Un palazzinaro corrotto e straricco ha ottenuto dal comune di Roma il parco di villa Ada per farne la propria residenza privata, lo ha popolato di belve e intende festeggiarne linaugurazione con un vero e proprio safari cui parteciperanno tutti i VIP italiani. Tra loro c’è anche Fabrizio Ciba, scrittore di grande successo ma col segreto (e fondato) timore di essere un bluff che prima o poi la gente scoprirà. Ma ci sono anche, infiltrate, le Belve di Abaddon, i seguaci di una scalcinatissima setta satanica che intendono conquistare fama imperitura compiendo un sacrifico umano durante la festa…
Raramente ho cominciato a leggere un libro con tanto piacere come con questo nuovo Ammaniti. Il primo capitolo, con la riunione della setta satanica "all’amatriciana", è da applauso, un pezzo satirico da antologia, qualcosa che ti fa ridere di gusto e nel contempo ammirare la sottile analisi psicologica, insomma l’Ammaniti migliore. Poi però, gradatamente, la forza del libro cala fino ad ammosciarsi. In parte ne è responsabile il personaggio di Fabrizio Ciba, macchietta di scrittore vanitoso e velleitario probabilmente molto realistica, ma che non è né abbastanza grottesca da essere divertente, né ci dice qualcosa di davvero nuovo o interessante. Ma soprattutto, è la struttura del libro a non funzionare: manca del tutto quella sensazione di meccanismo a orolgeria, in cui tutti i pezzi vanno a combaciare, che era la caratteristica più entusiasmante della scrittura ammanitiana. Qui, al contrario, scene e personaggi rimangono a fluttuare nel vuoto, senza un collegamento con il resto della trama, o anche senza che il loro inserimento appaia motivato. Per esempio: la scena dell’amante di Ciba e del video porno, episodio che si perde nel nulla. Oppure il cuoco bulgaro ipnotizzatore, che non si capisce bene cosa c’entri con tutto il resto. Alla fine, invece che risolvere la trama, Ammaniti decide di sfasciare tutto con un’invasione di creature del sottosuolo, tanto ingiustificate che è costretto a inserire sette pagine di quello che lui stesso definirebbe un micidiale "spiegone", senza comunque riuscire a infondere un minimo di credibilità all’evento. Peccato, perché le potenzialità per scrivere un grande libro c’erano tutte. C’è chi sostiene che da Ammaniti ci si aspetta troppo, e che si tratta solo di un bravo scrittore pulp dal quale però è sbagliato pretendere qualcosa di più. Io continuo ad ammirare la sua capacità di colpire e accattivare il lettore, che anche in Che la festa cominci raggiunge vette notevoli. Ma proprio per questo continuo ad volere da lui qualcosa di più, che negli ultimi due romanzi non è arrivato.
A me, senza tanti giri di parole, è sembrato un’emerita porcheria… Soldi – e soprattutto tempo – buttati via!