Gianni, che vive insieme all’anziana madre e non riesce a sbarcare il lunario, si trova costretto ad accettare la proposta dell’amministratore del condominio, che gli coprirà parte delle spese se ospiterà la propria madre per Ferragosto. Ma al momento cruciale l’uomo gli affida non una sola vecchietta, ma due. E anche il medico di fiducia, che lo cura gratis, in cambio gli chiede di ospitarne una quarta…
Pranzo di Ferragosto è il film di cui tutti in questo momento parlano bene. Devo dire però che, anche se il film si lascia vedere con piacere, arrivato ai titoli di coda mi sono trovato a chiedermi il perché di tutto questo entusiasmo. È vero che Gianni Di Gregorio, regista e protagonista, è bravo e simpatico. È vero che le quattro vecchiette, non professioniste, se la cavano meglio di attrici navigate. È vero che il film emana quasi sempre una sensazione di assoluto realismo, come se le scene fossero state improvvisate sul momento (e probabilmente è proprio così, come dimostrano spesso anche le inquadrature disordinate el a fotografia sgranata). Ed è vero che il ritratto della vecchiaia che emerge dalle immagini è veritiero e incisivo senza mai scadere nel patetico o nella macchietta. E però, a mio avviso, questi dovrebbero essere solo gli ottimi elementi di partenza di un film, che poi li dovrebbe utilizzare per farci qualcosa. Invece, dopo appena un’ora e un quarto, una volta che tutte e vecchiette ci sono diventate familiari, il film finisce (con un finale che alcuni definiscono spiazzante, ma che a me è parso abbastanza prevedibile) e scorrono i titoli di coda. Non so, a me pare un po’ poco. Anche nei più strampalati e improvviati film di Jim Jarmusch non ci si limitava a presentare i personaggi e a farli interagire, ma c’era anche qualche spunto di sceneggiatura. Qui invece ci si accontenta di un risultato che carino è carino, figuriamoci, e lo è anche in un senso diverso e migliore del classico film italiano "carino". Però da quello che viene spacciato per film-rivelazione mi aspettavo di più.
Mese: Settembre 2008
Film: Kung-Fu Panda
Il maestro di una scuola di Kung-Fu deve scegliere quale degli allievi è destinato a diventare il guerriero-drago, e a ricevere la pergamena che gli consentirà di assumere un enorme potere guerresco. Ma, inopinatamente, i segni del destino indicano Po, un panda grasso e inetto che sembra del tutto inadatto a diventare un temibile guerriero. La situazione si complica quando un feroce ex-allievo della scuola fugge di prigione e si prepara a compiere la sua vendetta sugli abitanti del villaggio…
Non sono mai stato un grande appassionato delle animazioni Dreamworks, sempre più occupate ad ammiccare al mondo adulto e contemporaneo che a raccontare una bella storia (persino l’osannata serie di Shrek si macchia, a mio avviso, di questo peccato). Ma, finalmente, ecco l’eccezione: Kung-Fu Panda è un cartone animato godibilissimo che, proprio perché non si fa carico di ambizioni eccessive, coglie perfettamente nel segno. La storia, semplice, lineare e risaputa, potrebbe essere quella di un qualsiasi film di arti marziali di Hong Kong. Gli autori si sono limitati a lavorare sulla caratterizzazione dei personaggi, e hanno fatto un lavoro splendido. Gli si potrebbe rimproverare che soltanto Po e il suo maestro Shifu sono personaggi davvero sviluppati, ma questo è uno dei pregi del film: l’avere evitato complicazioni eccessive. La trama scorre piacevolmente alternando momenti drammatici e comici, e si ride per le situazioni più che per le singole gag. La regia parodizza argutamente gli eccessi della filmografia di Hong Kong, inclusi rallentatori e fermi immagine, ma senza appesantire con troppe citazioni. Persino la morale "Zen" della faccenda viene illustrata in modo poetico e senza eccessi di retorica (un plus assoluto del film: la totale assenza di numeri cantati!). Insomma un gioiellino da vedere senz’altro, per tutte le età.
TV: Boris 2
La serie televisiva Boris è riuscita in un impresa praticamente impossibile: farmi ricominciare a guardare regolarmente un programma TV. Odio dirlo, perché una frase del genere mi fa sentire veramente vecchio, ma credo che prima di Boris l’ultima cosa che mi ha tenuto legato a un appuntamento periodico col piccolo schermo è stata Twin Peaks! Ho scoperto Boris in ritardo, quando già la prima serie era stata trasmessa, ma ho subito rimediato è, una volta saputo che ne sarebbe stata fatta una seconda serie, l’ho seguita episodio dopo episodio.
Ora la domanda è: queste nuove 14 puntate sono riuscite a rimanere all’altezza della dirompente prima serie? Mentre le guardavo, ero convinto di sì, dato che mi divertivo esattamente come con il primo Boris. Arrivati al termine, però, sono costretto parzialmente a ricredermi. Il fatto è che, tirate le somme, la nuova serie sembra essere stata costruita con maggiore improvvisazione rispetto alla prima. Mentre l’episodio finale di Boris dava un senso di compiutezza, quello di Boris 2 sembra non riuscire a dare conto di tutte le aspettative create.
Un problema è che i nuovi personaggi rimangono irrisolti. Né Cristina, né Karin, per esempio, riescono ad avere lo spessore che aveva Corinna nella prima serie. E i personaggi interpretati da Corrado Guzzanti, per quanto bravissimo, sembrano provenire da un programma diverso ed essere lì di passaggio: troppa differenza di stile tra lui e tutto il resto. Insomma, se il primo Boris seguiva la parabola di Alessandro lo stagista, che progressivamente era costretto dalla realtà a mettere da parte il proprio idealismo e ad assomigliare sempre più ai beceri personaggi del mondo della fiction, Boris 2 segue troppi fili narrativi senza approfondirne davvero nessuno.
Cio non toglie che il programma sia stato comunque anni luce al di sopra di qualunque cosa sia stato prodotto quest’anno dalla televisione italiana. E quindi, di fronte alla prospettiva ormai data per certa di un Boris 3, dico: ben venga! Anche se si rischia di allungare il brodo all’inverosimile, sarà comunque uno die pochi programmi italiani guardabili in giro.