La Terra ha ormai colonizzato un gran numero di pianeti, ma una legge-quarantena che protegge il nostro mondo dalle contaminazioni proibisce a chi se ne va di ritornare indietro. John Perry ha 75 anni, è appena rimasto vedovo, e non si aspetta più molto dalla vita. Accetta perciò di arruolarsi nelle Forze di Difesa Coloniale: dovrà combattere per due anni o più, ma in cambio, dicono, ritornerà artificialmente giovane…
È ormai rarissimo che in Italia vengano tradotti romanzi inediti di fantascienza (fatta eccezione per quelli ispirati a film, TV o videogiochi). Lode quindi a Gargoyle che ha portato in Italia il primo volume della fortunata serie di John Scalzi, Old Man’s War.
La lettura del libro mi ha dato fin dall’inizio una sensazione di “vecchia fantascienza”, sia in senso positivo che negativo. Da un lato, fa piacere leggere un romanzo che non è un thriller mascherato, e nemmeno si basa su ipotesi scientifiche tanto esotiche da essere difficile da seguire, come spesso capita con i testi moderni. Dall’altro, però, l’opera presenta alcune mancanze che sono disposto a perdonare ai classici, ma non alla narrativa di questo millennio.
La prima cosa che colpisce della scrittura di Scalzi è che rinuncia a tutti gli abusati meccanismi che gli scrittori di genere odierni utilizzano per creare tensione: non ci sono narrazioni parallele, cambiamenti di punto di vista, flash-back o flash-forward. La narrazione è lineare, in prima persona e segue un unico personaggio. Questo può sembrare semplicistico, ma mi sono convinto che sia un pregio: Scalzi sa tenere viva l’attenzione del lettore sulla propria storia senza trucchi non necessari, e non è da tutti.
L’altra caratteristica notevole di Scalzi è l’originale ed efficace miscuglio di stili. Le scene di battaglia sono rappresentate con un convincente equilibrio tra avventura e crudo realismo, degno dei migliori romanzi d’azione. Gli alieni, invece, sono descritti con un paradossale umorismo nero che fa pensare quasi a un Robert Sheckley o a un Douglas Adams. Infine, il vero filo conduttore dell’opera è il tentativo del protagonista e dei suoi compagni di rimanere umani pur essendo catapultati in un mondo totalmente alieno con corpi e menti artificiali. Un tema non nuovo, ma che l’autore tratta seguendo una malinconica vena introspettiva, l’autentico pregio del romanzo.
Dal punto di vista del realismo tecnologico, alcune parti sono convincenti, altre molto meno. Mi è piaciuta molto la descrizione dei corpi dei soldati, del computer che hanno installato nella testa e dell’uso che ne fanno. Ho però forti dubbi sul fatto che una futura guerra interstellare si combatterà scaricando migliaia di fanti sulla superficie dei pianeti. Da questo punto di vista, trovavo più convincente Fanteria dello spazio (il libro, non il film), dove i “fanti” spaziali usano armature, volano, sparano armi nucleari e si muovono a centinaia di chilometri l’uno dall’altro. Mi è difficile credere una battaglia contro gli alieni somiglierebbe al Vietnam o allo sbarco in Normandia.
Più in generale, a parte la descrizione dell’esercito, manca un serio tentativo di creare un mondo credibile nel suo insieme dal punto di vista economico, sociale o tecnologico. La società delle colonie spaziali non viene mai mostrata, mentre le scene ambientate sulla Terra hanno un sapore addirittura retrò, potrebbero svolgersi negli anni Cinquanta. Paradossalmente, alle reclute vengono distribuiti dei “PDA” su cui scrivere usando uno stilo: roba che era già nei negozi quando il romanzo è uscito, e che oggi è già obsoleta (persino il termine PDA non si usa più!).
Quello che però non sono proprio riuscito a digerire in Morire per vivere è il sottinteso politico di fondo. Questo viene esplicitato in un discorso che un ufficiale fa alle reclute: la guerra è brutta, ma necessaria e inevitabile. Le risorse dell’Universo sono scarse, ed essere meno aggressivi significherebbe rimanere indietro rispetto alle altre razze e soccombere. Talvolta si può trovare una soluzione pacifica, ma nella maggioranza dei casi le culture aliene sono troppo diverse dalla nostra per trovare un terreno comune. Quindi la guerra è l’unica soluzione. E non solo la guerra difensiva, ma anche quella offensiva: una delle operazioni militari descritte è un attacco preventivo a una civiltà “concorrente”, la cui società ed economia vengono chirurgicamente devastate, riportandole a un’era preindustriale e riducendo la popolazione alla carestia e al caos.
So che non bisogna confondere le opinioni di un personaggio con quelle dell’autore, tuttavia Scalzi, perlomeno nel corso di questo romanzo, non ci offre alcuna visione alternativa. A qualcuno viene il dubbio che le cose potrebbero andare un po’ diversamente, ma né il protagonista né i suoi amici pensano mai di mettere in discussione la struttura di cui fanno parte. L’unico personaggio che si ribella viene rappresentato come un idiota sognatore che si fa ammazzare in modo ridicolo senza concludere nulla. L’esercito, d’altra parte, viene descritto come un’organizzazione dura e severa ma anche giusta ed efficientissima, del tutto scevra da bullismo, disorganizzazione, corruzione o incompetenza.
Inutile usare giri di parole: a mio avviso Morire per vivere trasuda militarismo, e fa un elogio della guerra e dell’imperialismo che riecheggia alla perfezione le posizioni dell’amministrazione Bush sullo “scontro di civiltà”. Probabilmente era difficile aspettarsi altro da un autore che ha fatto di Robert Heinlein il proprio modello, ma resto comunque molto deluso. Specie dopo aver letto romanzi come Il ritorno delle furie o Black Man di Richard Morgan, che descrivono azioni militari sposandole a un’analisi politica di ben altro colore (e spessore).
Riassumendo: Morire per vivere è un romanzo avvincente, divertente e ben scritto, che mescola in modo proporzionato azione pura, umorismo e la storia toccante di un uomo che rinasce in un mondo nuovo. Tuttavia per goderselo bisogna essere capaci di astrarsi dalla visione politica discutibile che l’autore usa come sfondo.
Concludo accennando alla traduzione, che si lascia leggere ma è sicuramente migliorabile. Anche se la scrittura piana di Scalzi volta in italiano rimane scorrevole e briosa, nel caso di espressioni idiomatiche o insolite la traduttrice ha preso più volte fischi per fiaschi. Un esempio: la frase “No shit”, che significa all’incirca “Sul serio”, “Vuoi scherzare” o “Proprio così”, viene tradotta letteralmente con un “No, merda” privo di senso.
AGGIORNAMENTO: Ho intervistato via e-mail John Scalzi (persona molto gentile e professionale), che di fronte alle mie domande “politiche” ha preso un po’ le distanze dalla mia interpretazione. Ne riparleremo tra qualche settimana, quando pubblicherò l’intervista.