Lyra è una dodicenne che vive in un mondo diverso dal nostro, anche se simile, in cui ogni essere umano è accompagnato da uno spirito dall’aspetto di un animale, il daimon, dal quale non si separa mai dalla culla alla tomba. La ragazzina è sotto la protezione dell’università di Oxford, in quanto i suoi genitori, di nobile origine, sono scomparsi. Quando un’ambigua signora obbliga il rettore a darle in consegna la bambina, questi le consegna di nascosto uno strumento simile a una bussola che, se correttamente interrogato, è in grado di rispondere a qualsiasi domanda. Quando Lyra scopre che la donna è in combutta con coloro che, per scopi misteriosi, rapiscono bambini, fugge. Di lì a poco si ritroverà, insieme a una strega, a un’aeronauta e a un orso guerriero parlante, alla guida di una spedizione nell’estremo Nord volta a liberare i bambini scomparsi. Tratto dal romanzo di Philip Pulman.
Il film arriva in Italia dopo un flop negli Stati Uniti e con un aureola di recensioni negative. Sarà merito delle mie aspettative conseguentemente basse, ma in realtà il film mi è parso molto migliore del previsto. Direi che sostanzialmente il film presenta gli stessi pregi e difetti della serie di film tratta dai romanzi di Harry Potter. I pregi: una ricostruzione fedele, credibile e dettagliatissima dei luoghi e delle atmosfere del romanzo, e un casting molto azzeccato, con attori di nome anche per ruoli molto piccoli. Tutti gli interpreti dei ruoli secondari mi sono sembrati molto in parte, e anche l’esordiente protagonista Dakota Blue Richards, pur non essendo stupefacente, mi è comunque sembrata convincente (molto più di alcuni dei melensi ragazzini di Le Cronache di Narnia).
Il difetto principale del film è insito nella natura stessa dell’operazione, e cioè far rientrare in un film di meno di due ore una storia molto lunga e complicata rimanendovi fedeli. Bisogna dire che il regista e sceneggiatore Chris Weitz ha fatto uno sforzo encomiabile, simile a quello fatto da Peter Jackson per Il Signore degli Anelli, rimaneggiando la cronologia del romanzo, comprimendo pi scene insieme, ma rispettando sostanzialmente la natura del mondo e della storia originali. Devo dire che in alcuni punti Weitz ha persino migliorato la storia: enfatizzando il personaggio di Lee Scoresby, che nel romanzo è più defilato, e soprattutto rimandando la rivelazione dell’identità dei genitori di Lyra, che viene svelata non day gyziani ma da Marisa Coulter, con un’efficacia drammatica a mio avviso maggiore. Questo però non evita che il film appaia spesso in affanno nel tentativo di concentrare in pochi secondi scene che avrebbero bisogno di tempi lunghi per risultare efficaci. La sottigliezza delle relazioni tra i personaggi va perduta, e anche il realismo ne soffre, dato che Lyra sembra spesso intuire come per magia cose richiederebbero invece lunghe ricerche o spiegazioni.
Va notato che il film evita di mostrare i due eventi più drammatici del libro, cioè le morti di due bambini. E soprattutto che finisce un po’ prima del romanzo, creando così la parvenza di un finale ma lasciando Lyra in viaggio per raggiungere il padre insieme ai suoi compagni di viaggio.
In conclusione, chi ha letto e apprezzato il libro può senz’altro gradire il film, che non tradisce l’originale ed è realizzato con cura. Chi invece non lo conosce potrebbe rimanere spiazzato da un’opera che descrive molte cose troppo frettolosamente e si conclude lasciando molte questioni in sospeso.
Sarà interessante vedere se saranno realizzati i seguiti, il cui contenuto, tra l’altro, è per molte ragioni molto più scabroso da rappresentare. Certo, il film non merita i giudizi negativi con cui è stato accolto, e penso che sarebbe veramente preoccupante se l’insuccesso americano fosse dovuto a motivi religiosi.