Di aspirapolvere e tostapane

Aspirapolvere

Lo scorso settembre è entrata in vigore in tutta Europa, Italia compresa, una nuova normativa sugli aspirapolvere che pone un tetto alla potenza dei motori. Gli aspirapolvere casalinghi non possono più superare i 1.600 W di potenza, ed entro tre anni questa soglia verrà ulteriormente abbassata a 900 W. Questo comporta che gli aspirapolvere acquistati oggi sono meno efficaci di quelli che erano in vendita l’anno scorso? Tutt’altro. L’uso di motori di elevata potenza era un modo pigro di ottenere risultati che si possono ottenere anche con un miglior design degli apparecchi, e il cui costo energetico andava a gravare sugli acquirenti. Obbligati a diminuire la potenza, i produttori si sono dovuti ingegnare per migliorare il design e mantenere inalterate, o persino far crescere, le prestazioni. Anche perché contestualmente ai nuovi limiti è entrato in vigore anche un nuovo sistema di etichettatura che classifica in modo molto chiaro gli aspirapolvere in base alla loro efficienza. Non migliorare il prodotto avrebbe significato finire fuori mercato.
Quanto è importante tutto questo? Probabilmente più di quanto pensiate. Perché la quantità di energia che consumiamo per gli elettrodomestici è enorme, eccessiva e in crescita. Ed è in gran parte dovuta a sprechi evitabili. Per esempio, un rapporto dell’IEA (Agenzia Internazionale dell’Energia) rivela nel 2013 abbiamo consumato più di 600 TWh di energia solo per il funzionamento di dispositivi che per l’80% del tempo rimangono in stand-by ad aspettare che qualcuno li usi. Immaginate quante centrali elettriche lavorano solo perché noi si possa avere un piccolo LED acceso sul televisore, e quanto risparmieremmo se le aziende fossero obbligate a trovare modi per ridurre il consumo a zero quando l’apparecchio non è in uso. Nel caso degli aspirapolvere, la crescita continua della potenza impiegata stava portando verso un raddoppio dei consumi. Con questo provvedimento la UE conta di ottenere entro il 2020 un risparmio di circa 19 TWh. Se vi sembra poco, tenete conto che è pari al fabbisogno energetico dell’intera Slovenia! Servono diverse centrali elettriche per produrre tanta energia.
Perché vi parlo di questo proprio ora? Perché il leader della Lega Nord, Matteo Salvini, ha pensato bene qualche giorno fa di attaccare l’UE perche starebbe pensando di proibire i tostapane doppi, cosa che a lui pare intollerabile.

Tanto per essere chiari: al momento non esiste ancora alcuna normativa sull’argomento. E, anche quando esisterà, nessuno verrà in casa vostra a sequestrarvi il tostapane fuorilegge. Quello che è successo è che i tostapane sono stati inclusi in una lista di prodotti eccessivamente energivori, che vanno migliorati. Migliorati, non eliminati. Non ha senso avere un tostapane che scalda due griglie quando si inserisce una sola fetta di pane. Oggigiorno è piuttosto semplice inserire un sensore che spenga la griglia quando il pane non è presente. Con piccoli accorgimenti come questi si può evitare di dover costruire qualche nuova centrale, con tutto quello che comporto in termini di danni all’ambiente.
Non voglio certamente sostenere che le normative UE siano sempre utili e sensate, e non mi sarebbe difficile citare casi in cui si è ecceduto con gli sforzi prescrittivi. Ma questo è un campo in cui nuove norme possono portare benefici enormi senza mettere in pericolo il modo di vita di alcuno. Pensiamoci due volte, prima di affezionarci ai tostapane obsoleti.

Tostapane

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Civati ed io


Credo che il politico Pippo Civati si possa descrivere raccontando della prima volta in cui l’ho visto di persona. Era il 6 marzo 2010, Berlusconi aveva appena presentato un decreto che sanava una serie di irregolarità, consentendo di presentarsi alle elezioni regionali anche a liste che palesemente non ne avevano titolo. Dilagò la consueta indignazione, ma a Milano furono indette due manifestazioni distinte, una dal PD e l’altra dal Popolo Viola.
La manifestazione del Popolo Viola cominciava prima, di fronte al Palazzo di Giustizia, quindi raggiunsi lì alcuni amici, con l’intenzione però di spostarmi dopo alla manifestazione del PD, in largo Cairoli. Solo che poi arrivò Civati. Che parlò con gli organizzatori e disse: “Ha senso che facciamo due manifestazioni separate contro la stessa cosa? Perché non raggiungiamo tutti l’altra manifestazione?”
Non so come, ma convinse tutti: ci mettemmo in marcia, e raggiungemmo la manifestazione del PD. In testa al corteo, come si vede nella foto, sentii Civati ridacchiare come un bambino che ha commesso una marachella, e bisbigliare a Carlo Monguzzi: “Sai la faccia di Penati quando gli portiamo le bandiere del Popolo Viola sotto il palco!”
Ecco, questo è Pippo Civati: una persona di buon senso, che guarda alle idee e non alle appartenenze politiche, e riesce a ottenere risultati inaspettati, anche e soprattutto a dispetto dei dirigenti del suo stesso partito.
Da allora ho seguito Pippo da vicino, e non mi ha mai deluso. Ogni volta che ho avuto la tentazione di pensare che in Italia non esistono politici decenti, c’è stato lui a dimostrarmi il contrario, sostenendo  coerentemente le posizioni che avrei voluto che il PD sostenesse, su qualunque argomento (i referendum sull’acqua, gli F-35, i matrimoni omosessuali, la politica economica, quello che preferite). Io penso che, se Civati fosse stato segretario in questi ultimi anni, il boom del M5S non ci sarebbe stato, e quei voti li avrebbe legittimamente presi il PD.
Ma quello che mi piace di più di Pippo è la sua coerenza. Che ha fatto sì che in questi tre anni non lo abbia mai sentito affermare qualcosa per poi fare marcia indietro, a differenza di tanti altri suoi colleghi. Non va avanti a sparate che poi è costretto a rettificare, non va a cercare i titoli dei giornali a ogni costo, non lancia frasi ad effetto per avere l’apertura del TG (anche se è capace di grandissima ironia, come quando si è costruito da solo l’intervista che Fazio non gli ha voluto fare). Ha fatto una campagna elettorale senza l’appoggio di alcun giornale (vergognoso come Repubblica lo ignora) e senza grandi finanziatori alle spalle, eppure ha convinto molta gente, e tutti hanno detto che ha vinto il confronto TV su Sky.
Vi ricordate di tutte le volte che avete detto che avreste voluto dei politici seri, coerenti, capaci, moderni, che portassero avanti delle idee invece di difendere solo la poltrona? Adesso avete la possibilità di votarne uno, e non dovete lasciarvela sfuggire. Il vostro voto conta, ed è tanto più importante in quanto Civati non ha giornali che lo danno da mesi come il sicuro vincitore. Le cose si possono cambiare, a patto di crederci: è questo il senso dello slogan “le cose cambiano, cambiandole”. Io proverò a cambiarle domani, votando per Pippo.

Detto questo, siccome immagino che questo post susciterà prevedibili obiezioni, mi sono preparato anche qualche risposta preventiva:
Ancora il PD? Basta, non lo voterò mai più.
Sono piuttosto solidale con questa posizione, dato che anche per me votare PD in questo momento sarebbe molto difficile, se non impossibile. Il PD ha tradito i suoi elettori, facendo esattamente il contrario di ciò che aveva promesso in campagna elettorale. Per questo motivo, dopo cinque anni nel partito quest’anno non ho rinnovato la tessera. E tuttavia, non credo che felicitarsi della rovina del PD sia la soluzione. A noi elettori delusi servirebbe un PD che funzionasse e portasse avanti le idee per cui lo abbiamo inutilmente votato in passato. Quindi mi sembra sensato votare l’unico candidato che vuole fare sul serio quello che il PD non ha mai fatto. Secondo me vale la pena di scommetterci due euro. Poi non si è obbligati a votare il PD, se Civati non dovesse essere eletto, o se fosse eletto ma non risultasse convincente.
Non voto per Civati, parla tanto ma poi vota come gli altri.
Questa è l’obiezione che mi sento rivolgere più spesso, e sinceramente mi rattrista, perché la trovo totalmente ingenerosa e fuori dalla realtà. Civati non ha votato la fiducia al governo Letta, un atto di ribellione che poteva costargli l’espulsione. Da allora si è battuto ogni volta in assemblea per portare allo scoperto le contraddizioni del PD, a differenza di suoi colleghi che rilasciano dichiarazioni ai giornali ma in assemblea si guardano bene dal sostenere le stesse posizioni. Prendersela con lui perché alla fine vota con i suoi significa non capire quello che sta facendo, e cioè mostrare agli elettori che esiste un’alternativa e che il PD può essere diverso. Se votasse ogni volta in dissenso, sarebbe messo fuori dal PD, e l’alternativa non ci sarebbe più.
Non ci si rende conto che è molto più difficile cercare di convincere i propri compagni di partito rispetto a rompere i ponti. Lo so per esperienza: dopo le scorse elezioni ho partecipato a una riunione di un circolo PD, mi sono alzato e ho detto che il PD appoggiando la TAV aveva sbagliato tutto. Ho proseguito il mio discorso tra grida, fischi e mormorii, consapevole che in sala c’era probabilmente solo una mezza dozzina di persone che la pensava come me. Non credo di aver convinto nessuno. Ma credo di essere stato più utile allora che ero dentro, piuttosto che ora, che per esasperazione e stanchezza sono fuori. Rispetto Civati perché ha la forza di rimanere dentro e lottare, in un partito in cui per ora è come un corpo estraneo.

Che senso ha votare Civati? Tanto vince Renzi!
Per cominciare, questo è un discorso che si morde la coda. Ovvio che Civati non può vincere se la gente non lo vota, quindi per farlo vincere bisogna in primo luogo votarlo. Ma poi, anche se non dovesse arrivare primo, più voti prenderà, più sarà difficile al futuro segretario del PD ignorare le sue posizioni. Non ci si può lamentare che le cose non cambiano, se poi non si colgono le opportunità per cambiarle.
Io voto Renzi! Solo Renzi può cambiare l’Italia!
Mah, cosa vuoi che ti dica, non sono d’accordo. Per cominciare, Civati ha idee molto più chiare e nette su quasi tutto, mentre Renzi spara grandi frasi, ma poi nel concreto non si capisce cosa vuole fare (esempio principe: dice di essere contrario alle larghe intese, però dice anche che vuol lasciare proseguire Letta fino al 2015; come stanno insieme queste due cose?).
Gli argomenti che usano i renziani, poi, non mi convincono per nulla. “Renzi è un vincente, Renzi ha carisma”, mi dicono, e a me cadono le braccia. A sentirli sembrerebbe che per un politico la dote principale sia essere telegenico, piacere per la propria immagine invece che per quello che dice. Secondo me chi la pensa così è avvelenato dal berlusconismo. Ed è tipico, ahimè, di una sinistra succube cercare di riprodurre le ricette della destra quando sono ormai scadute. Come Renzi che dice di ispirarsi a Blair, che nel mondo ormai è schifato da chiunque. E comunque vorrei far notare che il vincente Renzi nelle scorse primarie ha perso, e contro Bersani.
Mi dicono: “Renzi è l’unico che può prendere il voto degli elettori di destra”, e a me cadono le braccia due volte. Sono più di vent’anni che si segue questa teoria per cui in Italia la sinistra è minoritaria e non può vincere, e perciò è necessario compiacere i cosiddetti “moderati”. Risultato: la sinistra ha continuato a perdere voti, si è dissanguata inseguendo alleati che non contavano nulla (Casini, Fini, Monti, adesso Alfano), mentre il M5S dal nulla si prendeva il 25% dei voti. Ora vorreste farmi credere che con Renzi sarà diverso? Non vedo perché. La sinistra non vincerà mai inseguendo i voti della destra. Vincerà quando saprà convincere i suoi, che ora in gran parte si astengono, a votarla.
Inseguire gli elettori era l’idea di partito di Veltroni, quello del “ma anche”, che voleva essere il partito di tutti e non era il partito di nessuno. Si è visto come è andata. Un partito che vuole cambiare le cose non deve inseguire gli elettori. Deve prendere una posizione, e convincere gli elettori che è giusta. È più difficile, ma è l’unico metodo che funziona davvero.

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Viva la libertà

Il leader del principale partito italiano di centrosinistra, sfiduciato e contestato da più parti, decide di scomparire e si nasconde a Parigi a casa di una ex-fidanzata. Per evitare lo scandalo, il portaborse e la moglie lo sostituiscono con il fratello, un professore di filosofia sotto cure psichiatriche, che gli somiglia come una goccia d’acqua. Dovrebbe essere solo per qualche giorno, ma…

È impossibile non chiedersi cosa sarebbe successo se questo film fosse uscito con un anno di anticipo. La voce del pessimismo dice: probabilmente nulla. Però Viva la libertà fotografa con disarmante semplicità la crisi del PD che ha portato alla sua ennesima “non-vittoria”: il suo perdere contatto con i problemi e gli ideali dei propri elettori, confinandosi in schemi apparentemente realistici, ma in realtà autoreferenziali e perdenti.
L’idea della persona “normale” che sostituisce il potente e si rivela migliore di lui non è certo nuova (si veda per esempio I vestiti nuovi dell’imperatore), ma qui trova una declinazione migliore e a mio avviso più interessante. Il film, infatti, non cerca di sostenere che il buonsenso della persona comune o l’iconoclastia del folle possano ottenere risultati migliori dell’opera di un politico (tesi che sarebbe intrisa di falsa retorica, dello stesso tipo che ha portato al successo il M5S). Al contrario, il professore è una persona colta e preparata almeno quanto il politico che va a sostituire, e la sua follia si manifesta solo come totale mancanza di paura; quella paura che, viene detto esplicitamente, paralizza il politico e lo rende incapace di agire.
Il professore e il politico, quindi, non rappresentano due opposti. Al contrario, sono due varianti della stessa persona, le cui somiglianze vanno accentuandosi nel corso del film (i due, scopriamo, soffrono di disturbi simili, hanno amato e amano le stesse donne) fino al punto in cui non riusciamo più a distinguerli l’uno dall’altro. Ed è questo il messaggio più significativo del film: per riuscire non è richiesto un cambiamento radicale, basterebbe smettere di aver paura e di disprezzare le proprie radici.
Il film deve la sua riuscita innanzitutto a Toni Servillo, eccezionale nel suo recitare due personaggi identici mantenendoli chiaramente distinguibili con le sole espressioni facciali (e smettiamola di dire che è “il solito Toni Servillo”, che altri attori con la sua versatilità ce li sogniamo!). Ma anche Valerio Mastandrea funziona bene nella parte del portaborse che organizza il trucco per disperazione e finisce per rimanerne conquistato. Mi ha fatto poi un grande piacere ritrovare un novantatreenne ma ancora efficacissimo Gianrico Tedeschi, mentre purtroppo ho trovato la nota stonata nella monocorde Valeria Bruni Tedeschi.
Il regista Roberto Andò, autore anche del romanzo Il trono vuoto da cui è stato tratto il film, ha il merito di non pigiare inutilmente sul pedale del farsesco, e di mantenersi nei binari di una commedia garbata, con qualche puntata nel grottesco come il tango balllato di nascosto con la cancelliera tedesca. Anche i riferimenti alla politica “vera” sono sfumati e non giocano troppo sui facili riferimenti all’attualità (sebbene non sia difficile capire chi si nasconda dietro ai baffetti e agli occhialini dell’intrigante DeBellis).
Certo, qualche difetto il film ce l’ha. In particolare, molti personaggi sono poco approfonditi, e lasciano allo spettatore il compito di immaginare le ragioni che si nascondono dietro le loro azioni (facendosi sospettare che, se esplicitate, apparirebbero poco giustificate). Ma resta comunque una piacevole sorpresa: di film italiani così, con un’idea solida alla base, sceneggiatura e dialoghi solidi, e un buon cast internazionale, divertenti e accessibili ma senza essere vacui, vorrei vederne molti di più.

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Noi crediamo

Noi crediamo che l’obiettivo del centrosinistra non debba essere quello di vincere per occupare e spartirsi posti di potere.
Noi crediamo che l’obiettivo del centrosinistra debba essere vincere per cambiare davvero l’Italia: rendendola un Paese all’avanguardia nel mondo per i diritti civili e sociali, per legalità ed equità, per qualità di welfare e ambiente, per accesso a Internet.
Noi crediamo che il rocambolesco balletto inscenato nelle ultime settimane dai leader dei partiti del centrosinistra attorno alle alleanze sia offensivo nei confronti di milioni di cittadini e di elettori.
Noi crediamo che il centrosinistra possa e debba proporre agli italiani una prospettiva ideale e concreta che non rimanga paralizzata per tutta una legislatura dal mercanteggiamento triste con chi in anni recenti e meno recenti ha rappresentato una delle componenti che ci è più lontana culturalmente, politicamente ed eticamente, e che soprattutto è stata complice di Berlusconi nel portare l’Italia in questa crisi.
Noi crediamo che non sia una questione di ‘veti’ ideologici ma al contrario di pragmatica consapevolezza che una coalizione innaturale non porterà mai ad alcun reale risultato politico, né potrà mai dare all’Italia quella frustata di civiltà e di giustizia di cui ha fortemente bisogno.
Noi crediamo che sia necessario puntare non a una coalizione da sopportare, ma a un progetto da supportare. Non a una mediazione prima ancora di incominciare, ma a una grande sfida da raccogliere. Non crediamo a scelte che provengono da lontano, ma a quelle che lontano ci possono portare.
Questo testo è stato scritto da Giuseppe Civati, Sara De Santis, Piero Filotico, Alessandro Gilioli, Patrizia Grandicelli, Ernesto Ruffini e Guido Scorza, ma appartiene a tutti coloro che vorranno condividerlo.

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Il referendum-bufala

In questi giorni ho ricevuto da numerosi amici e conoscenti la richiesta di firmare un referendum cosiddetto “anticasta”, per abrogare l’indennità di rimborso spese dei parlamentari e togliere così un po’ di soldi a deputati e senatori.
Devo dire che già a prima vista questo referendum non mi ha convinto. È pacifico che i nostri parlamentari guadagnino troppo e rendano troppo poco. Tuttavia non credo che tagliargli lo stipendio sia una delle priorità del nostro Paese. L’entità delle cifre in gioco sembra grande, ma in realtà è quasi trascurabile sul piano del bilancio dello Stato (solo l’organizzazione del referendum si porterebbe via quasi tutto il risparmio di un anno). E credo che non apporterebbe alcun beneficio sul piano della moralizzazione del Parlamento, che è il vero obiettivo che andrebbe perseguito. Insomma, mi pare una di quelle cause dal consenso facile (chi può essere contrario, a parte i parlamentari stessi?) ma di dubbia utilità, che distolgono la gente dai problemi più urgenti ma meno semplici.
Ha contribuito alla mia diffidenza il fatto che a promuovere il referendum non siano comitati di cittadini, ma un partitino appena nato creato da alcuni politici di secondo piano transfughi dell’UDC. E ancora di più che costoro si dichiarino vittime di un boicottaggio mediatico, quando in realtà per promuovere il referendum hanno fatto davvero poco.
Per togliermi qualunque dubbio sui veri scopi di questo referendum, però, è bastato fare alcune considerazioni:

  • Le norme vigenti (cioè la legge n. 352 del 1970 che disciplina le consultazioni referendarie) impediscono di presentare proposte di referendum a partire da un anno prima della scadenza naturale di una legislatura e fino a sei mesi dopo le elezioni.
  • Le stesse norme impediscono di presentare proposte di referendum negli ultimi tre mesi dell’anno.
  • Dato che la legislatura corrente finirà nell’aprile 2013, salvo anticipi, ne consegue che non sarà possibile depositare le firme per un referendum fino al gennaio 2014.
  • Per allora le firme saranno carta straccia, dato che vanno raccolte nei tre mesi precedenti il deposito, e non si possono “congelare” in attesa della riapertura dei termini.

Posti di fronte a questo problema, i promotori del referendum hanno risposto che la legge 352/1970 sarebbe incostituzionale. Una pretesa ridicola, dato che è in vigore da 42 anni. Tra l’altro esiste già almeno un precedente: si pose lo stesso problema per le firme raccolte dai seguaci di Beppe Grillo nel 2008 (e infatti quei referendum non si sono mai tenuti, nonostante l’enorme quantità di firme raccolte; particolare che i tanti che allora parteciparono al “Vaffa-day” dovrebbero tenere a mente, prima di accodarsi alla prossima manifestazione indetta da Grillo).
Perché si raccolgono firme per referendum che non si potranno mai realizzare? Una prima ipotesi è la totale incompetenza dei promotori. Che potrebbe essere plausibile, però a mio avviso non quanto un’altra ipotesi, e cioè che questi referendum servano a farsi pubblicità e a raccogliere soldi senza rischi. Ci si presenta come eroi anticasta, ci si fa conoscere, si raccolgono nominativi, iscrizioni e contributi volontari, e se si raggiunge il quorum si ricevono anche dallo Stato 0,52 euro per ogni firma come rimborso spese. Poi il referendum non si tiene, ma è meglio così: ci si può atteggiare a vittime di un complotto politico-legale, e si evita che si possa scoprire che le conseguenze pratiche del referendum proposto non sono poi così buone come si voleva far credere.
Insomma, io la mia firma sotto questo referendum non la metterò, e consiglio a chiunque di evitare di farlo.
 

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Un piccolo ripasso di diritto costituzionale

Corre voce che in Italia, con l’avvento del governo Monti, sia stata sospesa la democrazia rappresentativa.

Che questa tesi possa essere sostenuta da berlusconiani e leghisti, non c’è da meravigliarsi. Costoro, infatti, sostengono da tempo che l’unico governo che rispetta la cosiddetta “volontà popolare” è quello che nasce subito dopo le elezioni. Se per caso questo governo dovesse cadere, si crea una situazione sanabile solo con nuove elezioni. Qualsiasi governo nasca dopo la caduta del primo, per loro è un golpe, un tradimento, una pugnalata alla democrazia (se invece un deputato cambia casacca, dietro offerta di denaro o di incarichi, per sostenere un governo che non sosteneva all’inizio, a quanto pare per loro non è un problema; ma non divaghiamo). Preoccupa però che ora questi discorsi si sentano fare anche nel campo antiberlusconiano. Per esempio, Antonio Padellaro usa esattamente gli stessi argomenti.
Lo dico senza mezzi termini: queste sono corbellerie, senza alcun fondamento né di diritto, né di fatto. La Costituzione italiana prevede che il Presidente della Repubblica nomini un presidente incaricato, e che questo chieda la fiducia al Parlamento, ed è quello che è successo col governo Monti né più né meno che con qualunque altro governo italiano dal 1948 ad oggi. Chi sostiene che il non andare a elezioni equivalga a una sospensione della democrazia, in pratica nega che la Repubblica italiana sia mai stata una democrazia, e nega che lo siano anche gran parte delle democrazie moderne, inclusa la più antica, quella britannica, dove Margareth Thatcher fu sostituita dal Parlamento nonostante avesse trionfalmente vinto le elezioni due anni prima.
Il governo Monti può piacere o meno, così come può dispiacere il fatto che i partiti siano stati costretti ad accettarlo dalla pressione dell’emergenza. Ma si è trattato comunque di una libera scelta del Parlamento, che può revocarla in qualsiasi momento. Non c’è stata alcuna violazione delle regole democratiche, ed è irresponsabile sostenere il contrario. Anzi, se siamo riusciti ad avere un governo con la fiducia del Parlamento in queste circostanze, vuol dire al contrario che la nostra democrazia ha funzionato benissimo.
La democrazia rappresentativa prevede che a prendere le decisioni siano per l’appunto i nostri rappresentanti, i parlamentari, ed implica che questi possano prendere decisioni che non era possibile prevedere quando sono stati eletti. Incluso un cambio di governo. Una democrazia in cui ci si deve continuamente appellare direttamente al popolo per avere legittimità non è rappresentativa. Ê plebiscitaria, ed è tutta un’altra cosa. Se Berlusconi è riuscito a indurre anche i suoi oppositori a confondere la democrazia col plebiscito, vuol proprio dire che ha avvelenato questo Paese nel profondo.
 

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La SIAE non è un ente inutile: è un ente dannoso

Bollino SIAEUna delle cose più frustranti del vivere in Italia è vedere come logiche perverse, riconosciute da tutti come sbagliate e dannose, continuano a sopravvivere e, anzi, ad espandersi a danno delle forze sane della società. Un esempio, forse di non enorme importanza ma lampante, è quello della SIAE, Società Italiana Autori ed Editori.
Entità anomala fin dalle origini, la SIAE nacque come società privata, ma venne poi trasformata in ente pubblico. In teoria dovrebbe difendere i diritti degli autori e degli editori, compito che all’estero viene svolto da varie società in concorrenza tra loro. In pratica la SIAE, avendo ottenuto il monopolio, può tranquillamente trascurare di svolgere la sua funzione istituzionale. Come ormai tutti sanno, quello che la SIAE fa è raccogliere tributi da ogni forma di rappresentazione audiovisiva, e poi distribuirne il ricavato in maniera assolutamente ineguale, favorendo  poche decine di soci a scapito di chiunque altro.
Non contenta di svolgere la sua funzione con rapacità (pretendendo soldi anche per manifestazoni di beneficienza, o persino quando un autore distribuisce la propria musica gratuitamente), la SIAE cerca sempre nuovi modi per gravare sugli svaghi dei cittadini. L’ultimo che si è inventato è davvero un capolavoro di assurdità.
In pratica, all’inizio di quest’anno la SIAE ha stretto un accordo con l’AGIS, l’associazione dei gestori cinematografici, per cui è necessario pagare per mostrare pubblicamente un trailer cinematografico.
Ora, già di per sé questo sembra del tutto privo di senso. Un trailer è la pubblicità di un film. Chi produce un trailer ha interesse che venga diffuso il più possibile. Non ha senso limitarne la diffusione facendoli pagare. Sarebbe come se le aziende che mi inviano i comunicati stampa relativi ai loro prodotti mi chiedessero poi dei soldi per pubblicare le foto allegate. Follia pura.
Il tutto però rientrava in un complicato bilanciamento di diritti e doveri tra sale cinematografiche e produttori. In pratica, credo, una sorta di compartecipazione delle sale alle spese pubblicitarie. Tuttavia la SIAE non ha perso occasione per tentare di spillare qualche soldo, e ha interpretato la norma (di per sé ambigua, come sempre accade in Italia) in maneira allargata, intimando a tutti i siti che si occupano di cinema di pagare per i trailer mostrati.
La cosa è talmente assurda e autolesionista da apparire inverosimile, anche in virtù delle cifre richieste: stando così le cose, solo i grandi quotidiani potranno permettersi di pubblicare trailer. Infatti molti dei siti specializzati stanno già togliendo i video dai loro siti: una gran mazzata all’informazione cinematografica in Italia e, in definitiva, al cinema stesso, che la SIAE dovrebbe tutelare.
Siccome siamo in Italia, lo sviluppo più probabile è che, di fronte alle proteste unanimi montanti in rete, la SIAE decida di fare marcia indietro e di limitare il pagamento solo ai trailer visionati nei cinema. In ogni caso, ha aggiunto un altro motivo alla lunghissima lista di chi desidera la sua abolizione.

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Comma ammazza-blog: un post a Rete unificata #noleggebavaglio

No alla legge-bavaglio!Rieccoci qui. Io vorrei parlarvi di fantascienza, libri e cinema (e ho un mucchio di post semipronti che vorrei finire e pubblicare uno al giorno), e invece ci tocca di occuparci sempre delle stesse cose. Ovverosia dall’ennesima legge contro i blog partorita dall’impresentabile banda che governa questo paese.
In pratica, se passerà senza modifiche la legge attualmente all’esame del Parlamento (o meglio una sua parte, visto che la legge nel suo insieme riguarda tutt’altro, e cioè la disciplina delle intercettazioni), diventerà praticamente impossibile pubblicare notizie su un blog, dato che qualunque persona citata avrà la facoltà di pretendere una rettifica immediata di quanto scritto, pena multe salatissime.
È bene ricordare che quanto si scrive sui blog è già sottoposto alle leggi, per esempio sulla diffamazione, che tutelano il buon nome delle persone. Questa nuova legge, che applica ai blog norme previste per la stampa registrata, in tutt’altro contesto di tutele e diritti, non serve a tutelare le persone, ma a impedire il legittimo esercizio della libertà di parola.
Aderisco quindi all’iniziativa di Valigia Blu, pubblicando integralmente un post informativo sulla nuova legge-bavaglio, ed esortandovi tutti a fare altrettanto:
 
L’idea è semplice: invitare i blogger, chi frequenta e “abita” la rete a condividere, postare (anche su facebook e su twitter), diffondere lo stesso post come segnale di protesta contro il comma 29, il cosiddetto ammazza-blog.
Il post che abbiamo scelto è di Bruno Saetta e spiega bene cosa non va in questa norma.

Qui
raccogliamo tutte le adesioni, inserite l’url del vostro post.
Cosa prevede il comma 29 del ddl di riforma delle intercettazioni, sinteticamente definito comma ammazzablog?
Il comma 29 estende l’istituto della rettifica, previsto dalla legge sulla stampa, a tutti i “siti informatici, ivi compresi i giornali quotidiani e periodici diffusi per via telematica”, e quindi potenzialmente a tutta la rete, fermo restando la necessità di chiarire meglio cosa si deve intendere per “sito” in sede di attuazione.
Cosa è la rettifica?
La rettifica è un istituto previsto per i giornali e le televisione, introdotto al fine di difendere i cittadini dallo strapotere di questi media e bilanciare le posizioni in gioco, in quanto nell’ipotesi di pubblicazione di immagini o di notizie in qualche modo ritenute dai cittadini lesive della loro dignità o contrarie a verità, questi potrebbero avere non poche difficoltà nell’ottenere la “correzione” di quelle notizie. La rettifica, quindi, obbliga i responsabili dei giornali a pubblicare gratuitamente le correzioni dei soggetti che si ritengono lesi.
Quali sono i termini per la pubblicazione della rettifica, e quali le conseguenze in caso di non pubblicazione?
La norma prevede che la rettifica vada pubblicata entro due giorni dalla richiesta (non dalla ricezione), e la richiesta può essere inviata con qualsiasi mezzo, anche una semplice mail. La pubblicazione deve avvenire con “le stesse caratteristiche grafiche, la stessa metodologia di accesso al sito e la stessa visibilità della notizia cui si riferiscono”, ma ad essa non possono essere aggiunti commenti. Nel caso di mancata pubblicazione nei termini scatta una sanzione fino a 12.500 euro. Il gestore del sito non può giustificare la mancata pubblicazione sostenendo di essere stato in vacanza o lontano dal blog per più di due giorni, non sono infatti previste esimenti per la mancata pubblicazione, al massimo si potrà impugnare la multa dinanzi ad un giudice dovendo però dimostrare la sussistenza di una situazione sopravvenuta non imputabile al gestore del sito.
Se io scrivo sul mio blog “Tizio è un ladro”, sono soggetto a rettifica anche se ho documentato il fatto, ad esempio con una sentenza di condanna per furto?
La rettifica prevista per i siti informatici è quella della legge sulla stampa, per la quale sono soggetti a rettifica tutte le informazioni, atti, pensieri ed affermazioni ritenute dai soggetti citati nella notizia “lesivi della loro dignità o contrari a verità”. Ciò vuol dire che il giudizio sulla assoggettabilità delle informazioni alla rettifica è esclusivamente demandato alla persona citata nella notizia, è quindi un criterio puramente soggettivo, ed è del tutto indifferente alla veridicità o meno della notizia pubblicata.
Posso chiedere la rettifica per notizie pubblicate da un sito che ritengo palesemente false?
E’ possibile chiedere la rettifica solo per le notizie riguardanti la propria persona, non per fatti riguardanti altri.
Chi è il soggetto obbligato a pubblicare la rettifica?
La rettifica nasce in relazione alla stampa o ai telegiornali, per i quali esiste sempre un direttore responsabile. Per i siti informatici non esiste una figura canonizzata di responsabile, per cui allo stato non è dato sapere chi sarà il soggetto obbligato alla rettifica. Si può ipotizzare che l’obbligo sia a carico del gestore del blog, o più probabilmente che debba stabilirsi caso per caso.
Sono soggetti a rettifica anche i commenti?
Un commento non è tecnicamente un sito informatico, inoltre il commento è opera di un terzo rispetto all’estensore della notizia, per cui sorgerebbe anche il problema della possibilità di comunicare col commentatore. A meno di non voler assoggettare il gestore del sito ad una responsabilità oggettiva relativamente a scritti altrui, probabilmente il commento (e contenuti similari) non dovrebbe essere soggetto a rettifica.

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Macelliamo il Porcellum

Mancano solo pochi giorni al termine della raccolta di firme per istituire un referendum che abolisca l’orrenda legge elettorale attualmente in vigore per le elezioni poltiche, detta Porcellum da quando il suo stesso ideatore, il leghista Calderoli, la definì elegantemente “una porcata”.
L’effetto del referendum in questione (se raccogliesse sufficienti firme, raggiungesse il quorum e fosse votato dalla maggioranza degli elettori) sarebbe di ripristinare la legge elettorale precedente (detta Mattarellum dal nome del suo ideatore, il democristiano Sergio Mattarella), cioè un sistema a turno unico per tre quarti maggioritario e per un quatro proporzionale.
Il Mattarellum a mio avviso non è la migliore legge elettorale possibile (personalmente sono un fautore dei sistemi che non si limitano a far scegliere all’elettore una sola forza politica, ma gli permettono di stabilire una gerarchia di valore tra le forze in campo, come l’australian ballot, il voto singolo trasferibile e, in misura minore, il maggioritario a doppio turno; spero di avere il tempo di discuterne in un post futuro). Tuttavia è una legge che è stata in vigore in passato e si è dimostrata funzionante. Il ripristinarla restituirebbe agli elettori la possibilità di influire sulla scelta dei propri rappresentanti in Parlamento. Il principlae difetto del Porcellum, infatti, è quello delle liste bloccate: non si vota per i candidati singoli e non si esprime un voto di preferenza, ma si vota “in blocco” per una lista di candidati creata dai segretari di partito, senza la possibilità di negare il voto a candidati sgraditi o di favorire l’elezione di quelli preferiti. Le nefaste conseguenze di questa legge, in termini di qualità e indipendenza di giudizio degli eletti, si sono viste abbondantemente.
Il ritorno del Mattarellum sarebbe un importante strumento per accelerare il rinnovamento della classe politica che tutti auspicano, dato che per i partiti (tutti!) sarebbe molto più difficile presentare candidati vecchi e screditati. Dal punto di vista politico, inoltre, il referendum contribuirebbe anche ad accelerare la caduta dell’attuale governo. Berlusconi ha bisogno del Porcellum per mantenere il controllo sulla sua maggioranza ormai a un passo dall’implodere. La minaccia del referendum potrebbe indurlo a elezioni anticipate pur di poter votare con la vecchia legge. Risultato che considero auspicabile.
La raccolta di firme prosegue fino al 30 settembre, negli uffici anagrafe dei comuni e negli appositi banchi del comitato promotore. Qui trovate la lista dei luoghi dove si può firmare, ma attenzione! In alcuni luoghi la raccolta si chiude in anticipo (per esempio, a Milano in piazza San Babila il gazebo è attivo solo fino a domani, lunedì 26). Quindi, se non lo avete ancora fatto, sbrigatevi a firmare!

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Anniversari

  • L’11 settembre 2001, terroristi affiliati ad Al Qaeda e provenienti in gran parte dall’Arabia Saudita dirottarono quattro aerei di linea con l’obiettivo di farli precipitare su edifici statunitensi. Ci riuscirono in tre casi su quattro, distruggendo le due torri gemelle del World Trade Center a New York e parte del Pentagono a Washington. Morirono complessivamente quasi 3.000 persone.
    In seguito a tale attacco, gli Stati Uniti dichiararono una “Guerra al Terrore” e attaccarono l’Afghanistan (colpevole di avere ospitato i terroristi di Al Qaeda) e l’Iraq (accusato di complicità col terrorismo con prove che in seguito si rivelarono false). Nelle due guerre è rimasto ucciso complessivamente un numero di civili stimabile tra i 100.000 e i 900.000. Le operazioni militari non si sono ancora concluse.
    L’uomo ritenuto l’ideatore degli attacchi dell’11 settembre, Osama Bin Laden, è stato ucciso lo scorso 2 maggio da truppe americane in Pakistan.
  • L’11 settembre 1982 le forze internazionali che proteggevano i campi profughi palestinesi in Libano dalla sanguinosa guerra civile che imperversava nel Paese si ritirarono, lasciando il controllo dei campi all’esercito israreliano che occupava il Libano meridionale. Tre giorni dopo, il neoletto presidente del Libano Bachir Geamyel fu ucciso in un attentato di matrice siriana. Due giorni dopo, Israele permise a miliziani cristiano-falangiste di entrare nei campi alla ricerca di terroristi. I falangisti, comandati da Elie Hobeika, non si limitarono a questo, ma effettuaraono una rappresaglia per l’assassinio di Gemayel, uccidendo tra gli 800 e i 3.000 civili, inclusi donne e bambini.
    Hobeika fu ucciso in un attentato vent’anni dopo. L’indagine di una commissione indipendente ritenne il generale isreaeliano Ariel Sharon indirettamente responsabile del massacro per aver consentito e facilitato l’ingresso dei miliziani, il che non gli impedì di diventare successivamente premier di Israele.
  • L’11 settembre 1973 il generale Augusto Pinochet, con la complicità degli Stati Uniti, rovesciò con un colpo di Stato il governo democraticamente eletto del Cile. Il presidente cileno Salvador Allende morì quello stesso giorno, secondo alcuni suicida, secondo altri assassinato dai golpisti.
    Nei 17 anni di dittatura di Pinochet circa 3.000 persone furono uccise per motivi politici, e circa 30.000 furono arrestate e spesso torturate.
    Due anni dopo, il Cile di Pinochet, insieme ai governi di Argentina, Brasile, Uruguay, Paraguay e Bolivia, e con l’assistenza degli Stati Uniti, si pose alla testa dell’Operazione Condor, un piano per eliminare ogni forma di opposizione di sinistra dal Sud America. Si stima che a causa di azioni dell’Operazione Condor almeno 60.000 persone siano state uccise in vari Paesi sudamericani (in particolare Argentina e Uruguay).
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