Non so se mi posso considerare un food blogger: di cibo in questo blog ho parlato molto di rado, e l’ultima volta che ho pubblicato una ricetta è stato diversi anni fa. Nel frattempo sono diventato più bravo (credo), ma anche più esigente, e non ho più pensato a pubblicare altre creazioni culinarie, fino all’anno scorso, quando ho ideato alcune ricette che trovo piuttosto riuscite Era un po’ che pensavo di renderle pubbliche, e l’occasione mi viene offerta dal concorso Risate e Risotti, che per concorrere richiede di pubblicare sul blog una ricetta qualunque a base di riso. Guarda caso la ricetta più particolare che avevo a disposizione è proprio a base di riso: si tratta infatti di un sushi “occidentalizzato”.
Mi è capitato spesso di leggere ricette di sushi “all’italiana”, ma utilizzavano per lo più ingredienti mediterranei, come mozzarella o pomodori. Mi sono chiesto oziosamente come sarebbe stato un sushi creato con ingredienti lombardi. L’equivalente milanese di un California Roll, insomma. E l’idea mi è venuta in un attimo: sostituire il surimi… con del cotechino. Il resto è venuto spontaneo: al posto della maionese: robiola. E al posto dell’avocado, un accompagnamento classico del cotechino: mostarda.
L’ho realizzato per la prima volta quasi per scherzo, e sono rimasto sorpreso di quanto fosse buono. Perlomeno, a me piaceva. Ho trovato il coraggio di presentarlo a cene con amici, e ho ricevuto commenti sempre positivi. Mi ha particolarmente incoraggiato l’amica Cristina, chef del Bistrò At Home di Chieri (TO) e, il cui parere di cuoca eccezionale mi ha convinto della validità della ricetta.
Col tempo ho fatto alcune modifiche. Ho colorato di giallo il riso con lo zafferano per renderlo più milanese. Ho sostituito l’alga nori dei classici uramaki giapponesi con una guaina di porro. E ho aggiunto del pepe come decorazione esterna.
La cosa più difficile è stata trovargli un nome. L’amico Stefano Massaron aveva scherzosamente proposto il nome Calderoli Roll, ironizzando sulla lombardità della pietanza. Non volendo però fare pubblicità alla Lega, per il momento ho adottato un più neutro Naviglio Roll. Ma fatemi sapere se vi viene in mente un nome più carino.
Le foto probabilmente sarebbero potute essere migliori… ma ho avuto poco tempo: sto pubblicando questo post e la ricetta a pochi minuti dallo scadere del termine del concorso (“Che sorpresa!”, dirà chi mi conosce).
Potete leggere la ricetta completa cliccando qui.
Categoria: Cucina
Ogni tanto mangio un fiore
Quando ero un ragazzino, alcune bambine del mio condominio avevano l’abitudine di cogliere fiori e mangiarseli come se fossero grandi leccornie. Nonostante l’illustre esempio di Fabio Concato, non mi è mai venuta voglia di imitarle. C’è voluta la Malga Gostner a farmi cambiare idea.
La malga si trova all’Alpe di Siusi, che è l’altopiano più grande d’Europa, un luogo paradisiaco ai piedi dello Sciliar, la più caratteristica montagna delle Dolomiti. Raggiungere l’Alpe e poi la malga è semplicissimo. Da Bolzano ci vuole una mezz’oretta di macchina fino a Castelrotto, poi la si lascia nel parcheggio e si prende l’ovovia (perché sull’Alpe la circolazione è giustamente limitata: lassù c’è un silenzio impressionante). Dopodiché basta camminare per un’altra ventina di minuti, tutti in piano a parte una breve salita finale, e si è arrivati.
La malga è all’apparenza uno dei classici posti di ristoro che si trovano in montagna in Alto Adige: gran tavoloni all’aperto (difesi dal sole, non troppo bene, da ombrelloni) dove ci si può rifocillare prima, dopo o durante una camminata. Di solito in luoghi del genere si trovano piatti tipici: lo speck da tagliare direttamente sulla tavoletta di legno, i canederli (gnocchi di pane), gli Schlutzkrapfen (ravioli locali), polenta e funghi, il Kaiserschmarrn (frittatine dolci accompagnate da composta di frutta) e così via. Piatti simili si possono trovare anche alla malga Gostner… ma tutto è impreziosito dall’uso sapiente di fiori ed erbe di montagna, e da una grande cura nella presentazione dei piatti, che trasformano il tutto in un’esperienza davvero unica nel suo genere.
Per capire con cosa si ha a che fare, è meglio cominciare proprio dall’antipasto, cioè l’insalata con il meglio del prato e del giardino. Guardare per credere:
Un piatto del genere è innanzitutto una meraviglia per gli occhi, ma mangiarlo è ancora meglio (e lo dice uno che non ha mai avuto una grande passione per le insalate). Condita con un condimento semplice che non copre il sapore delle singole erbe (credo olio e aceto di mele), ha un sapore diverso a ogni boccone, con ogni fiore ed erba a dare il suo particolare e aromatico contributo. E’ un’esperienza! Costa più di un’insalata comune, ma non c’è paragone. Non lasciate la malga senza averla provata!
Alla malga troverete molti altri piatti, in cui erbe e fiori fanno sempre da decorazione, e il più delle volte danno anche un intenso contributo al gusto del piatto. Per esempio, durante la mia ultima visita sono incappato nelle lasagne con porcini ed erbe di montagna: deliziose già di per loro, ma le erbe davano il tocco definitivo.
Un altro piatto obbligatorio da prendere alla malga Gostner è il Kaiserschmarrn, qui servito con composta di albicocche, miele e fiori. Mi spiace di non averlo potuto fotografare per voi, dato che è forse il piatto più bello da vedere. Questa volta però mi sono davvero lasciato andare alla golosità, e al momento del dessert non ce l’avrei mai fatta ad affrontarlo (in generale il Kaiserschmarrn ha abbastanza calorie per farvi raggiungere la cima dell’Everest). Ho quindi ripiegato su uno yogurt di produzione propria dolcificato con miele di rosa alpina e accompagnato da un sorbetto di lamponi. Una vera sorpresa, per l’estetica ma soprattutto per il perfetto equilibrio dei sapori.
Che altro dire? I prezzi della malga sono a mio avviso onesti, solo lievemente più cari di quelli di altre malghe che propongono la solita cucina sudtirolese (il che non significa che siano bassi: mangiare ad alta quota costa!). Hanno anche una cantina fornita (e costosa!), che però non ho mai avvicinato. Il posto, perlomeno in agosto, è sempre piuttosto affollato, quindi non conviene arrivare tardi. La sera si mangia solo su prenotazione. Pare che di inverno propongano piatti molto diversi, tra cui una mitologica “zuppa di fieno nella pagnotta” che prossimamente voglio provare ad ogni costo. Il servizio è accettabilmente celere, tenuto conto che siamo pur sempre in una rustica baita di montagna. Io lo consiglio senza alcuna remora.