Libro: Che la festa cominci

Che la festa cominciUn palazzinaro corrotto e straricco ha ottenuto dal comune di Roma il parco di villa Ada per farne la propria residenza privata, lo ha popolato di belve e intende festeggiarne linaugurazione con un vero e proprio safari cui parteciperanno tutti i VIP italiani. Tra loro c’è anche Fabrizio Ciba, scrittore di grande successo ma col segreto (e fondato) timore di essere un bluff che prima o poi la gente scoprirà. Ma ci sono anche, infiltrate, le Belve di Abaddon, i seguaci di una scalcinatissima setta satanica che intendono conquistare fama imperitura compiendo un sacrifico umano durante la festa…
Raramente ho cominciato a leggere un libro con tanto piacere come con questo nuovo Ammaniti. Il primo capitolo, con la riunione della setta satanica "all’amatriciana", è da applauso, un pezzo satirico da antologia, qualcosa che ti fa ridere di gusto e nel contempo ammirare la sottile analisi psicologica, insomma l’Ammaniti migliore. Poi però, gradatamente, la forza del libro cala fino ad ammosciarsi. In parte ne è responsabile il personaggio di Fabrizio Ciba, macchietta di scrittore vanitoso e velleitario probabilmente molto realistica, ma che non è né abbastanza grottesca da essere divertente, né ci dice qualcosa di davvero nuovo o interessante. Ma soprattutto, è la struttura del libro a non funzionare: manca del tutto quella sensazione di meccanismo a orolgeria, in cui tutti i pezzi vanno a combaciare, che era la caratteristica più entusiasmante della scrittura ammanitiana. Qui, al contrario, scene e personaggi rimangono a fluttuare nel vuoto, senza un collegamento con il resto della trama, o anche senza che il loro inserimento appaia motivato. Per esempio: la scena dell’amante di Ciba e del video porno, episodio che si perde nel nulla. Oppure il cuoco bulgaro ipnotizzatore, che non si capisce bene cosa c’entri con tutto il resto. Alla fine, invece che risolvere la trama, Ammaniti decide di sfasciare tutto con un’invasione di creature del sottosuolo, tanto ingiustificate che è costretto a inserire sette pagine di quello che lui stesso definirebbe un micidiale "spiegone", senza comunque riuscire a infondere un minimo di credibilità all’evento. Peccato, perché le potenzialità per scrivere un grande libro c’erano tutte. C’è chi sostiene che da Ammaniti ci si aspetta troppo, e che si tratta solo di un bravo scrittore pulp dal quale però è sbagliato pretendere qualcosa di più. Io continuo ad ammirare la sua capacità di colpire e accattivare il lettore, che anche in Che la festa cominci raggiunge vette notevoli. Ma proprio per questo continuo ad volere da lui qualcosa di più, che negli ultimi due romanzi non è arrivato.

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Libro: Il patto di Mezzanotte

Agorà è una città circondata dal nulla, divisa in quartieri che prendono i nomi dei segni zodiacali, dove tutto si può vendere e comprare, anche le emozioni, estratte dalle persone da appositi macchinari alchemici. Mark è un ragazzino che, vista la propria famiglia sterminata da un’epidemia, venduto dal suo stesso padre, viene salvato da un medico che letteralmente lo compra per farne il suo assistente. Ma chi davvero aiuta Mark atrovare il coraggio di andare avanti è Lily, ragazza poco più grande di lui, anche lei di proprietà della stessa famiglia. Separati quasi subito, Mark e Lily tentano ciascuno per suo conto di sopravvivere in una società che non perdona nulla ai poveri e ai deboli. Si reincontreranno in circostanze drammatiche, interferendo con le azioni di una società segreta…

Il patto di mezzanotte è un fantasy atipico, dove non ci sono elfi, orchi o altre creature fatate, non ci sono oggetti cruciali da cercare, proteggere o distruggere, e non è in corso nessuno scontro epocale tra il Bene e il Male. Lo si potrebbe definire un fantasy dickensiano: come in David Copperfield o Oliver Twist, assistiamo alle peripezie di un giovane coinvolto nelle ingiustizie di una società che, sullo sfondo, né commette di molto più terribili. Scritto da un venticinquenne (con una professionalità che gli scrittori fantasy italiani in erba possono solo sognarsi) ha tra i pregi soprattutto un’ambientazione interessante, che sconfina quasi nel fantascientifico (la città di Agorà somiglia quasi a un esperimento sociale di liberismo sfrenato, e non è detto che nei prossimi romanzi non si riveli tale), oltre a personaggi non banali. Ha anche dei difetti. In primo luogo una scrittura a volte un po’ ripetitiva e scontata nei suoi effetti. Ma soprattutto, l’autore non scopre tutte le sue carte, lasciando alcune cose nell’ombra, pronte per essere svelate nell’inevitabile seguito.

Il romanzo ha anche una particolarità: l’ho tradotto io, insieme a mia moglie Silvia Castoldi. Vi invito dunque a leggerlo e a dirmi cosa ne pensate.

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Un futuro di delitti

Vi segnalo che su Delos è apparso un mio articolo sui noir fantascientifici. Non è articolato ed esauriente come avrei voluto, perché purtroppo è stato scritto in un periodo di totale ingorgo lavorativo. Ma spero che possa comunque risultare interessante.

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Libro: Guida Galattica dei Gourmet

GGGQuesta, più che una recensione, è una segnalazione: non sarebbe infatti corretto recensire un libro di cui sono tra gli autori. In effetti un mio raccontio, Missione diplomatica, appare tra le sue pagine.
L’occasione per l’uscita dell’antologia è stato il decennalle di Memorie di un cuoco d’astronave di Massimo Mongai. Ricordo che all’epoca il libro non mi entusiasmò: mi parve sì, divertente, simpatico, piacevole, ma anche di un umorismo un po’ troppo semplice, scontato, per meritare il premio Urania. Col senno di poi, però, devo correggere il mio giudizio, perché Mongai è indubbiamente riuscito a creare un personaggio in grado di rimanere nella testa della gente, una specie di archetipo come il capitano Kirk, in grado di veicolare i contenuti più vari. E in effetti la cosa più divertente di questa raccolta di racconti è vedere come il personaggio del cuoco spaziale Rudy Turturro sia stato preso in mano da ben 19 autori rimanendo sempre essenzialmente se stesso, nonostante la grande varietà di stili e di situazioni.
Forse il mio giudizio è distorto dal fatot di essere stato tra i prescelti, ma devo lodare l’opera dei curatori, che sono riusciti a mettere insieme un gran numero di racconti, alcuni buoni (il mio preferito è quello di Francesco Grasso) altri un po’ meno, ma senza i terribili sbalzi di qualità che si trovano spesso in opere di questo genere.
Il libro sembra distribuito molto bene (perlomeno, a Mlano si trova ovunque), se qualcuno dovesse acquistarlo e leggere il mio racconto mi faccia sapere il suo giudizio.

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Libro: Ultima Corsa

In fuga dopo la rapina andata male alla fine del libro precedente, Parker viene salvato per il rotto della cuffia da Tom, un uomo che si offre di ospitarlo per nasconderlo alla polizia. Ma questo aiuto non è altruistico: Tom vuole aiuto per rapinare i datori di lavoro che lo hanno licenziato, un colpo che pianifica da anni senza avere il coraggio di metterlo in pratica. Nel frattempo, lo sceriffo del paese chiede aiuto a tutti i cittadini per stanare i rapinatori fuggitivi… e Parker si ritrova a far parte di una squadra alla ricerca di sé stesso!
Non conoscevo Parker prima di incontrare questo libro. Ho così scoperto che si tratta di un personaggio apparso per la prima volta nel 1962, e che questo è il ventiquattresimo libro in cui appare (e negli USA ne è già uscito un altro!). L’autore non è che uno pseudonimo di Donald E. Westlake, uno dei maggiori scrittori noir viventi.
Devo dire di essere rimasto affascinato. Si tratta di romanzi di pura azione, in cui la tensione non cala mai. Non c’è alcuna visione moralistica: al contrario, il personaggio di Parker è affascinante proprio perché totalmente amorale, un criminale professionista assolutamente gelido, che riesce sempre a cavarsela proprio perché non si lascia mai fuorviare dalle emozioni. Sono libri di puro intrattenimento, eppure questo romanzo riesce a essere davvero sottile. Il confronto tra un criminale fatto e finito come Parker e i cittadini di un paesotto dimenticato nel profondo degli USA, che dovrebbero essere gli “onesti” ma in realtà reagiscono alla presenza di Parker scatenando i loro peggiori istinti, è condotto in modo davvero magistrale, ed è molto più rivelatore di tanti altri romanzi con maggiori pretese, L’unico calo di tensione l’ho notato nel finale, quando c’è l’obbligatorio showdown che deve consentire a Parker di cavarsela per poter essere protagonista del romanzo successivo.
Il libro l’ho letto in originale, per un motivo ben preciso: l’ho tradotto io, insieme a mia moglie. Maggiori notizie qui.

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Libro: La croce Honninfjord

Bjorn è l’archivista che si occupa di gestire un’antichissima raccolta di spartiti musicali che ha sede in una cittadina norvegese. Quando riceve la visita di Marie, una ragazza francese convinta di essere la figlia del musicista Honninfjord-Dervinski, Bjorn se ne innamora. Per conquistarla, si dedica interamente ad aiutarla nella sua ricerca di uno spartito che dovrebbe contenere la prova della sua discendenza dal compositore, morto in circostanze misteriose durante la Seconda Guerra Mondiale. Si troverà così invischiato in una trama che ha le sue origini ai tempi della resistenza norvegese contro i nazisti, o forse addirittura nell’Alto Medioevo agli albori della musica polifonica.
La croce Honninfjord è un romanzo decisamente complesso, che intreccia una trama ambientata nell’800 d. C:, una nel 1944 e una terza nel dopoguerra, ulteriormente spezzettata in vari linee temporali alternate. Tanto di cappello al giovanissimo autore esordiente Giovanni Montanaro per essere riuscito a gestire una materia così intricata mantenendola sotto controllo.
Al di là di questo, però, non lo considero un romanzo riuscito. Innanzitutto, una delle idee che stanno alla base del libro, quella per cui la polifonia sarebbe espressione di pluralismo e tolleranza, mentre invece la monodia corrisponderebbe a pensiero unico e dittatura, mi pare forzata. O meglio, può anche andare bene per la parte ambientata nel Medioevo, ma dubito che i nazisti, che avevano adottato un compositore moderno e dissonante come Wagner, potessero disprezzare la polifonia per motivi ideologici.
A parte questa critica di fondo, il problema principale del romanzo è che mette di gran lunga troppa carne al fuoco, risultando così difficile da digerire. Le rivelazioni si susseguono ininterrottamente, e all’ennesima scoperta per cui X è il padre di Y o l’assassino di Z il lettore cessa di stupirsi per eccesso di colpi di scena. Inoltre i toni della narrazione sono troppo variabili: a pagine molto drammatiche e a serissime dissertazioni musicali se ne alternano altre d avventura di serie B, in cui spostando una torcia in una grotta si può aprire un passaggio segreto come in Frankenstein Junior. Una maggiore semplicità e chiarezza di intenti avrebbero giovato.
In definitiva, La croce Honninfjord svela un nuovo autore con indubbie potenzialità, ma questo primo tentativo è acerbo. Lo aspettiamo al prossimo.

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Libri: trilogia "Queste Oscure Materie" ("La Bussola d'Oro", "La Lama Sottile", "Il Canocchiale d'Ambra")

La bussola d'oroLa Bussola d’Oro è ambientato in un mondo diverso dal nostro, anche se simile, in cui ogni essere umano è accompagnato da uno spirito dall’aspetto di un animale, il daimon, dal quale non si separa mai dalla culla alla tomba. Lyra è una ragazzina dodicenne che vive sotto la protezione dell’università di Oxford, in quanto i suoi genitori, di nobile origine, sono scomparsi. Quando un’ambigua signora obbliga il rettore a darle in consegna la bambina, questi le consegna di nascosto uno strumento simile a una bussola che, se correttamente interrogato, è in grado di rispondere a qualsiasi domanda. Quando Lyra scopre che la donna è in combutta con coloro che, per scopi misteriosi, rapiscono bambini, fugge. Di lì a poco si ritroverà, insieme a una strega, a un’aeronauta e a un orso guerriero parlante, alla guida di una spedizione nell’estremo Nord volta a liberare i bambini scomparsi.
La lama sottileIn La Lama Sottile Lyra, che al termine del romanzo precedente ha lasciato il proprio mondo, si ritrova in un luogo desolato e popolato solo da bambini. Qui fa conoscenza con Will, un ragazzo proveniente dal nostro mondo, e perciò privo di daimon. I due hanno varie avventure che li portano a impossessarsi di una lama in grado di aprire finestre tra un mondo e l’altro.
Infine, in Il Canocchiale d’Ambra si scatena la guerra che si era preparata nei romanzi precedenti, una rivolta degli uomini liberi e degli angeli ribelli contro ogni chiesa e contro Dio, durante la quale Lyra e Will scopriranno il significato degli eventi cui hanno preso parte. Con le loro azioni, inclusa una dolorosa visita nell’Aldilà, determineranno l’esito finale.
Il Canocchiale d'AmbraUna volta tanto le polemiche dei cattolici contro un romanzo per ragazzi non sono del tutto infondate. Se era davvero ridicolo che qualcuno se la prendesse con Harry Potter per un suo supposto spirito anticristiano, qui il suddetto spirito c’è sul serio. L’autore non si limita a proporre avventure fantastiche trascurando la religione tradizionale, ma propone una vera e propria trilogia alternativa, in cui il Paradiso è un’impostura, e Dio una creatura mortale, bugiarda e fallibile. I religiosi sono tutti personaggi negativi, capaci di torturare e uccidere bambini per raggiungere i loro scopi, mentre uno dei personaggi più positivi è una suora che ha felicemente abbandonato la religione. Insomma, in questo caso la Chiesa fa bene a sentirsi minacciata dai libri (e dai film che se ne stanno traendo). Io, dal canto mio, sono dell’avviso che dovrebbero esserci molti più libri che parlano male della religione, ma diamo a Cesare quel che è di Cesare.
A causa del contenuto anticristiano, l’opera, è stata spesso definiita "l’anti-Narnia", nonostante l’autore abbia sempre respinto i paragoni con C. S. Lewis. A mio avviso, però, l’accostamento con Lewis è abbastanza pertinente, anche se io paragonerei "Queste Oscure Materie", più che a Narnia, alla trilogia del Pianeta Silenzioso. Infatti anche qui abbiamo un primo romanzo che definisce un universo fantastico fresco e avvincente, seguito però da due seguiti in cui il contenuto ideologico-religioso si fa predominante, schiacciando la vicenda e rendendola indigesta.
La Bussola d’Oro è in effetti uno di quei libri che, una volta iniziati, ti afferrano e non ti mollano più. L’universo creato da Pullman non assomiglia a nessun altro, e mescola con sapienza ambientazioni familiari con altre assolutamente bizzarre. Il tutto seguendo una trama non scontata e ricchissima di colpi di scena. Al contronto, La Lama Sottile è a un livello parecchio inferiore: è un libro di transizione (molto più breve degli altri due) che serve a preparare il successivo, non offre alcuna delle meraviglie del precedente, e oltretutto si conclude in medias res. Con Il Canocchiale d’Ambra la vicenda si risolleva e si incontrano nuovi interessanti personaggi e nuovi colpi di scena. C’è anche una parte ambientata in un ulteriore mondo parallelo abitato da esseri dotati di ruote, che appartiene più alla fantascienza che alla fantasy e che ho trovato particolarmente riuscita. Tuttavia il finale è goffo, farraginoso e insoddisfacente e mi ha lasciato parecchio deluso.
Il problema è che, col procedere dei romanzi, si intravede sempre più fortemente la mano dell’autore che, avendo in mente un preciso schema simbolico, forza la mano alle vicende e ai personaggi per farceli rientrare, danneggiando la verosimiglianza della storia e risultando spesso verboso e didascalico. Ne soffrono in particolare i due principali personaggi "adulti", Lord Asriel e Marisa Coulter, i cui obiettivi cambiano  in maniera radicale senza che la cosa sia stata adeguatamente motivata di fronte al lettore. Anche il lato "militare" del romanzo ne risente, con personaggi che dovrebbero essere degli autentici titani che si rivelano incongruamente stupidi e incapaci.
Tuttavia, anche non volendo considerare questi difetti, resta un problema strutturale ancora maggiore, e cioè che è proprio la costruzione ideologico-religiosa di Pullman a essere poco convincente. L’autore si oppone alla religiosità organizzata propugnando la libertà di pensiero. Per farlo però costruisce un mondo che si basa profondamente su concetti che sono tipici del pensiero religioso cui vorrebbe opporsi: dualismo mente/corpo e spirito/materia, finalismo, destino e via discorrendo. Il risultato è che la trilogia, invece che raggiungere il suo scopo, lascia il suo lettore con decine di dubbi insoluti. Per esempio: se Dio non si cura di premiare i suoi fedeli, a che scopo esiste l’Aldilà? Se tutti gli esseri senzienti hanno un’anima e un daimon, perché gli orsi, che manifestamente sono senzienti, fanno eccezione? E così via.
Non vorrei che il mio giudizio suonasse troppo negativo. In definitiva, mi sono divertito a leggere la trilogia, che ha dei momenti indimenticabili e alcuni personaggi che lasciano il segno. Tuttavia è indiscutibile che dà il suo meglio all’inizio per poi declinare. A voi decidere se il piacere della partenza valga l’inevitabile delusione finale.

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Volete un frugoncino?

Quand’ero ancora una ragazzino lessi uno splendido libro fantasy-horror per ragazzi, che mi è rimasto nel cuore. Roba che, secondo me, non ha niente da invidiare ad Harry Potter, e che potenzialmente potrebbe avere lo stesso successo, ma che invece, nonostante due edizioni italiane, è stato quasi completamente ignorato nel nostro Paese (in USA ha avuto ben dieci seguiti!).
Tempo fa ho conosciuto una persona che lavora in una casa editrice, e ho scoperto che anche lei ha questo libro nel cuore, avendolo letto da piccola, come me. In pratica, ogni volta che ci siamo incontrati abbiamo dedicato del tempo a citare scene e passi del libro con sguardo rapito, sperando che lei riuscisse a convincere i suoi capi a pubblicarlo in Italia per la terza volta.
Ebbene, forse succederà: l’amica è riuscita a interessare i suoi capi, anche se le trattative sono appena iniziate (ed è per questo che non ne svelo il titolo: non vorrei romperle le uova nel paniere).
Però il troppo amore per un libro può portare anche a delle delusioni. Dovete sapere che il romanzo in questione aveva un’ottima traduzione, scorrevole e fantasiosa, e soprattutto con uno piena di termini insoliti che aggiungevano molto alle bizzarre atmosfere della storia. Per esempio, il protagonista aveva l’abitudine di rimpinzarsi di frugoncini al cioccolato. Ora, se avete letto "furgoncini", leggete meglio: sono frugoncini. Inutile cercare il termine su Google: non esiste, se non come errore di battitura per furgoncino. Non c’è nemmeno sul De Mauro, e neppure sullo Zingarelli.
In realtà io mi ricordo di aver cercato il termine un quarto di secolo fa, ben prima di Internet, e di averlo trovato. Oggi non ci sono riuscito, e non capisco perché. Forse nel frattempo la parola è diventata così rara da sparire del tutto dall’italiano, ed è ormai un termine che solo i linguisti conoscono. In ogni caso, ricordo che il significato era "biscotto al cioccolato" (il che fa pensare che frugoncino al cioccolato sia un termine ridondante, in quanto il termine frugoncino implica la presenza del cioccolato. Chissà se è vero, e se sono mai esistiti frugoncini ad altri gusti.
Più volte io e la mia amica ci siamo chiesti: cosa sarà mai stato un frugoncino nel testo originale. Ebbene, ora lei se lo è procurato, e la delusione è stata grande. I frugoncini, infatti, nel testo originale sono banalissimi chocolate-chip cookies.
C’è da chiedersi quanto del fascino che quel libro ha avuto su di noi fosse dovuto ai suoi propri meriti, e quando invece fosse opera di un traduttore geniale e bizzarro (che tra l’altro era un famoso giallista, oggi scomparso da tempo). Chissà quali ricordi evocava per lui il termine "frugoncino". Per quanto mi riguarda, farò di tutto per far rivivere in qualche modo questa parola dimenticata.

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Libro: Sorpresi dalle Tenebre

Sorpresi dalle TenebreIn un mondo in cui quasi tutti sono lupi mannari, i pochi esseri umani che non si trasformano al sorgere della luna piena sono obbligati a servire in una sorta di servizio d’ordine, per evitare che i trasformati provochino danni. Lola Galley è una di loro, ed entra in crisi quando un suo collega viene assassinato. Per ucciderlo hanno usato una delle pallottole d’argento che si usano per difendersi dai mannari. E’ forse un simbolo?
Quando ho letto il risvolto di copertina di questo libro, ho deciso di procurarmelo immediatamente: mi è sembrata un’idea troppo buona! Mi aspettavo qualcosa di simile allo splendido Cacciatori delle tenebre di Barbara Hambly (in cui un essere umano viene assunto dai vampiri per indagare di giorno, quando loro non possono agire). Purtroppo devo dire, a conti fatti, che il libro non ha mantenuto la sua promessa e mi ha lasciato parecchio deluso. Questo a causa del fatto che l’autrice non ha saputo costruire bene il mondo in cui ha ambientato la vicenda.
Per cominciare, un delitto capitale: in un mondo popolato da lupi mannari, non viene chiarito a sufficienza cosa significhi essere uno di loro. Da un lato i mannari vengono descritti come orgogliosi di essere tali, al punto che non rinuncerebbero mai al fatto di trasformarsi, e che provano una istintiva diffidenza e repulsione verso chi non si trasforma. Dall’altro però i mannari non ricordano quasi nulla di ciò che fanno quando sono in forma di lupo, e hanno costruito una società identica alla nostra, che tiene conto solo del loro lato umano, e che li obbliga a rinchiudersi in casa ogni volta che si trasformano. A me pare una grossa contraddizione, che rende molto nebuloso quello che dovrebbe essere uno degli aspetti fondamentali del libro.
Non è chiaro nemmeno il perché i lupi mannari abbiano sentito la necessità di rinchiudersi e di affidare ai non-licantropi, che pure odiano, il compito di catturare coloro che non rispettano il divieto. Ci viene detto più volte che l’opera di controllo dei non-licantropi è l’unica cosa che salvi il mondo dal caos e dalla carneficina, però i lupi mannari non ci vengono mai mostrati nell’atto di aggredire un loro simile (al contrario, sembrano andare perfettamente d’accordo tra loro) o di provocare danni. Gli unici morti e feriti che si vedono sono tra i non-licantropi che cercano di catturarli. Viene da pensare che, se fossero questi ultimi a rimanere rinchiusi durante la luna piena, non accadrebbe nulla.
Infine, è totalmente assurda e contradditoria la descrizione dei poteri che vengono attribuiti ai non-licantropi. Da un lato, viene descritto come siano obbligati a non fare alcun male ai mannari che catturano, e come questo li obblighi a correre gravissimi rischi, con la costante minaccia di provvedimenti disciplinari e risarcimenti danni se non seguono le pericolose procedure. Dall’altro però, se stanno indagando su un reato commesso da un mannaro in forma di lupo, i loro poteri sono pressoché illimitati: possono prelevare persone all’insaputa di tutti, tenerle per settimane rinchiuse in celle medioevali senza rendere conto a nessuno, e persino torturarle impunemente. È evidente che queste due situazioni non possono coesistere. Quasi tutte le istituzioni dei non-licantropi appaiono costruite in modo forzato, senza che ci sia una reale motivazione perché le cose vadano così. Per esempio, viene detto che i non-licantropi subiscono spesso molestie sessuali da ragazzi, in quanto sono obbligati a passare ogni notte di luna piena nei rifugi, in condizione di promiscuità. E non si può fare a meno di chiedersi quale difficoltà abbia impedito loro di creare rifugi meno promiscui: la motivazione della mancanza di personale appare piuttosto inconsistente.
Insomma, il mondo in cui si svolge Sorpresi dalle tenebre difetta totalmente di logica. Ed è un peccato, perché l’autrice saprebbe scrivere molto bene. Lola Galley è un gran bel personaggio, col suo miscuglio di fragilità e aggressività, e la sua evoluzione viene descritta con grande finezza psicologica. Anche la trama gialla funziona piuttosto bene, e conduce a un gran bel finale. Ed è particolarmente riuscito il modo in cui l’autrice sfrutta l’inversione per cui sono i non-licantropi a sentirsi dei "mostri", al punto di desiderare di avere figli mannari. Insomma, questo romanzo è un po’ come una Ferrari cui hanno versato nafta nel serbatoio: possiamo ammirarne la linea, decantare le doti del motore… ma non partirà mai. Che occasione sprecata!

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Aggiornamento Gialli dei Ragazzi

Laura & IsabellaVisto che il mio preceente post sui Gialli dei Ragazzi è stato tanto bene accolto, devo comunicarvi che in agosto, frugando in cantina alla ricerca di un libro perduto da tanti anni (e mai ritrovato), ho trovato un giallo di una serie che avevo del tutto dimenticato! Si tratta di Laura & Isabella di Mariagiovanna Sami! Di loro, devo dire, continuo a non ricordarmi assolutamente nulla. Impossibile scoprire che fine abbia fatto l’autrice (tutti i riferimenti su Google puntano a una professoressa di informatica.. sarà lei?).
Sarà l’ultima serie, o qualcuno ne ricorda altre?

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