Siamo abituati alle stranezze di Fripp e compagni, ma questo disco è giunto del tutto inaspettato. Proprio mentre lo scorbutico chitarrista inglese ribadiva sul proprio blog che al momento non ha alcuna voglia di rimettersi a lavorare con i King Crimson, esce un album con la dicitura “a King Crimson ProjeKct” che, se considerato un disco “ufficiale” della band, rappresenterebbe un radicale cambiamento di direzione musicale: prevalenza di canzoni invece che di strumentali, atmosfere soft e acustiche al posto del metal e dell’elettronica degli ultimi vent’anni.
Cos’è successo in realtà? Il disco è nato come album solista di Jakko Jakszyk, musicista inglese non molto noto ma con un impressionante curriculum (ha collaborato, tra gli altri, con Level 42, Jansen Barbieri & Karn, Dave Stewart). Costui ha chiamato ad aiutarlo qualche musicista di area crimsoniana, poi ne sono arrivati altri, e alla fine 4 partecipanti su 5 sono risultati essere membri o ex-membri dei King Crimson: Robert Fripp, Mel Collins (sassofonista della band negli anni ’70), Tony Levin, e Gavin Harrison (batterista dei Porcupine Tree e anche dei King Crimson attuali, sebbene non abbia ancora partecipato ad alcun album). Anzi, possiamo dire 4 e ½ su 5, dato che Jakszyk è il cantante e chitarrista della 21st Century Schizoid band, gruppo dedito alla rievocazione del vecchio repertorio crimsoniano. È stato naturale, perciò, mettere il bollino KC a disco completato.
Il risultato è un disco d’atmosfera, che può ricordare i momenti più sognanti dei dischi di Fripp con David Sylvian. La chitarra di Fripp serve soprattutto a generare soundscape, che vanno a fondersi coi suoni altrettanto eterei di Jakszyk (che suona chitarra, tastiere e una specie di cetra cinese denominata guzheng). Su tutto svetta il sax di Collins, che è la vera colonna portante di questo album: il suo sound è perfetto ed entusiasmante, e i suoi continui assoli donano energia e interesse a una musica che altrimenti rischierebbe di essere monocorde. Tony Levin al basso e Stick dà il suo solito impeccabile contributo, mentre devo dire di non avere apprezzato molto il drumming di Gavin Harrison: è bravissimo, ma il suo stile troppo roccheggiante mi è parso fuori posto. Qui ci sarebbe voluto un rifinitore come Michael Giles (che tra l’altro è il suocero di Jakszyk…).
Quello che non funziona molto in A Scarcity of Miracles, a mio avviso, sono proprio le composizioni di Jakszyk, che sono garbate e fungono da ottimo spunto per le improvvisazioni strumentali dei suoi compagni, ma non riescono a imporsi per il loro valore intrinseco. Avrò ascoltato l’album almeno una dozzina di volte, ma nessuna delle melodie mi è ancora rimasta nella memoria. Se mi consentite una metafora culinaria, l’effetto è quello di un intingolo delizioso versato su una pietanza di per sé insapore. Il piatto è mangiabile, anche buono, ma il peccato originale resta.
In definitiva, gli appassionati prog dovrebbero comprare l’album soprattutto se hanno voglia di ascoltare un Mel Collins al massimo della forma. Ma se quello che cercate è un nuovo disco dei King Crimson, dovrete aspettare ancora.
L’album viene venduto a prezzo normale in una confezione che, oltre al CD-Audio, include un DVD che ripropone il contenuto del CD in una varietà di formati di qualità superiore (DVD-Audio stereo, DVD-Audio surround, LPCM stereo e DTS Surround), oltre a offrire un paio di bonus track. Che pacchia! Unico neo: i menu del DVD sul mio computer non sembrano funzionare (ma si può comunque accedere ai contenuti).
curiosa, sono.
Avrei dovuto immaginare che usando metafore culinarie ti avrei incuriosita. 😀
P.S.: Bentornata!
Grazie per l’appunto in bacheca =) Annuisco sempre con le metafore culinarie, visto che io stesso ne faccio largo uso. Se ho capito bene, la pietanza di Jakszyk sarebbe una buona base per assaporare gli intingoli alla guisa di un pane a cassetta?
Tu ci stuzzichi, adesso se ne ho l’occasione mi tocca assaporare anche questo progetto =)
Forse la mia metafora era un po’ meno positiva. Intendevo dire che ascoltando questo disco apprezzo molto i contributi dei singoli strumentisti, ma le composizioni restano poco significative