In un Egitto alternativo interamente basato sulle biotecnologie, la poliziotta Naïma viene chiamata a far parte della squadra dei Sette, un gruppo eterogeneo che investiga su casi di omicidio. Usa metodi violenti e discutibili, ma c’è una ragione: se riesce a portare il colpevole al cospetto di Iside entro 24 ore, si può scambiare la sua anima con quella della vittima, riportandola in vita…
Clelia Farris è, a mio avviso, tra i migliori autori di fantascienza che abbiamo in Italia. I suoi romanzi hanno tutte le caratteristiche che vorrei trovare in una buona opera del genere. In primo luogo, l’originalità: i tre titoli che ha pubblicato finora non fanno il verso a nessun filone della fantascienza anglosassone, e non si assomigliano nemmeno molto tra di loro: ogni libro è un’esperienza a sé. In secondo luogo, le idee: quella della Farris è una fantascienza che, pur senza addentrarsi in minuzie scientifiche o tecnologiche, non si limita a creare delle atmosfere, ma inventa situazioni realmente nuove e interessanti e le affronta in modo problematico, come accade nei capolavori del genere. Infine, la densità: non si accontenta certamente di una sola idea per romanzo, ma ce ne mette tante e le fa interagire tra loro in modo imprevedibile, dando davvero al lettore la sensazione di trovarsi in un mondo del tutto nuovo.
La pesatura dell’anima non fa eccezione. Già il tema principale, quello di una polizia in grado di far risorgere le vittime, è decisamente potente e pieno di implicazioni. Ma l’idea vincente è quello di ambientare il tutto in un mondo totalmente diverso dal nostro, un Egitto alternativo in un Universo alternativo, in cui l’uso dei metalli è proibito, le case e i mobili sono alberi modificati, mentre animali modificati fungono da mezzi di trasporto e di comunicazione. Un luogo tanto più affascinante in quanto viene dato per scontato: non c’è nessun personaggio che si prenda la briga di spiegarlo al lettore, che deve costruirselo nella sua mente decifrando frasi sibilline e neologismi. C’è persino un personaggio che parla uno slang malavitoso, che viene reso con un linguaggio del tutto campato in aria e pure perfettamente comprensibile, con un autentico virtuosismo letterario.
Dopo tanti elogi, però, devo dire che purtroppo La pesatura dell’anima non riesce a raggiungere i vertici di quello che finora è il capolavoro della Farris, Nessun uomo è mio fratello. Il libro diventa sempre più avvincente fino a circa metà; poi però è come se l’autrice ne perdesse il controllo. Troppi personaggi, con troppi cambi di punti di vista, che impediscono al lettore di immedesimarsi. Ma soprattutto, gradatamente il punto focale del romanzo cambia, passando dall’etica alla politica. Che sarebbe anche molto interessante, se non fosse che il sistema politico di questo Egitto inventato è descritto in modo troppo frammentario, e il lettore rimane spiazzato nel cercare di capire cosa stia realmente succedendo.
Nonostante questo, consiglio comunque la lettura di La pesatura dell’anima, un libro sorprendente che, anche se non perfettamente riuscito, rimane comunque parecchio sopra la media della fantascienza italiana,