Non avrete il mio euro!

Dopodomani si vota per le primarie del Partito Democratico, ma ho deciso che non parteciperò alle votazioni.
Non è stata una decisione facile. L’idea del Partito Democratico mi vedeva una volta tra i suoi più convinti sostenitori. Sembrava assolutamente logico che, visti i grandi cambiamenti nel sistema politico italiano, e visto che un gran numero di elettori si riconosce in una coalizione di centrosinistra, si creasse un grande cantiere che stabilisse alcuni principi di fondo in cui tutti si potessero riconoscere e alcuni obiettivi comuni da raggiungere. All’interno di questa "cornice", si sarebbe potuto dibattere liberamente, senza posizioni precostituite e lasciando spazio anche a voci che non provenissero dalle vecchie strutture dei partiti.
Un bel sogno, forse. Certo, qualcosa che non ha nulla a che vedere con la realtà del Partito Democratico oggi.
In primo luogo, il PD che sta nascendo non rappresenta affatto tutta l’area della coalizione di centrosinistra, ma solo la fusione di due delle sue componenti principali, lasciano fuori la sinistra vera e propria. Le responsabilità di questo sono molte, ma è un fatto, ed è già grave.
A questo si aggiunge il fatto che queste primarie sono state concepite in modo tale da rendere impossibile un confronto tra posizioni autenticamente diverse. Nelle primarie dei democratici americani ci sono enormi differenze tra i candidati, nessuno può assimilare un Jesse Jackson a un John Kerry, tanto per dire. nelle primarie del PD, al di là dell’appartenenza a diverse cordate personalistiche, è piuttosto difficile dire quali siano le differenze tra le posizioni dei principali candidati. Anche perché, tanto più un candidato è forte, tanto più si ingegna per mantenere le mani libere, evitando di impegnarsi su qualsiasi questione seria. Il regolamento delle primarie è stato concepito in modo tale che nessun candidato autenticamente alternativo ha avuto la possibilità di presentarsi. Possiamo scegliere tra Veltroni, il vincitore obbligato; un paio di democristiani; e una coppia di outsider che non impensieriscono nessuno e sono stati messi lì solo per dare un’illusione di partecipazione.
Se andiamo ad analizzare le dichiarazioni dei candidati alla segreteria nel loro insieme, ne risulta un vuoto desolante. Dal punto di vista ideologico, non esiste più alcun riferimento. Si naviga a vista verso un generico "nuovo", tanto che l’ex-candidato Schetitni ha potuto in tutta serietà proporre come figura di riferimento per il nuovo partito il capitano Kirk di Star Trek. Dal punto di vista programmatico, le cose non vanno meglio. Tra tutti i candidati, nessuno osa proporre qualcosa, non dico di rivoluzionario, ma anche solo di innovativo per risollevare il nostro Paese. Tutti si limitano a proporre piccole correzioni e aggiustamenti, che danno ben poca fiducia di poter cambiare significativamente il corso delle cose.
Essendo questa la situazione, non riesco proprio a vedere perché dovrei andare a donare un euro e, cosa molto più importante, la mia benedizione a un partito come questo. Sarei felice di poter votare un candidato di minoranza, se potessi riconoscermi almeno in parte in lui. Ma questo quintetto non ha saputo esprimere nulla del genere. E ha fatto ben poco per rassicurarmi sul fatto che su tutti i temi che io considero importanti il futuro partito prenderà posizioni che potrò condividere.
Se sarò costretto a scegliere tra questo PD e una destra che non ha fatto nulla per migliorare, lo voterò: si sceglie sempre il male minore. Ma in questo caso non sono costretto a scegliere, e non intendo dare la mia approvazione a un partito che sembra nascere già morto. Io sperò che domenica si presentino alle urne in pochi.  Mi rendo conto che si rischia, e che un PD nato male creerà ulteriori tensioni politiche che rafforzeranno la destra. Ma non si può approvare sempre tutto a causa dello spauracchio di Berlusconi. Io spero in un segnale d’allarme che faccia capire che di questo PD ce ne facciamo ben poco.

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"Non ci lasceremo processare nelle piazze"

"Hegel nota in un passo delle sue opere che tutti i grandi fatti e i grandi personaggi della storia universale si presentano, per così dire, due volte. Ha dimenticato di aggiungere la prima volta come tragedia, la seconda volta come farsa."

Karl Marx

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Free Burma!

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Tu vuoi fare il talebano

TalebanoCirca sei mesi fa, il Ministro degli Esteri Massimo D’Alema avanzò la proposta di pace in Afghanistan che avrebbe dovuto comprendere anche i talebani. Oggi il presidente afgano Karzai fa una proposta che si spinge oltre, e chiede ai talebani di entrare addirittura al governo del Paese.
Di per sé, in questo non c’è nulla di straordinario. Se c’è una guerra in corso, i casi sono due: o ci si propone di annientare completamente l’avversario (cosa sicuramente non praticabile nella situazione afghana), o ci si si rassegna a trovare un accordo con lui, per quanto odioso ci possa sembrare. Non posso giudicare quanto sia seria la proposta di Karzai e quante speranze abbia di essere accolta, ma  credo sicuramente che sia un passo nella giusta direzione.
Il motivo per cui scrivo questo post, però, è che vorrei sapere cos’hanno da dire ora tutti quei soloni che, solo pochi mesi fa, dalle pagine del Corriere della Sera si sono scagliati contro D’Alema giudicando la sua proposta, pericolosa, irrealizzabile, insensata, lesiva del prestigio del nostro Paese, frutto avvelenato di un’intesa con la sinsitra radicale a scapito della lotta al terrorismo.
Si chiede spesso ai politici incompetenti di togliersi di mezzo. Ma un giornalista che sbaglia le proprie analisi in modo così grossolano, non dovrebbe anche lui lasciare il posto a qualcun altro?

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Non vedo nessun motivo per non farlo…

…e molti per farlo. Quindi oggi mi vestirò di rosso. E anche questo post.

UPDATE:
E, a giudicare dalla gente in metropolitana e qui sul mio posto di lavoro, sono anche stato l’unico di tutta Milano o giù di lì.

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A immaginare il peggio non si sbaglia mai…

Apprendo ora che nel nuovo consiglio di amministrazione di EPolis c’è Marcello Dell’Utri. Credo purtroppo che ogni altro commento sia superfluo.

UPDATE:
Qui c’è un messaggio di uno dei redattori di EPolis che conferma la mia idea di quanto succede.

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Io non c'ero

NoVDayMolte persone che conosco, sia personalmente che telepaticamente, sono andate al Vaffanculo Day, e hanno esortato me a fare altrettanto. Non ci sono andato: ho già espresso in passato perplessità riguardo a Beppe Grillo, e col tempo i miei dubbi non hanno fatto altro che aumentare.

Premetto che a mio parere Grillo ha sicuramente dei grossi meriti. Ha parlato più volte di questioni importanti che altrimenti sarebbero rimaste del tutto inosservate, e spesso lo ha fatto molto bene. Basterebbe, credo, la denuncia della situazione Parmalat che ha fatto un anno prima che scoppiasse il famoso scandalo per riconoscergli di aver saputo fare informazione spesso molto meglio dei canali “ufficiali”. Dirò di più: se si limitasse a informare, a sottolineare storture e anomalie, lo sosterrei al 100%. Purtroppo però Grillo non si limita a questo. Grillo propone, e chiede alla gente di sostenere le sue proposte. E qui cominciano i guai, perché sono spesso approssimative, sballate e controproducenti. 

Cercando nel sito di Grillo si trova di tutto. Per esempi, parliamo della semplificazione amministrativa. In molti hanno detto che i comuni italiani sono troppi e spesso troppo piccoli, e che le province sono enti inutili che non hanno ragione di esistere. Ma Grillo va oltre e propone: soppressione delle province e delle comunità montane, istituzione di tre macroregioni di circa 19 milioni di abitanti ciascuna […], accorpamento degli ottomila comuni riducendoli a un centinaio. C’è di che rimanere perplessi. Tre macroregioni? Ma le regioni devono servire a gestire le situazioni locali, come si fa a pensare che una regione che accorpa veneti, piemontesi, lombardi, liguri e così via, possa svolgere meglio il suo compito? Una regione del genere, in un contesto di ampie differenze locali come quello italiano, sarebbe simile a un piccolo stato. E, in effetti, l’idea delle macroregioni era stata proposta in primo luogo dai leghisti come anticamera della secessione del Nord e dello smembramento dell’Italia. Non sembra proprio una buona idea. Quanto al resto, non riesco a vedere alcun buon motivo per la soppressione delle comunità montane. Riguardo alla riduzione del numero dei comuni siamo d’accordo, ma… un centinaio? Non sono un po’ pochi? Diventerebbero grandi come delle province, che sono per l’appunto un centinaio. Ma allora cosa si fa? Si aboliscono le province, e poi le si reintroduce chiamandole comuni? Insomma, in materia di riforme amministrative Grillo fa semplicemente delle chiacchiere da bar sport, per giunta riecheggiando idee care ai leghisti. Non mi pare il caso di dargli retta.

Un altro esempio? La soppressione delle sovvenzioni alla stampa, che a quanto pare potrebbe essere l’obiettivo della prossima legge di iniziativa popolare proposta dai sostenitori di Grillo. Ora, ammetto di essere di parte, in quanto giornalista, ma anche questa a me non sembra proprio una buona idea. Sono il primo a dire che è scandaloso che un paio di deputati possano ottenere fiumi di euro per tenere in piedi i loro giornaletti personale che nessuno legge e servono solo per dare stipendi ai loro portaborse, o che ci siano editori che riescono a scroccare fior di soldi allo Stato grazie a copie stampate e non distribuite o a finti giornali che in realtà contengono solo pubblicità. Ma abolire del tutto le sovvenzioni alla stampa perché ci sono degli imbrogli equivarrebbe a eliminare le pensioni di invalidità perché ci sono i falsi invalidi. La stampa italiana è, per l’appunto, invalida. Nel nostro paese si legge pochissimo, e la rivista media in Italia vende poche migliaia di copie, quando l’equivalente in un’altra nazione europea ne vende decine di migliaia. Sospendere le sovvenzioni significherebbe la morte di numerosissime testate. Ed è piuttosto ingenuo pensare che in questo modo si taglierebbero i rami secchi e rimarrebbero in vita le testate migliori e più libere. Al contrario, sopravviverebbero solo quelle legate a interessi economici ben precisi. Per quanto male si possa pensare della stampa odierna, è tutto da dimostrare che un simile trattamento le farebbe bene.

Venendo poi alle proposte del Vaffanculo Day, avevo già esposto i miei dubbi in un post di parecchio tempo fa. La validità delle mie critiche di allora rimane immutata. C’è poi da aggiungere che la richiesta di tenere fuori dal Parlamento anche chi è stato condannato nel primo grado di giudizio va contro tutta la nostra civiltà giuridica, che vuole l’imputato innocente fino alla condanna definitiva. Come hanno già fatto notare in molti, la proposta di legge è perciò palesemente incostituzionale, e non ha alcuna speranza di diventare esecutiva.

Molti dicono che non bisogna soffermarsi troppo su quello che dice Grillo, che in fondo quello che conta è che ha stimolato la partecipazione politica, e via dicendo. Ma io non sono d’accordo. Credo che un politico (e Grillo, nel momento in cui si fa promotore di proposte di legge, diventa un politico, checché ne dica lui) vada giudicato in base a quello che propone, e non ai sentimenti che veicola. Quelli che dicono “appoggio Grillo anche se non sono d’accordo con tutte le sue proposte, perché quello che ci vuole ora è un cambiamento”, mi ricordano quelli che nel 1994 dicevano la stessa cosa di Berlusconi. All’epoca un sacco di gente diceva che il Cavaliere era quello che ci voleva per spazzare via tutto il vecchio, poi sarebbero arrivati dei politici autentici che avrebbero preso il suo posto. Sappiamo bene com’è finita. Io non me la sento di dare il mio appoggio a qualcuno che fa proposte in tutte le direzioni senza che sia chiaro quello che vuole fare, e intanto ha costruito un movimento politico e punta già a influenzare le prossime elezioni amministrative. Io spero che gli amici del V-day abbiano ragione, e so che la maggior parte di loro appoggia Grillo per ragioni giustissime. Ma io sento puzza di bruciato, e non vorrei un giorno dovermi pentire di aver dato con leggerezza a qualcuno gli strumenti per fare danni.

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No representation without taxation

Le recenti rivelazioni su brogli praticati in Oceania nel corso delle ultime elezioni politiche non fanno che confermare l’opinione che ho sempre avuto riguardo al voto degli italiani all’estero: si tratta di una legge insensata, che non avrebbe dovuto essere approvata e che andrebbe abrogata subito (nonostante abbia il merito, se così lo si può chiamare, di aver procurato al centrosinistra la sua risicatissima maggioranza in Senato).
Il fatto è che la questione del voto degli italiani all’estero riunisce due questioni totalmente diverse e separate. La prima è quella di permettere agli italiani che temporaneamente si trovano lontano dal loro seggio di poter votare ugualmente. La seconda è quella di dare il voto anche agli italiani che risiedono stabilmente all’estero, e pertanto non sono iscritti ad alcun seggio italiano.
Il primo problema mi pare abbastanza facilmente risolvibile (in molte nazioni il voto dall’estero, per posta o nei consolati, è una pratica consolidata) e decisamente importante. Ma la legge sul voto degli italiani all’estero non se ne occupa affatto. Tuttora, se sei in vacanza, sei uno studente Erasmus, o comunque ti trovi all’estero temporaneamente, non hai la possibilità di esercitare il tuo diritto di voto.
In compenso, la legge ha dato la possibilità di votare a centinaia di migliaia di italiani che risiedono stabilmente all’estero. La cosa è stata presentata come una grande conquista di civiltà non solo dai promotori della legge come Mirko Tremaglia, ma anche da esponenti di sinistra come Furio Colombo. Eppure, a me sembra palesemente un nonsenso. In pratica è stato concesso un diritto a persone che non hanno alcun dovere nei nostri confronti. Gli italiani all’estero non sono soggetti alle leggi italiane e non pagano le tasse in Italia; sono quindi dei soggetti totalmente irresponsabili, che possono prendere parte al processo decisionale senza subirne le conseguenze. Per fare un paragone, immaginate che una legge stabilisca che, nei condomini, 100 millesimi vadano assegnati agli ex inquilini dello stabile, che non abitano più lì, non contribuiscono alle spese, ma possono influenzare le decisioni dell’assemblea. Vi sembrerebbe logico?
Per giunta, la legge implica che ci siano candidati in collegi esteri che tengono la loro campagna elettorale all’estero, fuori dal territorio italiano. Il che implica sia l’impossibilità di far rispettare le norme, sia anche solo di garantire che la campagna elettorale si possa tenere (non è solo un’ipotesi: già il Canada ha espressamente vietato che si possa votare per elezioni straniere all’interno del suo territorio).
Le conseguenze sono evidenti: disparità di trattamento per i cittadini a seconda del luogo in cui risiedono, facilità di brogli,tutto per eleggere dei parlamentari che, non avendo particolari responsabilità verso i loro elettori, possono prestarsi come manovalanza per manovre politiche (Pallaro docet). Approvare queste legge è stato un errore che andrebbe corretto. Ma ormai gli italiani all’estero hanno i loro rappresentanti in Parlamento, sufficientemente numerosi e corteggiati da rendere pressoché certo che la legge rimarrà in vigore per sempre. Un’altra di quelle entità inutili e dannose che si sostentano a danno del Paese, mostri che l’eterno sonno dell’Italia partorisce a getto continuo.

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Sostegno morale

GianoVeltroniWalter Weltroni ha dichiarato che, pur essendo totalmente a favore del referendum sulla legge elettorale, non lo firmerà, in quanto candidato alla guida di un partito nel quale "convivono idee diverse". Un bizantinismo degno del peggior doroteo: logica vorrebbe che chi si candida a una carica sostenesse con convinzione le sue posizioni, e non le annacquasse per un malinteso rispetto per le posizioni opposte.
Purtroppo, immagino che questa sia un’anteprima di quello che dobbiamo aspettarci dal futuro PD: un’entusiastica adesione ai principi della laicità e della sinistra… a parole. Perché poi, nella pratica, c’è chi ha idee diverse.

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Notizie vuote

Milano violentaIn questi giorni quasi tutti i giornali hanno titolato riprendendo una conferenza stampa del Viminale, dicendo che un italiano su quattro non si sente al sicuro dalla criminalità. Sottointendendo che si tratta di un fatto grave.
È evidente che in un mondo perfetto il 100% dei cittadini si sentirebbe al sicuro. tuttavia, visto che evidentemente non viviamo in un mondo perfetto, mi chiedo: è un dato grave? Si potrebbe interpretarlo in modo opposto, dicendo che ben tre cittadini su quattro si sentono al sicuro. Soprattutto, manca qualunque termine di confronto. Quandi cittadini si sentivano al sicuro negli anni ’50, ’70, ’90, l’anno scorso? Quanti cittadini si sentono al sicuro in Francia, o negli Stati Uniti? Ovviamente nessuno si è preso la briga di cercare questi dati e fornirli. Perlomeno che io sappia.Io, nel mio piccolo, sono andato a spulciarmi il rapporto originale del Viminale. Ovviamente non l’ho letto tutto: sono 450 pagine! Però, a giudicare dall’indice, solo tre pagine sono dedicate alla paura di subire reati in Italia. Quanto ai dati, c’è soltanto una tabella, dalla quale si evince che, al netto di variazioni locali, tale paura è rimasta sostanzialmente invariata negli ultimi 15 anni. E allora?

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