Una bambina si risveglia, senza alcuna memoria di ciò che le è successo, in mezzo a uno scenario di distruzione. Tutto ciò che sa è che la luce del sole la respinge e che ha una terribile sete. Di sangue…
La luce del Sole (Fledgling) è l’ultimo romanzo scritto da Octavia E. Butler prima di morire, che Fanucci pubblica a otto anni dall’uscita negli USA.
Confesso di non aver mai letto nulla della Butler prima d’ora (una grossa lacuna, lo so, ma non si può leggere tutto!), e perciò mi sono accostato alla lettura con molta curiosità, data l’ottima fama che circonda questa autrice. Purtroppo però sono rimasto deluso: non posso dire se a non essere nelle mie corde sia la Butler o questo romanzo in particolare, però non lo trovo molto riuscito.
Per spiegarvi il perché sarò costretto a fare dei grossi “spoiler” , quindi se non volete che vi guasti qualche sorpresa non leggete oltre (allora però evitate anche di leggere la quarta di copertina, che spiattella molti segreti che invece il lettore dovrebbe apprendere solo gradualmente).
La cosa che mi ha convinto meno del romanzo è proprio la sua idea di base, e cioè che esista una razza, quella degli Ina, il cui comportamento è molto simile a quello dei tradizionali vampiri, ma che non ha nulla di soprannaturale.
Gli Ina per sopravvivere hanno bisogno di bere sangue, preferibilmente umano. La loro saliva contiene delle sostanze che rendono gli esseri umani docili, dipendenti e manipolabili a piacimento. Inoltre la luce diretta del sole provoca loro gravi ustioni, e di giorno cadono in un sonno profondo.
Tuttavia gli Ina non hanno nulla di soprannaturale. Non sono morti viventi, e si riproducono normalmente facendo sesso tra loro (anche se non disdegnano affatto il sesso con gli umani): non è possibile diventare Ina attraverso un morso. Si riflettono negli specchi, non temono i crocifissi, possono essere uccisi dalle pallottole (anche se hanno grandi capacità di rigenerazione). Inoltre tendono a non uccidere gli umani col morso , ma a crearsi un harem di “simbionti” che si lasciano mordere volontariamente per il piacere che ne ricavano.
A me sembra che questa versione dei vampiri tolga praticamente tutto il fascino e il mistero che normalmente si associa con la loro figura. Il morto che ritorna tra i vivi, l’umano che si trasforma in mostro, il soprannaturale, l’intrinseca malvagità, l’essere costretti a uccidere per sopravvivere: tutto quello che ha fatto la fortuna della narrativa vampiresca va perso. E senza guadagnarci nulla in realismo, poiché l’esistenza degli Ina mi pare tanto inspiegabile quanto quella della loro controparte soprannaturale. Sono, parlando francamente, la versione noiosa dei vampiri.
A questo si aggiunge il fatto che il romanzo imbocca tante direzioni senza seguirne alcuna fino in fondo. La parte iniziale è quella che regge meglio: la protagonista ha perso la memoria, sa di essere sopravvissuta a un eccidio, e cerca di capire quale sia la propria natura, che cosa le sia successo e come fare a rimanere in vita. Trovo discutibile il fatto che la protagonista possa ricordare facilmente come si usa un computer, ma abbia dimenticato totalmente tutto ciò che riguarda gli Ina (razza cui appartiene fin dalla nascita). Tuttavia questa parte ha se non altro una discreta suspence, e gira piuttosto bene.
A un quarto di romanzo, però, la protagonista si ricongiunge alla propria razza, dopodiché è tutto un susseguirsi di complicate spiegazioni sui costumi e la cultura Ina. Ho trovato questa soluzione molto pesante: avrei preferito di gran lunga apprendere le loro abitudini vedendole in diretta, piuttosto che attraverso una persona che ha perso la memoria e necessita di spiegazioni per ogni cosa.
Inoltre a questo punto il romanzo prende due direzioni: da un lato la scoperta e la punizione di coloro che hanno commesso l’eccidio, che avvengono molto lentamente ma senza alcun rivolgimento o autentico colpo di scena. Dall’altro c’è il tentativo della protagonista di crearsi la propria comunità poliamorosa di simbionti, un tema potenzialmente molto interessante, ma anche qui a mio avviso non sufficientemente sviluppato: la Butler è piuttosto brava a gestire le psicologie e le reazioni dei personaggi, ma tutto risulta un po’ troppo breve e schematico. Del resto, per descrivere bene un rapporto amoroso che coinvolge una mezza dozzina di persone sarebbe stato necessario dedicargli l’intero libro.
Aggiungo che ho trovato lo stile della Butler a volte prolisso e pedante, con dialoghi e descrizioni che si prolungano oltre il necessario descrivendo minuzie.
Riassumendo, La luce del sole mi è parso interessante soprattutto per le sue tematiche sociali, con una descrizione del funzionamento di una comunità di “vampiri” sicuramente ingegnosa. Nel suo insieme, però, la struttura del romanzo convince poco; si lascia leggere, ma incorre in lungaggini ed inutili complicazioni, e non porta fino in fondo nessuna delle idee che propone.
Lo devo ancora leggere, mi tocca rimandare la lettura completa dei tuoi spoiler =) Io ho già conosciuto e apprezzato la Butler con la Xenogenesi (Urania 1058 “Ultima genesi”) e con le Parabole, in cui si era prodigata nel suo incurabile pessimismo pragmatico con le sue protagoniste dal cipiglio austero.