condizioni non può esistere dialogo. Il Papa non voleva venire alla Sapienza per confrontarsi, ma per mettere un altro mattone al suo progetto di società subordinata alla religione, peraltro apertamente espresso ogni volta che ne ha avuto l’occasione. Di fronte a un simile progetto non si dialoga, ci si oppone.
C’è chi ha detto che la protesta contro il Papa avrebbe creato uno “strappo” di cui ci pentiremo. Ma lo strappo era già nei fatti. I laici italiani sono stanchi di vedere posizioni che altrove sarebbero considerate normali trattate come “estremismi” e marginalizzate dalla politica. Sono stanchi di essere tenuti a rispettare chi calpesta ogni giorno le norme concordatarie e avalla pesanti forme di discriminazione (vogliamo ricordare le gazzarre fatte per impedire che la discriminazione verso gli omosessuali fosse reato?). E ritengo sia un bene che la loro esasperazione sia finalmente emersa e diventata visibile, nel silenzio e nell’imbarazzo di quei politici che avrebbero dovuto farsene carico.
Se il Papa tornerà a fare il suo mestiere, occupandosi di religione, nessuno lo contesterà più. Finché lui e la curia continueranno a intervenire pesantemente nella politica italiana, entrando direttamente in questioni legislative e financo amministrative, non vedo perché dovrebbe godere dell’immunità dalle contestazioni. E meno male che nel mondo accademico c’è stato chi ha sentito la necessità di segnare un limite a queste invasioni di campo, che altrimenti i politici avrebbero accettato senza batter ciglio.
La protesta di Roma è stata un segnale importante. I politici, specie quelli di sinistra, invece che dissociarsene e sminuirla dovrebbero cercare di coglierne il significato. Altrimenti non sarà l’ultima.

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Ancora sulla questione Luttazzi…

Voglio linkare (via Ubimario) lo splendido post di Leonardo sull’argomento. Sacrosante parole.

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Considerazioni sparse intorno al caso Luttazzi

Daniele Luttazzi

  • Una necessaria premessa: io considero Luttazzi un genio. A mio avviso, non esiste nessun altro che abbia portato nella satira italiana tanta innovazione, che si sia sobbarcato tanti rischi, e nemmeno che sia riuscito a essere nemmeno lontanamente divertente quanto lui quando centra il bersaglio. Coloro che lo criticano perché parla di cacca e pipì dimostrano di non avere neppure provato a capirlo. E chi lo accusa di aver copiato dagli americani crede di criticarlo e invece gli fa un complimento, perché lui è l’unico ad essere riuscito a trapiantare con successo nel nostro Paese un certo tipo di comicità. Poi, certo, non sempre è divertente, a volte è incomprensibile o inutilmente sforzato. Ma questo è inevitabile quando si fa comicità non banale. Per dire, anche Cochi e Renato ai loro tempi a volte potevano risultare impenetrabili. E’ il prezzo che si paga frequentando strade poco battute.
  • E aggiungo: tanto la sua satira è tesa a superare ogni limite, quanto le posizioni politiche che assume sono intelligenti ed equilibrate (si veda quando si è espresso sul caso Grillo).
  • Detto questo, devo dire che la prima puntata di Decameron, l’unica che per ora ho visto, non mi ha entusiasmato. In primo luogo, il tono era troppo incazzato. Ora, Luttazzi ha tutte le ragioni del mondo per essere incazzato con un mucchio di gente. Ma questo non toglie che un eccesso di rabbia nuoccia alla satira. Le persone incazzate che battono sullo stesso tasto diventano noiose anche quando hanno ragione. Poi ho trovato inefficaci, noiosi e retorici i siparietti con gli antichi greci che discutono. E infine, ho avuto la sensazione che, per evitare la possibile accusa di essersi ammorbidito per rientrare in televisione, cercasse senza costrutto un modo per apparire più scandaloso di quanto ci si potesse aspettare (ed è difficile, trattandosi di lui). Per esempio, le scenette col cadavere del padre non mi sono parse divertenti e nemmeno scandalose, solo noiose.Sento dire che il programma è migliorato gradatamente, e penso che guarderò qualche altra puntata per verificare.
  • La battuta su Giuliano Ferrara, presa nel suo contesto, aveva perfettamente senso. Non era certamente una delle battute migliori di Luttazzi, ma non si può dire che fosse gratuita. Lo ha ammesso perfino Ferrara.
  • La sospensione del programma da arte di LA7 è totalmente pretestuosa. La battuta sarà stata forte, ma non è nulla più di quanto Luttazzi abbia detto e fatto mille volte nei suoi spettacoli. È ridicolo pensare che non si aspettassero battute del genere quando gli hanno affidato uno spazio. L’unica è pensare che il programma abbia dato fastidio a qualcuno. Ed è probabile che questo qualcuno sia il Vaticano, o perlomeno la squadra di atei devoti che del Vaticano fa gli interessi.
  • Giuliano Ferrara è una delle persone che disistimo di più in assoluto. E insieme a lui il suo giornaletto finanziato con soldi pubblici grazie a un trucco palese, e scritto da gente per cui intelligenza significa assumere la posizione più stronza possibile nascondendosi dietro trucchi retorici per farla franca (qui un esempio tra tanti). Credo che il fatto che Ferrara sia tutt’oggi uno dei più influenti giornalisti italiani possa e debba fare scandalo, ed è proprio qui che andava a parare la battuta di Luttazzi.
  • Dei tre epurati dopo l’editto bulgaro, Luttazzi ha subito un esilio molto più lungo, non è mai rientrato in RAI, e ora non riesce a rimanere nemmeno a La7. Il perché è evidente. Enzo Biagi era un giornalista sicuramente rispettabile, ma che aveva fatto il suo tempo già da decenni. Santoro era ed è un giornalista-politico, che può fare dentro e fuori dal Parlamento e dalla redazione come meglio crede. Le posizioni di ambedue erano prevedibili come il sorgere del sole. Luttazzi invece era l’unico cane sciolto, l’unico che desse fastidio anche a sinistra, l’unico che non fosse chiaramente ascrivibile in uno schieramento politico, pur avendo opinioni politiche nettissime. E infatti quasi nessuno, tra politici e giornalisti, si è speso perché potesse tornare in televisione.
  • In conclusione, trovo questa seconda epurazione di Luttazzi un fatto tristissimo. E ancora più triste il fatto che tra tanti commentatori, anche di sinistra, da Vittorio Zucconi ad Aldo Grasso a Michele Serra a Luca Sofri, nessuno abbia trovato delle ragioni per difenderlo. È qualcosa che rimpiangeremo.
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Appello: triangolo nero

Ho ricevuto nei gironi scorsi un appello sulla questione rumena, che mi pare del tutto in sintonia con quanto ho scritto in precedenza. Credo che presto l’appello sarà online sul sito Lipperatura, ma intanto vi giro il testo. triangolo_nero_testo_definitivo

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La minaccia rumena

La minaccia rumenaNell’ultimo anno di vita di mia nonna, mia madre si fece aiutare nell’assisterla da una giovane ragazza rumena. E’ un passo cui si decise con molta titubanza, temendo di portarsi in casa una persona che avrebbe potuto rivelarsi disonesta o inadatta ad accudire una persona anziana. In ogni caso, sarebbe stata una straniera con la quale avrebbero potuto esserci delle incomprensioni. Ma i timori si rivelarono completamente infondati. Valentina, così si chiama la ragazza, non solo si rivelò una lavoratrice instancabile e dotata di tutta la pazienza e la dolcezza necessarie per farsi accettare da una persona anziana qual’era mia nonna, quasi centenaria. Ma anche così gentile, spontanea e disponibile che in breve tempo si sviluppò un legame di sincero affetto tra lei e la mia famiglia. L’ho vista piangere sulla bara di mia nonna, e la sento tuttora telefonare a mia madre in amicizia così come si farebbe con un parente stretto.
È a Valentina che penso in questi giorni, lei che si rabbuiava ogni volta che sentiva la TV parlare di efferati delitti compiuti in Italia da rumeni, e li malediceva per le ulteriori difficoltà che quei criminali avrebbero creato ai rumeni onesti venuti in Italia per lavorare. Io non ho dati in mano che mi permettano di dire quanto speciale sia Valentina, ma la sua esistenza mi induce a pensare che tanti tra i rumeni venuti in Italia siano persone oneste, qualcuno forse persino più dell’italiano medio, e che certi delitti li sconvolgano quanto e più di noi. Basti pensare che l’aggressore di ieri è stato denunciato proprio da una donna rumena, che nemmeno parlava italiano.
Con questo non voglio negare che esista una situazione di emergenza. È evidente che la massiccia immigrazione rumena ha portato un aumento di criminalità che va affrontato in qualche modo, se non si vogliono creare reazioni di rigetto e di razzismo. Sinceramente, però, non so quanto le misure adottate dal governo si muovano nella giusta direzione. In pratica diventa possibile espellere dei cittadini europei con un provvedimento amministrativo e senza processo. Per quanto si possa sostenere che non c’era altra via per contenere la situazione, la correttezza giuridica della misura è discutibile (ed è tutto da vedere che sia utile: per esempio, l’aggressore di ieri non sembra essere un delinquente abituale, e difficilmente sarebbe stato colpito dall’espulsione prima del delitto).
Quello che però mi ha veramente infastidito è stato l’attacco di Veltroni contro il governo rumeno, che sarebbe colpevole di non si sa bene cosa. Considerato che la Romania è impegnata da un trattato internazionale a lasciare ai propri cittadini libertà di movimento attraverso le proprie frontiere, cosa avrebbe dovuto fare per impedirgli di venire in Italia, arrestarli tutti? Come avrebbe reagito Veltroni, se la Germania avesse protestato contro il governo Prodi per la strage di ‘ndrangheta avvenuta sul suo territorio? Sbaglio se dico che Veltroni si sta abbandonando al populsimo più bieco?

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Libro: La casta dei giornali

Peccato che l’editore Baraghini abbia voluto dare a questo libro un titolo che sembra andare a rimorchio del ben più famoso La casta di Rizzo e Stella. Infatti questo non è affatot un instant-book per lucrare sul successo altrui. È invece un’inchiesta davvero seria e documentata su un problema di fondamentale importanza per la nostra democrazia, e cioè il cattivo uso che si fa dei finanziamenti a favore della stampa.
Possiamo riassumere così, in breve i dati riportati e le tesi espresse:

  • L’ammontare delle sovvenzioni alla stampa in Italia è impressionante: sommando i contributi diretti e quelli indiretti si arriva alla spaventosa cifra di oltre 700 milioni di euro annui.
  • Buona parte dei contributi diretti sono erogati a soggetti che non avrebbero alcun motivo per riceverli, ma sfruttano inghippi legislativi, sanatorie, false dichiarazioni per attingere perpetuamente alle casse dello Stato, spesso producendo testate che hanno una diffusione ridicola, quando addirittura non vanno direttamente al macero.
  • E tuttavia, mentre lo scandalo si è spesso appuntato su tali percettori di contributi diretti, in particolare quotidiani politici di movimenti spesso fittizi o defunti, una quantità molto maggiore di fondi viene erogata ai grandi quotidiani sotto forma di contributi indiretti (crediti di imposta sull’acquisto di carta, sconti sulle tariffe postali e telefoniche ecc…). Il risultato è che i grandi gruppi editoriali realizzano enormi utili a spese dei contribuenti, senza avere alcun incentivo a migliorare i propri prodotti in modo che vendano di più.
  • In questo modo la dipendenza dal potere delle grandi testate è fortissima, e  il numero dilettori rimane basso. Per giunta i grandi gruppi editoriali assistiti acquistano così indebitamente la forza di colonizzare o spazzare via qualsiasi realtà alternativa.
  • Il sistema è talmente perverso da far sì che non ci sia quasi nessuno che non partecipi in qualche modo delle elargizioni e non sia perciò interessato a mantenere una cappa di silenzio sui finanziamenti.
  • Il governo Prodi ha fatto qualche tentativo per migliorare la situazione. Ma (come in quasi tutto quello che fa, del resto) sono stati tentativi incerti, poco efficaci e suscettibili di essere presto annullati nei loro effetti.

Questo è quanto. Il libro non è proprio una lettura amena, essendo in gran parte occupato da sfilze di dati, numeri, leggi. In effetti la sua impostazione è un po’ vecchiotta: avrei preferito un testo più agile e delle tabelle riassuntive, meglio consultabili, per i dati. Inoltre la struttura ridondante fa sì che le stesse cose vengano ripetute più volte in punti diversi del libro, il che favorisce la chiarezza, ma può risultare parecchio noioso. Tuttavia si tratta di un’inchiesta davvero completa, che prende in esame ogni singolo aspetto del problema, e dà un’immagine assolutamente desolante del sistema Italia. Infatti, il sistema delle sovvenzioni alla stampa è un perfetto specchio di come viene ammnistrato il Paese, con leggi nate per motivi giusti che vengono piegate a fini ignobili, imbrogli palesi che vengono sanati per motivi politici, e una generale connivenza che fa sì che tutti in qualche modo partecipino alla spartizione e non abbiano interesse a cambiare le cose, nemmeno quando la situazione è diventata talmente grave che il meccanismo si corrode dall’interno.

Qualcuno mi chiederà: ma tu non dicevi, qualche tempo fa, che eri contrario all’abolizione delle sovvenzioni? In effetti lo sono tuttora. Io penso che on ci sia nulla di male, in sé,  nelle sovvenzioni. Il problema è come vengono erogate. Dovrebbero servire ad aiutare entità politiche effettivamente esistenti a esprimere le proprie idee e, soprattutto, a facilitare la nascita di nuove imprese in un regime di concorrenza. Come sono ora, servono a foraggiare una casta di portaborse e intriganti e, soprattutto, a mantenere in piedi aziende sclerotizzate e ingessate. Bisogna dire però che la lettura del libro ha notevolmente aumentato il mio scetticismo sulla effettiva praticabilità di una riforma virtuosa del sistema, stante l’attuale sistema politico.
Da leggere se vi sentite troppo allegri.

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