Per chi non lo sapesse, i Blackfield sono l’ennesimo progetto collaterale di Steven Wilson, il geniale e poliedrico leader, chitarrista e cantante dei Porcupine Tree, insieme al musicista israeliano Aviv Geffen. Geffen gode di grande popolarità nel suo paese ma, comprensibilmente, è totalmente sconosciuto all’estero. Wilson si è innamorato della sua musica al punto da trasferirsi per sei mesi in Israele pur di poter collaborare. Il risultato sono stati due dischi: uno del 2004, che includeva anche alcuni dei maggiori successi di Geffen tradotti dall’ebraico in inglese; e uno appena uscito e interamente di nuove composizioni.
Il concerto si è tenuto all’Alcatraz, in una pessima giornata di pioggia e blocco totale del traffico: pubblico decisamente scarso. Tutto si è svolto in orario (supporter alle 20, headliner alle 21). La serata è stata aperta dai Pure Reason Revolution, sconosciuta band inglese che si è rivelata una piacevole sorpresa. Fanno una musica molto interessante che giustappone elementi molto diversi: una ritmica piuttosto "heavy", armonie vocali, molta elettronica applicata alle chitarre. Non guasta il fatto che la bassista, cantante e fondatrice del gruppo, Chloe Alpert, sia molto carina, una specie di moderna Chrissie Hynde. La professionalità del gruppo si è vista anche dal fatto che il suono era non dico buono, ma perlomeno decente (e si sa che i supporter sono sempre sacrificati nei soundcheck). Sono subito finiti nel mio elenco di band da tenere d’occhio.
I Blackfield sono entrati in azione subito dopo. Wilson e Geffen erano accompagnati da tre musicisti israeliani: un bassista, un batterista e tastierista. Dal punto di vista esecutivo, Wilson è evidentemente il punto forte del duo: non solo la sua chitarra elettrica è il punto centrale di quasi tutti gli arrangiamenti, ma ha anche sostenuto quasi tutte le parti vocali più difficili. Al suo confronto Geffen rimane in ombra, strimpellando un’acustica o un’elettrica ritmica e cantando con voce potente ma un filo troppo lamentosa per i miei gusti.
Il concerto è stato diviso in due da un intermezzo in cui Geffen ha eseguito Pain da solo al pianoforte, e poi ha accompagnato Wilson in una suggestiva versione di Thank You di Alanis Morissette (ho sempre pensato che fosse un gran bel pezzo, mi fa piacere che anche Steven la pensi così). Per il resto, la cosa che mi è piaciuta di più è stata la "scioltezza" con cui i brani sono stati eseguiti. Mai una pausa, arrangiamenti anche complicati, il tutto senza sforzo apparente, con suoni perfetti. Una vampata di energia che ha calamitato il pubblico dal primo all’ultimo pezzo. E’ davvero raro vedere un concerto di questa qualità.
Riguardo al materiale, ho apprezzato ancora di più i brani del primo disco, che avevo inizialmente preso sottogamba, ma che invece ora mi rendo conto essere davvero una splendida collezione di canzoni. Resto invece meno convinto del secondo. Alcuni brani sono indubbiamente all’altezza dei primi, come l’iniziale Once, ma in alcuni casi gli arrangiamenti mi sono sembrati un po’ scontati, un progressive melodico senza tante pretese, alla Kino. Ma forse è solo questione di tempo prima che mi accorga delle qualità di Blackfield II.
Per inciso, Once è stata eseguita due volte. E, conoscendo l’umorismo bizzarro di Steven Wilson, sono sicuro che non è casuale!
In conclusione, un concerto splendido. Se ve lo siete persi, avete fatto male. Ora aspetto i Porcupine Tree al Gods of Metal!