Film: Match Point

Match PointC’è chi ha detto che non è il solito Woody Allen. Sbagliando. Perché, se questo film ha un difetto, è proprio quello di ricalcare troppo da vicino un altro film di Woody, lo splendido Crimini e misfatti. Ma un vecchio maestro come lui ha tutto il diritto di ripetersi, se riesce a farlo in modo così impeccabile. Quanti sono i registi che, passati i 70 anni, riescono ancora a migliorare il proprio stile invece che scadere nella maniera?
Ma andiamo con ordine. Chris è un giovanotto irlandese di umili natali che ha la possibilità di accasarsi con la giovane rampolla di una ricchissima famiglia inglese, disposta ad accoglierlo e a fare di lui un uomo di successo. L’opportunista interpreta di buon grado la parte che gli è stata offerta, fino a quando incontra Nola, fidanzata del suo futuro cognato. Per un po’ Chris crede di poter essere se stesso con Nola e tutt’altra persona in famiglia ma, quando i due ruoli entrano insanabilmente in contrasto, si trova di fronte a una scelta terribile.
Il film scorre lineare senza mai annoiare, grazie a dialoghi perfetti (che sembrano a ogni momento sul punto di decollare verso i crescendo di battute tipici delle commedie alleniane, e invece si fermano subito dopo aver generato l’ombra di un sorriso) ed alla consumata abilità del regista, che un’inquadratura dopo l’altra ci restituisce un fedele ritratto dell’alta società londinese (forse Allen non avrà la mano felice nel descrivere gli sfigati, come in Criminali da strapazzo, ma i ricchi li sa dipingere come nessun altro). Scarlett Johannson è perfetta nella parte dell’americana sexy e un po’ volgare (tutto l’opposto della giovane pensosa ed eterea di Lost in Translation: la ragazza sa recitare). Jonathan Rhys-Meyers può sembrare algido nel primo tempo, ma si riscatta completamente quando il dramma gli fa perdere la sua compostezza. Ed è forse l’intuizione più geniale del film, farci vedere l’autore del misfatto che piange calde lacrime di fronte all’orrore di ciò che sta facendo, eppure non può fermarsi. Allen è poi abilissimo nel trasformare il finale in un trattato filosofico senza minimamente far cadere la tensione, anzi, con un rovesciamento che sorprende completamente gli spettatori (e che Hitchcock, probabilmente ispiratore dei dialoghi tra i due poliziotti, avrebbe sicuramente apprezzato).
In definitiva, in Match Point il nostro Woody dimostra una classe e una sicurezza invidiabili, da fargli sicuramente perdonare tutte le sue ultime mediocri prove (e in particolare l’insulso Melinda e Melinda). Evidentemente l’Europa gli fa bene. Non vediamo l’ora di vedere il prossimo, Scoop, sempre ambientato a Londra. Intanto, se non lo avete già fatto, correte a vedere questo!

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Film: Zucker… come diventare ebreo in sette giorni

Alles auf Zucker!Jackie Zucker è un ex-giornalista sportivo della DDR, che dopo il crollo del Muro sbarca il lunario gestendo un night club equivoco e giocando a biliardo. I figli non sopportano più la sua cialtroneria, la moglie vuole il divorzio, i creditori gli stanno alle costole. All’improvviso gli giunge una notizia: la madre, fuggita all’Ovest quarant’anni prima con il figlio maggiore, è morta e gli ha lasciato un’eredità che potrebbe toglierlo dai guai… a condizione che si riconcilii col fratello, un ebreo tanto ortodosso quanto lui è ateo e gaudente.
Ha destato molta sensazione il fatto che "Alles auf Zucker!" sia il primo film tedesco del dopoguerra che si permette di rappresentare gli ebrei in moto ironico e critico; ma, a sessant’anni e passa dalla caduta di Berlino, non credo ci sia da meravigliarsene, né tantomeno da scandalizzarsi. Il regista David Levy mette molta carne al fuoco, forse troppa, sovrapponendo al sotterraneo conflitto est-ovest che percorre la Germania odierna quello tra religione e modernità. Ma riesce a non cadere nelle trappole del didascalismo, e a costruire un film equilibrato, che non cerca di impartire facili lezioni, e nemmeno di inseguire la gag a ogni costo, ma vuole sopratutto raccontare una storia, a tratti davvero molto divertente.
"Zucker!" non è un film riuscito come "Goodbye, Lenin!" (al quale peraltro assomiglia non poco, per il modo in cui da una storia inizialmente farsesca e sconclusionata emergono gradualmente dal passato elementi anche drammatici). Verso il finale la trama tende a sfilacciarsi un po’, la storia di alcuni personaggi risulta un po’ confusa e improbabile, e, soprattutto, il finale non è pirotecnico come l’inizio lasciava sperare. Ma vale sicuramente la pena di vederlo, per ridere di gusto e per godere di un cinema impegnato ma dal tocco leggero, molto diverso dalla plumbea seriosità che ci si aspetta dai tedeschi.

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