In memoria: Gerry Anderson

Non posso riprendere in mano questo blog senza commemorare la scomparsa di Gerry Anderson, avvenuta un paio di settimane fa. Anderson è stato un produttore televisivo che ha avuto una parte importantissima nello scolpire il mio immaginario.

Gerry Anderson con i suoi modellini

Insieme alla moglie Sylvia, Anderson ha prodotto per la televisione britannica un gran numero di serie fantascientifiche per ragazzi. Erano realizzate con un sistema che aveva battezzato Supermarionation, che utilizzava, al posto degli attori, marionette comandate elettricamente, con un particolare circuito elettrico che sincronizzava automaticamente il movimento delle labbra col parlato degli attori. Le marionette non erano particolarmente realistiche, specialmente a causa del loro innaturale testone, necessario per ospitare i meccanismi. Le parti che mi piacevano di più erano quelle in cui si vedevano all’opera i veicoli, le cui animazioni erano invece molto credibili. Si vedeva benissimo che erano stati pensati non solo per fare scena, ma per essere tecnicamente realistici.
La mia preferita di queste serie era Stingray, che raccontava le avventure di un sottomarino impegnato nella lotta contro una razza di esseri subacquei. Il bello della serie era il realismo delle storie, che non solo descrivevano correttamente i pericoli delle immersioni, come l’embolia, ma avevano un protagonista conteso tra due donne, una cosa abbastanza insolita in un telefilm per ragazzi!
Il sottomarino Stingray

Mi piaceva molto anche Joe 90, il cui protagonista era un ragazzino che, grazie a un macchinario inventato dal padre, assimilava conoscenze di ogni tipo e diventava un agente segreto: praticamente la summa delle mie fantasie di bambino. Per qualche ragione, invece, non mi è mai capitato di vedere Thunderbirds, la serie animata più popolare di Anderson.

Il mio primo incontro con l’immaginario di Anderson, però, avvenne con la prima serie con attori da lui realizzata: UFO. Fu trasmessa in Italia per la prima volta nel periodo 1971-74, quando avevo appena cominciato ad andare a scuola, e avevo nei suoi confronti un atteggiamento ambivalente: da un lato ero assolutamente affascinato dai suoi veicoli, dall’altro le atmosfere cupe e violente della serie mi spaventavano, e gli alieni (umanoidi che indossavano tute spaziali piene di liquido verde, e i cui occhi apparivano senza iride a causa delle lenti a contatto protettive che erano costretti a indossare) mi terrorizzavano!

Solo col tempo sono riuscito a superare la paura, e a guardare gli episodi senza fuggire via dal televisore. Da ragazzino mi appassionavano più che altro i veicoli, come i cingolati SHADOmobile, l’aereo da caccia Sky One lanciato da un sottomarino, e soprattutto gli intercettori, che partivano dalla Luna per abbattere le astronavi aliene prima che arrivassero sulla Terra. Mio cugino possedeva i fantastici modellini Dinky Toys in metallo pressofuso dei veicoli della serie, che lanciavano davvero i missili, e ho passato un enorme quantità di tempo a giocarci, anche se il divertimento maggiore era indossare un casco spaziale di plastica, urlare “Intercettori 1 e 2, lancio immediato!”, e buttarsi in velocità sotto il letto matrimoniale di mia nonna, fingendo che fosse il tunnel-scivolo che i piloti usavano al momento del lancio.

Un intercettore della serie "UFO"

Di recente ho riguardato la serie in DVD, e devo dire che dopo quarant’anni regge ancora piuttosto bene, con personaggi spigolosi e trame per nulla scontate (il mio episodio preferito è Questione di priorità, in cui il capitano Foster si perde sulla Luna insieme all’alieno che ha appena abbattuto, e tra i due si crea un’alleanza per sopravvivere, con un finale tragico). La colonna sonora di Barry Gray (che ha accompagnato Anderson per tutta la sua carriera) è ottima, e non dimentichiamo le splendide ragazze che costituivano il personale di Base Luna, vestite di tutine attillate e di parrucche viola (cosa che ho scoperto solo in seguito, visto che all’epoca la TV italiana era in bianco e nero!). Credo che la loro comandante, il tenente Ellis, abbia contribuito non poco a scolpire il mio nascente immaginario erotico (scopro solo ora che l’attrice che la interpretava è la sorella maggiore di Nick Drake).
Quella sventola del tenente Ellis di Base Luna

La serie cui sono più affezionato in assoluto, però, è Space: 1999, progettata inizialmente come seguito di UFO e poi invece realizzata come serie autonoma. Anche questa serie (che narrava della vita su una base lunare dopo che un incidente ha spinto la Luna fuori dalla sua orbita) aveva atmosfere molto cupe, ma alla guerra contro gli alieni si sostituiva il mistero dello spazio e della sua immensità e incomprensibilità, una cosa che oggi si è quasi completamente perduta, ma che era alla base del fascino che aveva per me allora la fantascienza.
Vista oggi, devo dire, la serie ha i suoi problemi, sia di scarso realismo scientifico, sia di eccesso di verbosità (anche se ricordo che alcuni episodi avevano comunque terrorizzato noi ragazzini delle medie di allora). Ma, come in ogni serie di Anderson, i veicoli sono di un realismo assoluto. Credo che l’Aquila di Space: 1999 sia uno dei veicoli spaziali più belli di sempre, con i suoi motori posizionati al posto giusto e soprattutto con la sua costruzione modulare, una specie di impalcatura mobile al cui centro può esserci un modulo abitativo, una gru o qualunque altra cosa servisse alla trama. Sembrava veramente qualcosa che poteva essere realizzato di lì a poco. E, anche se il 1999 è passato da tempo, è rimasta in me la speranza di poter vedere prima o poi astronavi fatte così.
La migliore creatura di Anderson: l'"Aquila" di "Spazio 1999"

Esistono progetti per una versione modernizzata di Space:1999, che dovrebbe chiamarsi Space: 2099. Speriamo vadano in porto: sarebbe un bel tributo all’immaginario di Anderson. Che rimarrà sempre uno degli autori che più mi hanno fatto sognare.
 

I miei articoli

I frequentatori di questo blog sanno ormai che si alternano periodi in cui lo aggiorno meno di quanto dovrei e periodi in cui non lo aggiorno affatto. Purtroppo il blog è sempre in competizione con altre attività, in particolare quelle che mi permettono di sopravvivere, e ci sono periodi in cui le energie per aggiornarlo proprio non ci sono.
In ogni caso eccomi di nuovo a voi, dopo uno iato di quasi quattro mesi. Non starò a farvi l’ennesimo elenco di buoni propositi che non manterrò: accontentatevi di sapere che nei prossimi giorni dovreste vedere il blog aggiornato con una certa frequenza, più in là non mi spingo.
Per l’occasione, annuncio di avere finalmente cominciato a realizzare una novità cui pensavo da parecchio tempo: una pagina che raccoglie parte degli articoli che ho scritto  per le varie testate per cui lavoro o ho lavorato.
Per il momento la pagina raccoglie solo gli articoli scritti per Nòva 24, ma nelle intenzioni dovrebbe espandersi rapidamente. La potete raggiungere tramite il menu sotto la testata, oppure da qui.

The spirit of radio

Stanotte ritorno in diretta su Radio Popolare per un po’ di chiacchiere, musica e fantascienza. Come sempre la trasmissione è a un orario infame: dalle 0.45 all’1.00 e (dopo la replica di La Caccia) dall’1.20 fino a molto tardi.
Come sempre parlerò soprattutto di fantascienza e fantastico. Mi piacerebbe parlare dell’ultimo Batman, delle recenti uscite librarie di Clelia Farris e di Paul DiFilippo, e di altre cose. Credo però anche che sarà inevitabile parlare del nuovo iPhone, dato che la trasmissione avverrà sulla scia della sua presentazione.

Non metterò online la registrazione, perciò, se volete essere sicuri di sentirla, non vi rimane che stare svegli e fare clic all’ora giusta sul link qui sotto:
Diretta Radio Popolare

Ogni tanto mangio un fiore

Quando ero un ragazzino, alcune bambine del mio condominio avevano l’abitudine di cogliere fiori e mangiarseli come se fossero grandi leccornie. Nonostante l’illustre esempio di Fabio Concato, non mi è mai venuta voglia di imitarle. C’è voluta la Malga Gostner a farmi cambiare idea.
La malga si trova all’Alpe di Siusi, che è l’altopiano più grande d’Europa, un luogo paradisiaco ai piedi dello Sciliar, la più caratteristica montagna delle Dolomiti. Raggiungere l’Alpe e poi la malga è semplicissimo. Da Bolzano ci vuole una mezz’oretta di macchina fino a Castelrotto, poi la si lascia nel parcheggio e si prende l’ovovia (perché sull’Alpe la circolazione è giustamente limitata: lassù c’è un silenzio impressionante). Dopodiché basta camminare per un’altra ventina di minuti, tutti in piano a parte una breve salita finale, e si è arrivati.

Malga Gostner
La malga Gostner vista dall'alto.

La malga è all’apparenza uno dei classici posti di ristoro che si trovano in montagna in Alto Adige: gran tavoloni all’aperto (difesi dal sole, non troppo bene, da ombrelloni) dove ci si può rifocillare prima, dopo o durante una camminata. Di solito in luoghi del genere si trovano piatti tipici: lo speck da tagliare direttamente sulla tavoletta di legno, i canederli (gnocchi di pane), gli Schlutzkrapfen (ravioli locali), polenta e funghi, il Kaiserschmarrn (frittatine dolci accompagnate da composta di frutta) e così via. Piatti simili si possono trovare anche alla malga Gostner… ma tutto è impreziosito dall’uso sapiente di fiori ed erbe di montagna, e da una grande cura nella presentazione dei piatti, che trasformano il tutto in un’esperienza davvero unica nel suo genere.
Per capire con cosa si ha a che fare, è meglio cominciare proprio dall’antipasto, cioè l’insalata con il meglio del prato e del giardino. Guardare per credere:
Insalata di fiori ed erbe alpine
Insalata di fiori ed erbe alpine

Un piatto del genere è innanzitutto una meraviglia per gli occhi, ma mangiarlo è ancora meglio (e lo dice uno che non ha mai avuto una grande passione per le insalate). Condita con un condimento semplice che non copre il sapore delle singole erbe (credo olio e aceto di mele), ha un sapore diverso a ogni boccone, con ogni fiore ed erba a dare il suo particolare e aromatico contributo. E’ un’esperienza! Costa più di un’insalata comune, ma non c’è paragone. Non lasciate la malga senza averla provata!
Alla malga troverete molti altri piatti, in cui erbe e fiori fanno sempre da decorazione, e il più delle volte danno anche un intenso contributo al gusto del piatto. Per esempio, durante la mia ultima visita sono incappato nelle lasagne con porcini ed erbe di montagna: deliziose già di per loro, ma le erbe davano il tocco definitivo.
Lasagne ai funghi porcini ed erbe di montagna
Lasagne ai funghi porcini ed erbe di montagna

Un altro piatto obbligatorio da prendere alla malga Gostner è il Kaiserschmarrn, qui servito con composta di albicocche, miele e fiori. Mi spiace di non averlo potuto fotografare per voi, dato che è forse il piatto più bello da vedere. Questa volta però mi sono davvero lasciato andare alla golosità, e al momento del dessert non ce l’avrei mai fatta ad affrontarlo (in generale il Kaiserschmarrn ha abbastanza calorie per farvi raggiungere la cima dell’Everest). Ho quindi ripiegato su uno yogurt di produzione propria dolcificato con miele di rosa alpina e accompagnato da un sorbetto di lamponi. Una vera sorpresa, per l’estetica ma soprattutto per il perfetto equilibrio dei sapori.
Yogurt con miele di rosa alpina e sorbetto di lamponi
Yogurt con miele di rosa alpina e sorbetto di lamponi

Che altro dire? I prezzi della malga sono a mio avviso onesti, solo lievemente più cari di quelli di altre malghe che propongono la solita cucina sudtirolese (il che non significa che siano bassi: mangiare ad alta quota costa!). Hanno anche una cantina fornita (e costosa!), che però non ho mai avvicinato. Il posto, perlomeno in agosto, è sempre piuttosto affollato, quindi non conviene arrivare tardi. La sera si mangia solo su prenotazione. Pare che di inverno propongano piatti molto diversi, tra cui una mitologica “zuppa di fieno nella pagnotta” che prossimamente voglio provare ad ogni costo. Il servizio è accettabilmente celere, tenuto conto che siamo pur sempre in una rustica baita di montagna. Io lo consiglio senza alcuna remora.

Memento – I sopravvissuti

More about Memento

Le Detonazioni hanno trasformato la Terra in un luogo desolato: la civiltà è distrutta, e tutti gli umani sono stati trasformati in esseri deformi, fusi con oggetti, tra di loro e con la terra stessa. Si sono salvati solo i Puri, cioè coloro che abitano un enorme rifugio chiamato la Sfera, e attendono che il pianeta ritorni abitabile. Pressia, una ragazza la cui mano destra è fusa con una testa di bambola, è in fuga per evitare, al compimento dei 16 anni, di essere arruolata a forza nella milizia. Nel frattempo il suo coetaneo Partridge, figlio del leader della Sfera, fugge dal rifugio alla ricerca della madre, dopo aver scoperto che potrebbe essere sopravvissuta e nascosta da qualche parte all’esterno…

La fantascienza sarà pure moribonda, ma deve conservare almeno un po’ del suo appeal se Julianna Baggott, affermata autrice di romanzi sentimentali e per ragazzi, ha deciso di scrivere una distopia postcatastrofica nel segno della fantascienza più classica. Ammetto di essermici accostato con molto sospetto, timoroso di trovarmi di fronte all’ennesimo polpettone sentimentale a sfondo fantastico per adolescenti. Fortunatamente non è stato così: Memento – I sopravvissuti è un libro serio, non sdolcinato (anzi, a dirla tutta alquanto depressivo) e con qualche ambizione. Non è però un libro particolarmente riuscito, per i motivi che dirò.
La cosa migliore del romanzo è l’ambientazione: l’autrice mostra fantasia e abilità nel creare una galleria di personaggi deformi (il mio preferito è El Capitan, che si porta addosso il fratello minore come un doppio inseparabile, una specie di riedizione del Joe-Jim Gregory di Heinlein), destreggiandosi tra uno scoperto simbolismo e il puro gusto del bizzarro.
Il problema è che l’autrice riesce a sfruttare tali atmosfere solo in piccola parte. La trama è molto complicata ma priva di vere sorprese e, pur descrivendo un mondo degradato e violento, sembra sempre fermarsi un passo prima dal risultare autenticamente scioccante. La cosa meno riuscita sono i dialoghi, legnosi e talvolta ingenui. Ma soprattutto, il messaggio di fondo appare troppo scontato, e non va al di là di un generico antiautoritarismo con qualche venatura femminista.
Alla fine il risultato è un né-carne-né-pesce che rischia di non soddisfare nessuno: troppo deprimente per chi cerca il puro intrattenimento, troppo blando e schematico per gli autentici appassionati del genere. Per giunta, il finale è piuttosto interlocutorio: l’autrice intende scrivere altri due volumi prima di concedere agli eroi di compiere il loro destino. Grazie, ma credo che mi fermerò qui.

Noi crediamo

Noi crediamo che l’obiettivo del centrosinistra non debba essere quello di vincere per occupare e spartirsi posti di potere.
Noi crediamo che l’obiettivo del centrosinistra debba essere vincere per cambiare davvero l’Italia: rendendola un Paese all’avanguardia nel mondo per i diritti civili e sociali, per legalità ed equità, per qualità di welfare e ambiente, per accesso a Internet.
Noi crediamo che il rocambolesco balletto inscenato nelle ultime settimane dai leader dei partiti del centrosinistra attorno alle alleanze sia offensivo nei confronti di milioni di cittadini e di elettori.
Noi crediamo che il centrosinistra possa e debba proporre agli italiani una prospettiva ideale e concreta che non rimanga paralizzata per tutta una legislatura dal mercanteggiamento triste con chi in anni recenti e meno recenti ha rappresentato una delle componenti che ci è più lontana culturalmente, politicamente ed eticamente, e che soprattutto è stata complice di Berlusconi nel portare l’Italia in questa crisi.
Noi crediamo che non sia una questione di ‘veti’ ideologici ma al contrario di pragmatica consapevolezza che una coalizione innaturale non porterà mai ad alcun reale risultato politico, né potrà mai dare all’Italia quella frustata di civiltà e di giustizia di cui ha fortemente bisogno.
Noi crediamo che sia necessario puntare non a una coalizione da sopportare, ma a un progetto da supportare. Non a una mediazione prima ancora di incominciare, ma a una grande sfida da raccogliere. Non crediamo a scelte che provengono da lontano, ma a quelle che lontano ci possono portare.
Questo testo è stato scritto da Giuseppe Civati, Sara De Santis, Piero Filotico, Alessandro Gilioli, Patrizia Grandicelli, Ernesto Ruffini e Guido Scorza, ma appartiene a tutti coloro che vorranno condividerlo.

Il referendum-bufala

In questi giorni ho ricevuto da numerosi amici e conoscenti la richiesta di firmare un referendum cosiddetto “anticasta”, per abrogare l’indennità di rimborso spese dei parlamentari e togliere così un po’ di soldi a deputati e senatori.
Devo dire che già a prima vista questo referendum non mi ha convinto. È pacifico che i nostri parlamentari guadagnino troppo e rendano troppo poco. Tuttavia non credo che tagliargli lo stipendio sia una delle priorità del nostro Paese. L’entità delle cifre in gioco sembra grande, ma in realtà è quasi trascurabile sul piano del bilancio dello Stato (solo l’organizzazione del referendum si porterebbe via quasi tutto il risparmio di un anno). E credo che non apporterebbe alcun beneficio sul piano della moralizzazione del Parlamento, che è il vero obiettivo che andrebbe perseguito. Insomma, mi pare una di quelle cause dal consenso facile (chi può essere contrario, a parte i parlamentari stessi?) ma di dubbia utilità, che distolgono la gente dai problemi più urgenti ma meno semplici.
Ha contribuito alla mia diffidenza il fatto che a promuovere il referendum non siano comitati di cittadini, ma un partitino appena nato creato da alcuni politici di secondo piano transfughi dell’UDC. E ancora di più che costoro si dichiarino vittime di un boicottaggio mediatico, quando in realtà per promuovere il referendum hanno fatto davvero poco.
Per togliermi qualunque dubbio sui veri scopi di questo referendum, però, è bastato fare alcune considerazioni:

  • Le norme vigenti (cioè la legge n. 352 del 1970 che disciplina le consultazioni referendarie) impediscono di presentare proposte di referendum a partire da un anno prima della scadenza naturale di una legislatura e fino a sei mesi dopo le elezioni.
  • Le stesse norme impediscono di presentare proposte di referendum negli ultimi tre mesi dell’anno.
  • Dato che la legislatura corrente finirà nell’aprile 2013, salvo anticipi, ne consegue che non sarà possibile depositare le firme per un referendum fino al gennaio 2014.
  • Per allora le firme saranno carta straccia, dato che vanno raccolte nei tre mesi precedenti il deposito, e non si possono “congelare” in attesa della riapertura dei termini.

Posti di fronte a questo problema, i promotori del referendum hanno risposto che la legge 352/1970 sarebbe incostituzionale. Una pretesa ridicola, dato che è in vigore da 42 anni. Tra l’altro esiste già almeno un precedente: si pose lo stesso problema per le firme raccolte dai seguaci di Beppe Grillo nel 2008 (e infatti quei referendum non si sono mai tenuti, nonostante l’enorme quantità di firme raccolte; particolare che i tanti che allora parteciparono al “Vaffa-day” dovrebbero tenere a mente, prima di accodarsi alla prossima manifestazione indetta da Grillo).
Perché si raccolgono firme per referendum che non si potranno mai realizzare? Una prima ipotesi è la totale incompetenza dei promotori. Che potrebbe essere plausibile, però a mio avviso non quanto un’altra ipotesi, e cioè che questi referendum servano a farsi pubblicità e a raccogliere soldi senza rischi. Ci si presenta come eroi anticasta, ci si fa conoscere, si raccolgono nominativi, iscrizioni e contributi volontari, e se si raggiunge il quorum si ricevono anche dallo Stato 0,52 euro per ogni firma come rimborso spese. Poi il referendum non si tiene, ma è meglio così: ci si può atteggiare a vittime di un complotto politico-legale, e si evita che si possa scoprire che le conseguenze pratiche del referendum proposto non sono poi così buone come si voleva far credere.
Insomma, io la mia firma sotto questo referendum non la metterò, e consiglio a chiunque di evitare di farlo.
 

La guerra dei cloni


Computer Idea è una rivista per cui ho lavorato per cinque anni, dal 2000 al 2004. Anche se poi la mia carriera è proseguita altrove, le sono tuttora molto affezionato: è stata la prima testata sulla quale ho firmato articoli con regolarità, e si può dire che facendo parte della redazione ho imparato gran parte di ciò che so del mestiere di giornalista. Fu anche una piccola rivoluzione nell’editoria italiana: la prima rivista di informatica e tecnologia autenticamente popolare, che raggiunse un picco di 200.000 copie vendute. Partecipare dall’interno, in un gruppo giovane ed entusiasta (anche se i conflitti non sono mancati), fu un’esperienza davvero indimenticabile.
Purtroppo, non molto dopo la mia uscita, il gruppo internazionale VNU, che la editava, decise di sbarazzarsi dell’intero comparto editoria. Computer Idea cominciò così un declino nelle mani di vari editori improvvisati, che promettevano improbabili rilanci ma in realtà hanno lentamente strangolato la rivista, obbligando la redazione a continui spostamenti, non pagando i collaboratori, diminuendo le risorse, fino alla cessazione delle pubblicazioni avvenuta quest’anno.
Computer Idea aveva ancora molti lettori affezionatissimi che non perdevano un numero da anni. E che saranno molto felici di vedere la loro rivista preferita di nuovo in edicola. Peccato che non sia vero. Guardate attentamente le due riviste nella foto. Quella di sinistra è la vera Computer Idea. Quella di destra è Il Mio Computer Ideale, una rivista edita da Sprea, la cui grafica e organizzazione interna ricalcano nei minimi dettagli quella di Computer Idea, e la cui testata è stata resa quasi identica a quella di Computer Idea con astuzie grafiche. La somiglianza è tale che credo che, acquistando la rivista in edicola, ci sarei potuto cascare anch’io.
Non è certo una novità che in Italia vengano create riviste con titolo e impostazione simili a quelli di una pubblicazione di successo, per accalappiare i lettori che non badano troppo ai dettagli. Per esempio, Idea Web di Edizioni Master fu un tentativo piuttosto azzeccato di sfruttare il “traino” di Computer Idea. Tuttavia, se è legittimo ispirarsi a un prodotto riuscito per proporne una versione simile, in questo caso si va ben oltre i limiti del plagio. Una simile operazione di clonazione editoriale non si era mai vista.
Trovo la cosa estremamente discutibile, sia perché si configura come un deliberato inganno nei confronti dei lettori, sia perché la cosa va a tutto svantaggio dei lavoratori di Computer Idea, che sono a casa senza stipendio in attesa della cassa integrazione, con la rivista in mano al curatore fallimentare, e che si vedono così derubati dell’unica cosa loro rimasta, cioè quel patrimonio di lettori che potrebbero gradire un rilancio della testata in edicola.
La qualità morale dell’operazione si commenta da sé. In ogni caso, sappiate che quella che trovate in edicola non è Computer Idea.

 

Smart as a brick

In questi giorni ho avuto la possibilità di mettere le mani su una delle cosiddette “smart TV” tanto pubblicizzate. Non dirò di che marca si tratta, in quanto la PR dell’azienda ha accettato di inviarmela solo specificando che non si sarebbe trattato di una prova tecnica, ma di una seduta fotografica. Devo dire che ora capisco meglio il perché di questa distinzione: probabilmente l’azienda ha in serbo modelli migliori rispetto a quello che mi è arrivato. Comunque sia, credo che la mia esperienza sia da raccontare.
L’inizio è stato piuttosto buono: sono subito riuscito a stabilire la connessione a Internet via Wi-Fi. I problemi sono iniziati dopo. Alla prima funzione che provo a utilizzare, il televisore mi dice “Devo aggiornarmi”, e passa un quarto d’ora a scaricare roba da Internet. Quando ha finito, faccio un altro passo avanti, e via, altro quarto d’ora di aggiornamento. In pratica per riuscire a impostare decentemente il tutto occorre un intero pomeriggio a disposizione.
Quando poi finalmente si è aggiornato, mi rendo conto che non riesco a fare niente: devo prima impostare il mio account. Perché non me lo hanno fatto impostare all’inizio? E soprattutto: dove devo andare per impostarlo? Ci riesco solo dopo aver navigato parecchio tra vari livelli di menu (ci sono vari ordini di menu separati, richiamabili da tasti diversi con simboli criptici sul telecomando: un classico delle interfacce manovrabili solo da un ingegnere flippato).
Quando riesco a impostare l’account, mi rendo conto che inserire lunghi indirizzi e-mail e password usando una tastiera virtuale lentissima e un touchpad, sensibile come un pachiderma ibernato, posto sul telecomando è impresa lunghissima e disperante. Ci riesco sfruttando il joystick nascosto sul retro del televisore. Anche così, comunque, si impiega un’eternità.
Fatto l’account, torno dov’ero prima e cerco di accedere a Facebook. Mi dice che non posso, devo prima andare al menu Impostazioni e collegare il mio account Facebook all’account del televisore. Prego? Dov’è che devo andare? Cerco di capirlo utilizzando le schermate di help, che sono scritte in un italiano in cui tutte le parole sono abbreviate. Non scherzo; c’è scritto, per esempio:

È poss. cond. i cont. selez. con la propria fam. utiliz. X.

Alla fine trovo il menu giusto, e mi accingo al ripetere l’ordalia di scrivere username e password per l’account Facebook. Ma le difficoltà aumentano, perché evidentemente tutte queste operazioni hanno chiesto troppo al minuscolo processore del televisore, che ha deciso di prendersi un po’ di riposo. Quindi ogni tanto tutto smette di funzionare, il cursore si muove regolarmente in giro per lo schermo, ma cliccando non succede nulla, e uno si chiede se sta sbagliando qualcosa, se deve resettare tutto, o se aspettando prima o poi riuscirà a riprendere quello che stava facendo (è dai tempi in cui usavo un Amiga 500 che non provavo esperienze del genere).
Alla fine riesco a scrivere i fatidici dati, ma non riesco ad arrivare in fondo all’operazione. Mi rendo conto,  infatti, che nella password del mio account Facebook c’è un segno grafico che non è presente sulla tastiera virtuale del televisore, e quindi non lo posso scrivere. Ci sarà un modo per ottenere simboli diversi? Se c’è, per ora non l’ho trovato.
In soldoni, un paio d’ore di smanettamento (non contando il tempo necessario per il montaggio) non mi sono bastate per arrivare a consultare il mio account Facebook sul televisore.
La mia impressione è che queste smart TV siano l’equivalente dei videoregistratori del secolo scorso: roba piena di funzioni mirabolanti che nessuno usa, perché nessuno ha voglia di mettersi a litigare con una macchina nel suo linguaggio astruso e frustrante per convincerla a fare quello che dovrebbe. Sappiatelo.

On your radio

Stanotte ritorno in diretta su Radio Popolare per un po’ di chiacchiere, musica e fantascienza. Come sempre la trasmissione è a un orario infame: dalle 0.45 all’1.00 e (dopo la replica di La Caccia) dall’1.20 fino a molto tardi.
Sono quattro mesi che non vado in onda, quindi gli argomenti di cui parlare non mancheranno. In questo ultimi mesi in campo fantascientifico e fantastico si è visto un bel po’ di materiale: romanzi nuovi (Cory Doctorow, Richard Morgan, Dan Simmons), ristampe (George R. R:  Martin, Mack Reynolds, Gene Wolfe, Frank Herbert), serie televisive (Game of Thrones), film (Hunger Games)… impossibile parlare di tutto, ma ci proverò.

Non metterò online la registrazione, perciò, se volete essere sicuri di sentirla, non vi rimane che stare svegli e fare clic all’ora giusta sul link qui sotto:
Diretta Radio Popolare