Il giorno prima del concerto dei Genesis di cui parlo nel post precedente, mi sono lasciato convincere dal Soloist ad andare al concerto di una cover-band, in modo da godermi un po’ dei brani del periodo Gabriel che sicuramente il gruppo originale non avrebbe eseguito. Mi sono così recato insieme a lui al Thunder Road di Codevilla (PV). L’arrivo è stato abbastanza deprimente: meno di trenta persone nel pubblico (c’è da chiedersi cosa spinga tanti ottimi musicisti a dedicarsi ancora al prog, se i risultati sono questi). Per giunta, niente birra alla spina, in quanto esaurita (di venerdì sera?!?!).
Il concerto è stato aperto da La Torre dell’Alchimista, che ha presentato il nuovo album Neo. La band si rivela una piacevolissima sorpresa. È raro che un concerto mi piaccia molto se non conosco i brani che vengono eseguiti, e questo vale in particolare per una musica complessa e non sempre orecchiabile come il prog. Ma i giovani bergamaschi della Torre mi hanno davvero fatto passare un piacevole inizio di serata. Merito soprattutto del tastierista Michele Mutti che, dotato di una strumentazione invidiabile (organo Hammond, Mellotron, Fender Rhodes, qualcosa che sembrava un MiniMoog o altro strumento equivalente, più tastiere digitali e computer) l’ha usata davvero al massimo delle possibilità, sostenuto da un’ottima sessione ritmica e da un cantante dalla voce limpida che riusciva a farsi sentire nonostante l’imponente sbarramento sonoro. Musica vecchio stile, certo, ma cos’ ben composta ed eseguita da non sembrare affato datata. Non altrimenti si può dire, ahimé, dei testi, il vero punto debole della band. Retorici, pesantemente metaforici, roba che sarebbre apparsa ingenua e fuori moda già trent’anni fa. Datevi una regolata, ragazzi!
A seguire, la Dusk e-B@nd, e qui sono cominciati i guai. Il gruppo arriva sul parco già in ritardo e comincia, tra la costernazione dei pochi presenti, a fare il soundcheck. Non ho modo di sapere se la copla del ritardo sia stata del locale o della band; certo che, per un concerto che si svolge in un locale a quasi un’ora di macchina da Milano, cominciare a suonare dopo mezzanotte non è il massimo. Per giunta, ci sono gravi problemi: il basso ha un problema di schermatura, ogni volta che interviene si sente un colossale ronzio che arriva a coprire gli altri strumenti, pasticciando irrimediabilmente il suono. Non si trova una soluzione, il gruppo comincia a suonare lo stesso, ma è sull’orlo di una crisi di nervi, e si vede. Data la situazione, viene eseguita una scaletta piuttosto accorciata. Watcher of the Skies, The Return of the Giant Hogweed, vari brani tratti da The Lamb Lies Down on Broadway, I Know What I Like, Dance on a Volcano, forse qualche altro pezzo che non ricordo, mentre Abacab è l’unico dei brani post-Hackett. Però il suono è un disastro, la tastiera distorce pesantemente, i musicisti non riescono a sentirsi e sbagliano.
Difficilissmo giudicare la band in una situazione del genere. Rispetto alle altre due splendide cover band italiane che ho avuto occasione di sentire (cioè i Supper’s Ready, il cui batterista è finito proprio nella Dusk e-B@nd, e la G Cover Band), mi è parso che in questo caso il sound lasciasse a desiderare in quanto non molto filologico ma nemmeno sufficientyemente personalizzato. Però, appunto, la situazione era tale da non consentire di giudicare serenamente. Nota di merito, in ogni caso, per il cantante Roberto Capparucci, che è riuscito ad apparire bravo anche in condizioni difficili come quelle descritte. Mi auguro che ci sarà un’occasione migliore per consentire anche agli altri di splendere.