Avvertenza: Niente paura: anche se ormai gli spoiler non si contano, in questa recensione farò in modo di rimanere sul vago e non svelare alcun dettaglio importante. Certo, se proprio volete rimanere a mente vergine al 100%, o se non avete letto nemmeno tutti i romanzi precedenti della serie, è meglio che non la leggiate comunque.
Ho avidamente letto l’ultimo volume della saga di Harry Potter, e credo di poter dire con sicurezza che J. K. Rowling è riuscita a dare una degna conclusione alla serie. Dirò di più: pur non essendo esente da difetti, Harry Potter and the Deathly Hallows è probablmente il suo libro più avvincente e uno dei meglio costruiti. L’autrice è riuscita nel difficile compito di creare un’opera profondamente diversa dalle sei precedenti, senza però snaturare l’atmosfera della serie. Ed è riuscita, compito ancora più difficile, a risultare sorprendente senza contraddire le aspettative dei lettori (e camminava su un terreno minato, perché gli indizi che rivelavano quanto sarebbe successo erano numerosi).
La principale differenza tra The Deathly Hallows e il resto della saga è che si svolge quasi del tutto fuori da Hogwarts. Niente più lezioni, partite di Quidditch o rivalità tra le Case, e nessun momento di tranquillità: Harry Potter è braccato, rischia la vita ogni minuto, e l’azione comincia dal primo capitolo per non fermarsi praticamente mai. E la lotta è all’ultimo sangue: se ciascuno dei tre libri precedenti era segnato da una morte importante, qui vediamo cadere oltre mezza dozzina di personaggi cui il lettore può essersi affezionato. Del romanzo per bambini non è rimasto quasi più nulla.
Anche dal punto di vista psicologico, il libro non è meno duro. Non solo Harry è sottoposto a pressioni tremende, ma si trova costretto a mettere in discussione alcuni dei legami più profondi della sua vita. Del resto, il giovane mago si trova privo della sua guida, Albus Dumbledore, morto in Harry Potter and the Half-Blood Prince. Ed è proprio Dumbledore il vero coprotagonista di The Deathly Hallows: analizzato retrospettivamente, perde la sua aura di infallibilità e diventa un personaggio umano con contraddizioni e manchevolezze, segnando così il definitivo passaggio di Harry all’età adulta.
La trama è straordinariamente complessa. Per distogliere l’attenzione del lettore da quegli elementi che solo in fondo al libro potevano essere svelati, la Rowling ha inserito abbastanza misteri da bastare per almeno due libri “normali” della serie. È comunque evidente come la saga sia stata progettata in modo completo fin dall’inizio: nella trama hanno una funzione essenziale indizi e personaggi minori che risalgono addirittura al primo libro. Se la vostra memoria non è buona, una rilettura integrale dell’intero sestetto precedente prima di affrontare quest’ultimo volume potrebbe essere consigliabile.
Il risultato: direi ottimo. The Deathly Hallows non annoia e non dà mai l’impressione (a differenza dei libri centrali della serie) che ci siano capitoli superflui. È terribilmente avvincente, e conclude la serie in modo soddisfacente, senza forzature e con un bel po’ di sorprese.
Difetti? Ovviamente ce ne sono. Alcuni condivisi con l’intera saga. La scrittura della Rowling tende sempre un po’ al barocchismo e alla lungaggine. Inoltre personalmente ho un’idiosincrasia per i duelli magici troppo lunghi, che non trovo molto convincenti, né qui né altrove.
Per quanto riguarda questo libro in particolare, bisogna dire che la prima metà del libro è un po’ estenuante: Harry Potter brancola nel buio, commette alcuni errori colossali, i dubbi e i misteri si accumulano senza mai uno spiraglio di luce, e tutto comincia a sembrare un po’ troppo cupo e disperato. Fortunatamente, le pagine successive rimettono le cose a posto. Ma, soprattutto, in The Deathly Hallows la Rowling ha sacrificato la completezza all’efficacia narrativa. Ci sono alcune lungaggini in meno, ma alcuni particolari appaiono un po’ “tirati via”. Per esempio, c’è un oggetto che scompare e poi riappare senza che venga spiegato bene come ciò sia possibile. Ma soprattutto, ci sono alcuni personaggi molto importanti che muoiono in battaglia, in qualche caso addirittura fuori scena, e vengono messi da parte in poche righe, lasciando una certa sensazione di “vuoto” narrativo. Probabilmente il libro sarebbe risultato troppo pesante con l’aggiunta di altri capitoli con morti eroiche e struggenti compianti, però anche questa soluzione lascia a desiderare. Inoltre i più frivoli tra i lettori rimarranno con la curiosità di sapere cosa ne è stato di alcune relazioni sentimentali che si potevano intuire nei libri precedenti, e del cui destino il libro finale non si occupa. Comunque sia, il maggiore difetto di The Deathly Hallows è che finisce ed è l’ultimo. Le belle storie hanno una fine, e questa ne ha una davvero degna, però si resta male al pensiero che il divertimento è finito.
Allora.
Per motivi miei personali mi sono fermato al IV volume della saga e -nonostante il tuo invogliante post- per qualche anno ancora non leggerò i successivi.
Dunque questo commento è OT.
Ma è per una buona causa.
Intorno a sabato 8 settembre p.v. mi troverò a Mantova al festival della letteratura. Suppongo che ti ci troverai anche tu.
Fra i motivi del mio viaggio c’è ovviamente questo: http://www.neilgaimania.it/html/view2.php?id=32&nomedb=articoli
In sintesi, sarebbe bello non arrivare a mani vuote.
Che ne dici?
Si può tentare qualcosa in questo mesetto?
Devo ancora prenderlo, dopo essere stato anche troppo “spoilerato”. La freschezza e la spontaneità della saga è persa ormai da tempo. Ho paura che la Rowling abbia solo cercato di chiudere i conti con HP in qualsiasi modo. Magari anche solo mettendo la copertina del romanzo all’elenco del telefono. Tanto avrebbe venduto milioni di copie lo stesso. Ma non sono tipo da pregiudizi. Leggerò e giudicherò anche io, ovviamente. Le tue impressioni sembrano smentire i miei timori.
@ ubimario: ti ringrazio personalmente a nome di me medesima per la segnalazione sul festival di Mantova. Non tanto per Gaiman, che non ho ancora letto, ma per il festival in sé, che ogni anno me lo perdo. Stavolta mi sa che riesco a passarci!
Ubimario: Per la verità non sono mai andato al festival. Mi secca il fatot di dover trovare una sistemazione e decidere a quali eventi recarmi con mesi di anticipo, pena la certezza di non trovare posto. Però immagino di essere ancora in tempo a cambiare idea… Non capisco però cosa intendi parlando dinon arrivare a mani vuote. C’è qualcosa che mi sfugge?
Emanuele: Il libro non è sicuramente perfetto, però altrettanto sicuramente è uno dei più solidi. Ha una trama complicata, ben studiata, un finale degno e, secondo me, anche un messaggio non disprezzabile. E’ vero però che gli manca quel senso di “chiusura” che una fiaba dovrebbe avere. Molti spunti anche importanti vengono tralsciati o sprecato, probabilmente per pura sovrabbondanza di materiale. Comunque, tutte le persone che conosco che lo hanno letto si dichiarano più che soddisfatte. 🙂
Sulle mani vuote: volevo parlartene de visu, o al max anche de telefonu (peraltro ho provato di chiamarti a un cellulare che però sembra abbandonato, hai cambiato numero nell’ultimo anno?)
No, l’ho solo dimenticato a casa. 🙂
E Silvia ha una caviglia rotta enon può rispondere. :))
Credo che ci vedremo stasera al Wizard, comunque ora ti chiamo.