Sherlock Holmes – Gioco di ombre

Sherlock Holmes è determinato a sconfiggere il malvagio professor Moriarty, che dietro la facciata di tranquillo accademico manovra crimini e  organizza attentati senza mai lasciare tracce. Moriarty gli fa sapere che, se insisterà a cercare di fermarlo, lo colpirà negli affetti più cari, incluso il dottor Watson, che sta per sposarsi e non ne vuole più sapere di aiutare Holmes nelle sue imprese. Ma Holmes non accetta di arrendersi: non gli resta perciò che proteggere Watson all’insaputa di quest’ultimo…

Il primo Sherlock Holmes di Guy Ritchie mi era sostanzialmente piaciuto. A fianco di tante operazioni che, nel tentativo di “modernizzare” un personaggio famoso, lo snaturano completamente (tipo trasformare I tre moschettieri in un’avventura steampunk, per dire), il regista inglese ha compiuto un’operazione molto più sofisticata, recuperando le caratteristiche del personaggio letterario che erano state gradatamente dimenticate nella vulgata cinematografia e televisiva. Nella fattispecie: Sherlock Holmes non è (solo) un freddo ragionatore: è un uomo d’azione, un drogato e sostanzialmente un pazzo lunatico. A questa ottima intuizione si aggiunge che Ritchie è un mago del montaggio, e riesce a rendere i ragionamenti sovrannaturalmente complicati di Holmes facendoci entrare nella sua testa con un velocissimo flusso di immagini invece che somministrarci i consueti noiosi spiegoni.
Se avevo delle riserve sul primo film era perché questa ottima costruzione del personaggio e le inquietanti atmosfere gotiche non andavano poi a parare da nessuna parte: il cattivo e il suo complotto erano poco significativi e non davano soddisfazione. Per fortuna qui si è corretto il tiro, si è chiamato in causa l’arcinemico di Holmes in persona, il professor Moriarty, interpretato in modo più che convincente da Jared Harris, e le cose funzionano meglio, tanto che si può tranquillamente dire che questo è uno di quei rari seguiti migliori del film iniziale. La tensione non cala mai, c’è un perfetto equilibrio tra dramma e commedia, e le trovate di Holmes sono sempre sorprendenti (e inverosimili se ci si pensa per un secondo, ma questo è vero anche per i romanzi di Doyle). La scena che mi è piaciuta di più è quella finale, in cui Moriarty e Holmes giocano a scacchi e con montaggio alternato Watson mette in pratica le deduzioni dell’investigatore: una costruzione impeccabile. Ritchie è davvero uno che ci sa fare, peccato per quell’incidente di percorso di sposare Madonna (finché è stato suo marito ha prodotto l’unico film brutto della sua carriera).
Certo, ci sono anche cose che non funzionano, per esempio il personaggio femminile. Tolta di mezzo in fretta Irene Adler, viene sostituita con una chiromante zingara che segue ovunque Holmes & Watson senza mai interagire con loro. Un personaggio inutile (e l’interpretazione incolore di Noomi Rapace non aiuta). Ma in generale tutti i personaggi secondari non convincono molto. Per esempio, usare Stephen Fry come Mycroft Holmes è stata una scelta di casting pressoché perfetta, ma poi il personaggio rimane sospeso per aria, come se gli sceneggiatori fossero indecisi su come usarlo.
Giudizio sintetico: se fanno il terzo andrò a vederlo.
Per un errore una bozza incompleta di questo post è rimasta a lungo online. Me ne scuso.

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Un commento su “Sherlock Holmes – Gioco di ombre”

  1. A me invece non ha soddisfatto. Certo, è indubbiamente un gran bello spettacolo, e non mi sono annoiato, però boh… ormai ‘sto genere di film mi sembra fatto a carta carbone, tanto che appena esci dalla sala fai già fatica a distinguerli uno dall’altro.
    (penso a Sherlock Holmes, a Capitan America, a Iron Man e compagnia bella…)

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