Qualche mese fa, in occasione dell’approdo sulla cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko del lander Philae sganciatosi dalla sonda Rosetta, fu molto sbeffeggiato in rete il relativo servizio del TG4 a firma Mauro Buffa. In esso l’autore deprecava la spesa “francamente eccessiva” della missione, dando voce a un sordo antiscientismo purtroppo molto diffuso nel nostro paese.
Non è però per questo che lo cito, bensì per il fatto che il servizio accusava la sonda non solo di essere inutile, qualcosa che eccita “solo gli scienziati” (evidentemente gente strana e da non prendere a esempio), ma anche di danneggiare le persone comuni, rovinando per sempre l’immagine dell’astro natalizio e sostituendola con quella di un “grosso sasso polveroso”, del tutto privo di mistero e di interesse.
Se fosse solo il TG4 a sostenere che l’esplorazione spaziale distrugge la poesia, non darei molto peso a questa tesi. Tuttavia lo stesso concetto è stato espresso anche altrove con maggiore autorevolezza. Per esempio su Il Sole -24 Ore, poco prima dell’episodio che ho citato, è apparso un interessante articolo di Massimo Bucciantini che, prendendo a prestito le parole di Primo Levi, esprime un dubbio simile.
All’indomani dello sbarco sulla Luna, Levi si chiedeva se l’impresa sarebbe stata ancora in grado di farci meravigliare. “Il volo di Collins, Armstrong e Aldrin è troppo programmato, troppo poco ‘folle’, perché un poeta vi trovi alimento”, scriveva su La Stampa. Da qui prende le mosse il professor Bucciantini, che traccia un’interessante storia del rapporto degli uomini con la Luna mano a mano che la conoscenza è progredita, concludendo però con il dubbio che con le missioni lunari “quella continuità si sia spezzata”.
Sono rimasto sorpreso scoprendo che Levi avesse questo dubbio, lui che riusciva a rendere poetica la tavola periodica di Mendeleev, o a scrivere un racconto struggente intorno a dei barattoli di vernice che fa grumi quando non dovrebbe. Ma sarà poi un dubbio fondato? Io ho la sensazione che l’esplorazione dello spazio apra tanti varchi all’immaginazione quanti sono quelli che chiude. Forse è un po’ presto perché appaia un Grande Poeta a cantare il mistero dello spazio come lo vede la scienza moderna (in fondo è da poco più di mezzo secolo che l’uomo è in grado di lasciare il pianeta, e tuttora con forti difficoltà). Ma non vedo perché non dovrebbe prima o poi apparire.
Facendo queste considerazioni, mi ha confortato scoprire che l’ultima poesia di Edoardo Sanguineti, ancora una volta riportata da La Stampa, riguardava quasar, pulsar e altre entità misteriose che sono recentissime scoperte della scienza moderna. Ve la trascrivo qui:
Sonetto astrale
pulsano pulsar con forti pulsioni:
ecco a voi quasar, quasi stelle vive:
collassano assai dense, per pressioni
che imbucano per sempre, in nere rive:
così forse è: facelle in evezioni,
sciami di nebulose fuggitive,
supergiganti, code in librazioni,
variabili cefeidi recidive:
protuberanze, e getti, e radiazioni
corpuscolari, eclissi comprensive
di pieni pianetini e pianetoni,
aurore ipercompresse in somme stive:
oh, chiare notti gravitazionali,
mie fragili scintille zodiacali!
Se conoscete altre poesie dedicate allo spazio visto con occhi moderni, vi prego di segnalarmele al mio account Twitter (@Vanamonde65). Se le segnalazioni saranno abbastanza, potremmo fare della poesia spaziale un appuntamento fisso di questo blog. Alla prossima!