A volte ritornano

zombieLo ammetto, a volte mi dedico anch’io alla disdicevole pratica dell’ego-surfing. Oggi, facendolo, ho scoperto che esiste in rete un mio articolo vecchio di almeno dieci anni. E per qualche strano motivo, risulta più "visibile" a Google di qualunque altra cosa io abbia scritto in rete, escluso il presente blog.
Il mio primo sentimento, dopo averlo riletto, è stato il sollievo nello scoprire che, tutto sommato, non avevo scritto cazzate. Lo stile è forse un po’ legnoso e ingenuo, ma non è invecchiato più di tanto.
Successivamente mi sono posto il problema in modo più generale: devo permettere che, totalmente al di fuori del mio controllo, vengano fatti circolare dei testi attribuiti a me? Testi che magari io ritengo datati, non più corrispondenti al mio pensiero, e che preferirei rimanessero nell’oblio?
Tra l’altro non è neppure la prima volta che mi succede. Su Lulu è possibile regolarmente acquistare una raccolta di tre racconti di fantascienza, uno dei quali è firmato da me. Lo avevo ceduto gratis alla fanzine altoatesina Uhura perché fosse pubblicato. Quel numero della fanzine non uscì mai, e i curatori decisero probabilmente di pubblicare on-line in questo modo il materiale già pronto. Che sarebbe anche una buona idea. Solo che io ho ceduto il racconto perché fosse pubblicato su una fanzine da poche centinaia di copie, e adesso è disponibile in permanenza, potenzialmente acquistabile da chiunque. Il problema è puramente teorico, perché dubito che sarà stato scaricato da più di dieci persone. Tuttavia, se, per pura ipotesi, diecimila persone avessero deciso di acquistarlo, ai diffusori sarebbe arrivata una montagna di denaro di cui io non avrei visto un centesimo. Inoltre, se per caso io un giorno decidessi di ripubblicarlo, questa "edizione parallela" potrebbe causarmi qualche problema.
Certo, sono problemi puramente teorici. In realtà non ho intenzione di muovere un dito per impedire la diffusione di questi testi. Anzi, ammetto che mi fa anche piacere che, a distanza di anni, qualcuno li abbia recuperati e giudicati sufficientemente interessanti da diffonderli. Credo però che queste siano le avvisaglie di problemi che prima o poi incontreremo tutti. Internet e la tecnologia digitale rendono sempre più facile copiare, diffondere e reperire informazioni di ogni tipo. Una volta che sono entrate in circolo, non è più possibile arginarne la diffusione. Quando ho intervistato Dweezil Zappa, mi ha detto che la sua opposizione alla diffusione di bootleg su Internet non è solo dovuta ai possiibli mancati guadagni, ma soprattutto al mancato controllo della sua immagine artistica. "Voglio che la gente mi conosca per la musica che scelgo io, non che si faccia un’immagine di me a partire dalla registrazione di un concerto mal riuscito e mal registrato". Ed è difficile dargli torto.
Il fatto è che la censura, oltre a essere discutibile, semplicemente non è praticabile. Condividere qualcosa su Internet sta diventando sempre più facile, facile quasi come pensare o parlare. E non si può impedire alla gente di pensare o parlare. A differenza di pensieri e parole, però, i dati digitali rimangono, potenzialmente eterni. Credo che nel lungo periodo questo porterà a cambiamenti estremamente profondi nel nostro modo di pensare.

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Libro: Jonathan Strange & il Signor Norrell

Jonathan Strange e il signor NorrellNell’Inghilterra del 1300, un uomo ritornò dai Regni Fatati alla guida di un esercito di elfi e, grazie alla propria magia, si incoronò Re del Nord. Gli uomini lo chiamavano il Re Corvo, e regnò per trecento anni prima di scomparire nel nulla. Ora siamo nel XIX secolo, l’Inghilterra combatte Napoleone, le creature fatate sono tornate a essere materia di leggenda, e la magia è diventata una questione per noiosi eruditi, che è storicamente esistita ma che nessuno più è in grado di mettere in pratica. Nel giro di breve tempo, però, appaiono due uomini che sono nuovamente in grado di praticare la magia. I due sono uniti dal sogno di far rinascere la magia inglese, ma sono profondamente diversi, in tutto, e gli scontri sono inevitabili. Alla fine scopriranno entrambi che aver risvegliato la magia ha un prezzo che non avevano previsto.

Jonathan Strange & il Signor Norrell non è certamente il "solito" libro fantasy. Per cominciare, è scritto con uno stile ispirato a quello di Jane Austen (ma a me ha ricordato anche Dickens), cosa che già di per sé ha messo in fuga, per quanto ne so, più di un lettore non abituato a simili ricercatezze. Inoltre è un libro che frustra deliberatamente le aspettative del lettore, dissimulando abilmente gli eventi importanti collocandoli tra mille altri dettagli, tanto che ci si chiede continuamente se mai si arriverà al dunque; e poi, dopo seicento pagine, per così dire, di "introduzione", di colpo la vicenda piomba nel vivo, tutti i dettagli vanno al loro posto, e il romanzo si rivela molto più cupo, orrorifico e disturbante di quanto le leziosaggini precedenti lasciassero immaginare. Per me questi, beninteso, sono dei pregi; ma, se a voi suonano come dei difetti, allora è meglio che non cominciate neppure la lettura: non arrivereste in fondo.

Confesso che in qualche punto anch’io ho provato una punta di irritazione per le divagazioni tutte inglesi cui l’autrice ci sottopone; e sono tuttora convinto che alcuni episodi, per esempio la lunga rivisitazione della battaglia di Waterloo, siano superflui o comunque si prolunghino più del dovuto. E confesso anche che tuttora sono perplesso sulle motivazioni che hanno spinto la Clarke a scrivere questo libro, il cui significato appare sottile e sfuggente. Ma, come accade con i grandi romanzi, questo non è un ostacolo al godimento della storia. Il fascino del mondo magico di Norrell e Strange è tale da non dover essere giustificato. Proprio come la magia che descrive, così diversa da quella ormai standardizzata della quasi totalità del fantasy moderno, non si lascia imbrigliare in sovrastrutture teoriche, "è" e basta, a disposizione di tutti coloro che vorranno affrontarlo, rischiando di farsene ammaliare.

Questo post appare anche su Il Leggio.

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Libro: Crimini

Crimini

Non sono un assiduo lettore di noir, ma quando me ne capitano di buoni li leggo sempre con piacere. Così sono stato contento di ricevere in regalo questa Crimini, antologia di nove racconti dei più celebri autori italiani, occasione per riavvicinarmi a qualche vecchia conoscenza e per mettere alla prova qualche nome dal quale finora mi ero tenuto lontano, per diffidenza o semplicemente perché non si può leggere tutto. Ecco com’è andata.

Sei il mio Tesoro è stato scritto da Niccolò Ammaniti in coppia con l’esordiente Antonio Manzini, ma è comunque stilisticamente indistinguibile dai suoi racconti più noti del genere pulp. Parla di un chirurgo plastico ricco, drogato e disonesto, che finisce in galera e, dal momento in cui ne esce, tenta in tutti i modi di recuperare un sacchetto di droga dall’improbabile nascondiglio che ha escogitato per non farselo sequestrare. Io sono parziale: Ammaniti mi piace molto, anche (e forse soprattutto) quando va sopra le righe. In questo racconto la sospensione dell’incredulità del lettore è messa a dura prova, ma lui è sempre così divertente, così sarcastico, così bravo nel rappresentare i nostri vizi con il massimo di assurdità possibile, che ci si passa sopra volentieri. Un bel racconto di quelli che non si dimenticano.

Morte di un confidente di Massimo Carlotto è scritto nel consueto stile scabro e diretto di quest’ultimo. È un poliziesco decisamente classico, con un poliziotto in crisi matrimoniale che si ritrova personalmente coinvolto in un’indagine a causa della morte di una collega. Mi è piaciuta l’ambientazione veneta e la descrizione molto convincente dei rapporti personali all’interno della polizia e della malavita. Il racconto risulta però alquanto dispersivo: vengono introdotti molti temi, ma nessuno viene sviluppato fino in fondo, e quando si conclude non si capisce bene dove volesse andare a parare. C’è inoltre una veniale incongruenza: per comunicare con un informatore, il protagonista ha un codice basato sul numero di squilli di una chiamata. Ma avete mai provato a contare gli squilli usando un cellulare? E’impossibile.

Il covo di Teresa di Diego De Silva racconta di un’attempata signora che si ritrova a ospitare un terrorista nel proprio appartamento. È una bella storia di sentimenti, toccante e convincente, uno dei racconti che mi sono piaciuti di più.

L’ospite d’onore di Giorgio Faletti è l’unico racconto del mazzo che mi sia veramente dispiaciuto. Racconta di un giornalista alla ricerca di un celebre personaggio televisivo misteriosamente scomparso. È scritto in uno stile forzatamente brillante, con una battuta spiritosa a ogni frase, che dopo qualche pagina suona falso come i dialoghi di una sit-com. Tra l’altro non si risparmiano grevi ironie a un personaggio colpevole solo di essere gay. L’ambientazione è un’isola tropicale di cui non ci importa assolutamente nulla. Alla fine l’autore non si preoccupa neppure di dirci l’unico dettaglio della storia che potrebbe interessarci (il protagonista rivelerà al giornale l’ubicazione del personaggio o, data la piega che hanno preso gli eventi, la terrà per sé?), ma imbastisce un finale soprannaturale assolutamente campato in aria, che non inquieta, non dice nulla sui personaggi, non vuol dire niente. Un racconto vacuo e pretenzioso. Finora mi ero tenuto lontano dai romanzoni da tre milioni di copie di Faletti, e a questo punto penso proprio che non li leggerò mai.

L’ultima battuta di Sandrone Dazieri è il mio preferito in assoluto. Parla di un ex-cabarettista che cerca di scagionare un’amica dall’accusa di avere ammazzato il suo socio di un tempo. Nulla di particolarmente nuovo, ma l’ambientazione nel giro del cabaret milanese è interessante e credibilissima, e il modo in cui gradatamente viene fuori tutto il passato del protagonista è da manuale. L’unica pecca, secondo me, sta nel finale: il tentato omicidio finale è immotivatamente goffo, e non è chiaro come e perché il protagonista riesca a scamparla. Ma il risultato è comunque più che buono.

Troppi Equivoci ci dà un Andrea Camilleri diverso dal solito: stile molto secco e personaggi poco caratterizzati, tutto il contrario di come ci ha abituato. Il racconto parla delle terribili conseguenze di uno scambio di persona dovuto a uno scherzo. Camilleri solitamente mi piace molto, ma qui non mi ha convinto: questo sembra più un abbozzo di sceneggiatura che un racconto, e non si capisce bene perché l’autore abbia scelto di raccontare questa storia.

Quello che manca di Marcello Fois è un classico giallo poliziesco, con un omicidio e un commissario che indaga. È interessante il tentativo di introdurre un sottotesto politico, però la trama è un po’ troppo esile, e il finale è troppo brusco e poco credibile: possibile che il colpevole sia così fesso?

Il bambino rapito dalla Befana di Giancarlo De Cataldo è, come lascia intuire il titolo, una favola noir, che narra dell’anomalo sequestro-lampo di un bambino. Personalmente avrei preferito un po’ più di cattiveria rispetto a un racconto in cui i cattivi muoiono e i buoni vivono felici e contenti, però De Cataldo è un bravo affabulatore, e il racconto si legge con piacere.

Infine, Il terzo sparo di Carlo Lucarelli narra di una poliziotta cui nasce un sospetto su un collega, e che per averlo rivelato viene a trovarsi in una situazione difficile e pericolosa. Ogni volta che leggo una storia di Lucarelli rimango stupito di come la sua narrativa si basi su meccanismi semplici, scontati ed evidenti, eppure nonostante questo riesca a funzionare così bene. Questo racconto è pieno di suspense e all’altezza delle sue cose migliori. L’unica cosa che mi convince poco di lui sono i suoi finali, che spesso sembrano non tenere conto di come gira la realtà. Questo racconto non fa eccezione: l’autore ci dice trionfante che la protagonista riesce a cavarsela ma, a mio avviso, nella situazione in cui Lucarelli la lascia la aspetta un’indagine per omicidio, con buone possibilità di essere giudicata colpevole…

Nel complesso il mio giudizio è più che buono: Faletti a parte, tutti i racconti si leggono volentieri. Probabilmente non ci sono capolavori, ma quasi tutti sono più che discreti. Un piacevole intrattenimento, e un modo per mettere a confronto il meglio del noir italiano (manca solo Biondillo…), una scena che si conferma solida. Magari fosse possibile mettere insieme un’antologia di questo calibro con gli autori di fantascienza italiani…

Questa recensione appare anche su Il Leggio.

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Libro: Perduto per sempre

Perduto per sempreComincio con un avvertenza: sto per recensire il libro di un amico. Io non sono particolarmente indulgente verso i libri degli amici. Semmai, tendo ad amplificare i miei sentimenti: se non mi piacciono, mi dà ancora più fastidio; se i piacciono, mi piacciono forse un po’ più del dovuto. Questo è un libro che mi è piaciuto. Mi sono fatto un esame di coscienza e ha continuato a piacermi. Quindi potete prendere per buono quanto vi sta per scrivere il vostro fallibile recensore, perlomeno quanto tutto il resto che scrive.

Detto questo, Perduto per sempre è il secondo romanzo di Roberto Moroni, meglio noto ai blogger come The Petunias. A differenza del primo, che avevo letto in bozze e al quale avevo in minima parte collaborato, questo è uscito senza che ne sapessi nulla, e ho cominciato a leggerlo senza nessun tipo di aspettativa. Mi ci sono trovato dentro, e in pochi minuti mi ha preso completamente. Sarà forse perché il primo capitolo ha un protagonista che è bambino nei primi anni Settanta, come lo sono stato io. E ho riconosciuto all’istante come vera non solo l’ambientazione, con tutti i suoi oggetti che una volta mi erano familiari e che oggi avevo dimenticato o quasi (i gettoni telefonici! il Ping-o-Tronic!). Ma anche lo sguardo, quello di un decenne che comincia a sperimentare sulla propria pelle il mondo reale senza schermo. Ho riconosciuto me stesso e sono rimasto avvinto dalla narrazione. Da qui in poi ho girato le pagine con l’atteggiamento non del critico, ma del lettore accanito.

Di che parla Perduto per sempre? Parla di un ragazzo che diventa adulto. Che ha un padre ingombrante, per usare un eufemismo. Anzi, per dirla tutta, un padre proprio stronzo. E che mette in atto un complicato piano. Per difendersi, per vendicarsi, per evitare di diventare la copia malriuscita di suo padre. Detto così sembra poca cosa. Quello che non vi posso raccontare, ma che dovrete leggere, sono i personaggi, così ben costruiti che li si ama o (soprattutto) li si odia come persone vere, anche quelli minori. E una trama che, pur senza meccanismi complicati e rivolgimenti, tiene in sospeso fino all’ultima pagina.

Viene spontaneo il paragone con lo strombazzatissimo Con le peggiori intenzioni di Alessandro Piperno. Ambedue i libri, infatti, parlano di un giovane di famiglia ricca che cresce schiacciato dal peso di avi troppo ingombranti. E tuttavia, là dove Piperno si sforza difare il Philip Roth italiano, i suoi personaggi mi rimangono estranei come figurine, divertenti ma non veri. Mentre i personaggi di Roberto a me sembra di conoscerli, e la società in cui vivono mi sembra la mia. Soprattutto, mi hanno dato emozioni molto più forti, e i buoni libri sono fatti di emozioni.

Questo è quanto. Gli acquisti di Natale sono già in corso, se non sapete cosa regalare date una spintarella a questo libro, che lo merita.

Questa recensione appare anche su Il Leggio.

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Libro: La porta di Tolomeo

Questo romanzo è il terzo di una trilogia fantasy, detta di Bartimeus, dal nome del genio-demone che ne costituisce uno dei principali punti di vista (i tomi precedenti sono L’amuleto di Samarcanda e L’occhio del golem). Gli altri due personaggi principali sono un mago-bambino (che diventa adolescente nel corso della serie) e,a partire dal secondo libro, una ragazza sua coetanea. Detto così, sareste autorizzati a credere che questo sia l’ennesimo, maldestro tentativo di lucrare sul successo di Harry Potter creando un prodotto simile. Ma sbagliereste. Perché la trilogia scritta da Jonathan Stroud ha personalità da vendere e ben poco di derivativo; anzi, è una delle cose più originali che mi è capitato di leggere in campo fantasy.

Ciò che più colpisce in questa serie è la totale assenza di un Bene da difendere. I maghi dominano il mondo, ma sono una genìa avida e arrogante che fa un pessimo uso del proprio potere. E il mago-bambino Nathaniel, lungi dall’essere un eroe, entra in scena motivato dalla vendetta, e si trasforma col tempo in un ragazzo davvero sgradevole, tanto che al suo confronto il mostruoso e alieno Bartimeus appare un personaggio positivo. Insomma, nessuna leziosaggine: spesso risulta difficile distinguere tra i protagonisti della storia e i loro avversari, e se ci si appassiona al loro destino è per una scrittura di ottima qualità, che costruisce attentamente la suspense e dosa alla perfezione azione e umorismo. Oltretutto i romanzi si mantengono entro dimensioni accettabili, e non lasciano cliffhanger in sospeso, anche se è fortemente consigliato leggerli in successione corretta.

In questo terzo romanzo ritroviamo Nathaniel diciassettenne e ministro dell’informazione, e cioè propagandista per una guerra inutile e sanguinosa ai margini dell’impero. Kitty vive nascosta a Londra, alla ricerca di un piano per infrangere il potere dei maghi. Quanto a Bartimeus, schiavo perenne di Nathaniel che lo teme troppo per lasciarlo libero, è ormai indebolito e ridotto all’ombra di se stesso. I tre si ritroveranno loro malgrado insieme a fronteggiare un complotto, e per risolvere la situazione diventerà estremamente importante ciò che avvenne a Bartimeus duemila anni prima, ad Alessandria d’Egitto. La porta di Tolomeo non deluderà certamente il lettore; al contrario, credo sia il miglior libro della serie. L’umorismo di Bartimeus procura alcuni momenti di grande ilarità, ma il clima generale è ancora più cupo di quello dei tomi precedenti, fino a sfociare in un oscuro finale ambientato in una Londra devastata e piena di cadaveri, che non stonerebbe in un romanzo di Stephen King. E Stroud conferma ancora una volta la sua originalità e il suo coraggio, con una conclusione amara che dribbla tutte le ovvietà. Per intenditori.

 

(Questa recensione appare anche su Il Leggio).

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Il cruciverba dei destini incrociati

Holly GramazioLa mia giovane, bellissima e geniale amica australiana Holly Gramazio sta portando avanti un interessantissimo progetto per la sua tesi di laurea in scrittura creativa. Si tratta di una serie di 41 racconti che verranno pubblicati sul web al ritmo di due la settimana. La cosa interessante è che ciascun racconto costituisce anche una definizione per uno schema di parole crociate!
E’ vero che dopo "Il castello dei destini incrociati" è difficile scrivere un qualsiasi tentativo di letteratura combinatoria che non sembri già visto. Eppure qualcosa mi dice che a Calvino l’idea di associare la lettura di un racconto alla soluzione di un enigma esterno al racconto stesso non sarebbe affatto dispiaciuta. E i racconti, cosa non trascurabile, sono intriganti e ben scritti.
Li potete leggere su 16 Across, e magari cercare di essere i primi a risolvere il cruciverba.

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