Dichiarazione di intenti

BanditoreDunque, direi che questo blog si può considerare lanciato. E aperto da un paio di mesi, sono riuscito a scrivere in media poco meno di un post ogni due giorni, che non mi pare male. I commenti fioccano, e abbiamo superato da tempo i mille accessi (che non è sicuramente una gran cifra, ma per lo meno mi rassicura sul fatto che non sono qui a parlare da solo). Mi pare quindi il caso di fissare alcuni principi generali sulla funzione di questo blog e la sua gestione, tanto per dare un’"identità" a quello che per il momento è solo un coacervo di post di argomento disparato, con una leggere prevalenza per le recensioni cinematografiche.
Eccoli qui:

  • La funzione di questo blog è quella di aiutarmi a "fissare" tutto quello che mi passa per la testa e che, senza l’occasione di scriverlo, andrebbe perduto. Scrivere per un pubblico, per quanto ridotto, aiuta a essere maggiormente critici verso se stessi, a dare una forma compiuta alle idee e a distinguere tra ciò che si "sente" a livello emotivo e ciò che invece è sostenibile in una discussione. L’auspicio è, ovviamente, che il risultato risulti interessante anche per qualcun altro.
  • Per quanto detto al punto precedente, non ho voluto fare un blog tematico. Questa pagina serve innanzitutto a me per fissare le idee, e solo secondariamente è un blog, per così dire, "di servizio". Peraltro mi piacerebbe fare in modo che fosse possibile per l’utente effettuare una preselezione dei post per argomenti, in modo da leggere, per esempio, tutte le recensioni cinematografiche o tutti i post politici, lasciando perdere il resto. Ho già idea di come fare tecnicamente, ma la realizzazione pratica è rimandata alla versione 2.0 del blog, che, conoscendo i miei tempi, non arriverà prima dell’estate.
  • Qui nessun argomento è precluso, ma si parlerà soprattutto di cinema, musica, libri, giochi. Il "peso" relativo dei vari argomenti varierà a seconda delle mie disponibilità del momento. Cercherò di evitare di parlare troppo spesso di politica, e soprattutto cercherò di evitare di fare il commentatore della notizia politica del giorno, e di parlare solo di argomenti molto specifici e magari trascurati. In via sperimentale, potrebbe apparire nel prossimo futuro qualche post sulla tecnologia informatica, ma non so se diventeranno una caratteristica permanente, visto che già me ne occupo per lavoro.
  • Mi riservo il diritto di modificare i miei post, anche a giorni di distanza, ogni volta che ci troverò un errore o una frase che non mi piace. Non per fare il Grande Fratello di me stesso, ma perché,se l’informatica ci permette di correggere gli errori, non vedo perché non sfruttarla.
  • Mi riservo inoltre la possibilità di cancellare i commenti ingiuriosi o fastidiosi (per inciso, non è ancora successo e spero che mai accada, ma non si sa mai). Non trovo nulla di "antidemocratico" in questo. Questo è il mio blog, in un certo senso è casa mia, quindi le regole le faccio io. Non credo di essere tenuto a ospitare chiunque. Fermo restando che il dissenso è benvenuto.

OK, spero di non avervi annoiato troppo. Sono benvenuti i commenti su difetti di questo blog e possibili migliorie.

Share Button

Film: Wallace & Gromit in La maledizione del coniglio mannaro

GromitDopo tre splendidi cortometraggi, finalmente approdano al lungometraggio gli adorabili Wallace & Gromit, personaggi di plastilina animati dagli studi inglesi Aardman al ritmo di tre secondi di film al giorno (ci sono voluti cinque anni per finirlo!). In questo episodio lo strampalato inventore Wallace ha organizzato un servizio per proteggere dal flagello dei conigli gli orti dei suoi compaesani, che vivono tutti in funzione di un concorso per verdure giganti organizzato da Lady Campanula Tottington. Ovviamente Wallace si caccerà nei guai, questa volta a causa di un coniglio mannaro che semina il terrore nei campi, e toccherà ancora una volta al suo fidato e intelligentissimo assistente, il cane Gromit, cavarlo di impaccio.
Il film è delizioso e mantiene inalterati i pregi degli episodi precedenti: personaggi di plastilina che sembrano vivi per l’espressività della mimica e la precisione dei tic, umorismo inglese spesso molto sottile, fatto di piccoli dettagli, il tutto all’interno di una trama strampalata ma coerente che cita atmosfere e inquadrature di tanti classici del cinema senza che mai il gioco diventi fine a se stesso. Il successo incontrato dalla Aardman con Galline in fuga ha portato in dote una maggiore ricchezza produttiva, che si può notare, per esempio, dalla colonna sonora di Hans Zimmer, che non ha nulla da invidiare a quella di un vero film d’azione. C’è anche qualche gag un po’ più "adulta" (irresistibile il coniglio mannaro che palpa il sedere a Gromit travestito da coniglia mannara). Forse la lunga durata fa risaltare quello che è un pregio ma anche un limite dei personaggi creati da Nick Park: il loro essere così totalmente inglesi, legati a una società di piccoli villaggi che non esiste più e che, più che essere satireggiata, viene trattata con una bonomia un po’ nostalgica. Ma perché cercare il pelo nell’uovo? Più di tanti altri film questo è autentico cinema, in cui ogni inquadratura è pensata, ogni singolo dettaglio è un parto diretto della fantasia dell’autore, e i personaggi che "parlano" di più sono quelli muti. Guardatelo (ma anche i cortometraggi!).

Share Button

Il Galli ha fatto la frittata

Ernesto Galli della LoggiaSfogliando il Corriere della Sera, uno dei piaceri associati alla lettura è la simpatica rivalità tra Ernesto Galli della Loggia e Angelo Panebianco. Chi dei due riuscirà a scrivere la maggior quantità di boiate reazionarie, di paradossi logici, di pure e semplici stronzate, all’interno dello stesso articolo di fondo? (L’ottimo Magdi Allam non è in competizione: pur essendo il tasso di idiozie per articolo forse anche superiore a quello degli altri due, esso si esplica in pratica su un solo argomento, a fronte dell’assoluta enciclopedicità dello stupidario dei nostri eroi.)
Fino a qualche giorno fa credevo di poter assegnare la palma a Panebianco, il quale, in un suo articolo sui grandi successi della politica estera di Bush, citava l’elezione di Ahmadinejad alla presidenza dell’Iran come una vittoria degli USA, perché avrebbe "svelato la vera natura del regime di Teheran". Grazie tante, Panebianco. Noi antiamericani, maligni come siamo, continuiamo a sperare che gli USA non abbiano altri "successi" come questi, anche perché ci piacerebbe evitare la Terza Guerra Mondiale.
Tuttavia oggi Della Loggia, nel tentativo di annullare il distacco, ne ha fatta una che credo chiuda la partita. Il nostro ha scritto un articolo prendendo spunto dal parere favorevole di alcuni vescovi riguardo all’insegnamento del Corano nelle scuole. Sorvoliamo sul contenuto generale, che è di schietta impronta reazionaria-teocon, come in tutti coloro che in Italia si definiscono "liberali", non conoscendo evidentemente il significato della parola. Quello che ci interessa è la frase seguente: "Davvero è a causa della nota chiusura al dialogo delle chiese cristiane olandesi, e della conseguente soffocante cappa di conformismo religioso, che alcuni giovani islamici di quel Paese si sono sentiti in dovere di ammazzare Pim Fortuyn e Theo Van Gogh?".
Cosa c’è che non va? A parte ogni altra considerazione, un piccolo dettaglio: Pim Fortuyn non è stato ucciso da "giovani islamici". A sparargli fu un ecologista fanatico, bianco e olandese. Il quale, sì, citò come motivo dell’omicidio gli atteggiamenti antimusulmani di Fortuyn, ma non era musulmano e non fu certamente spinto da motivi religiosi.
Ora la domanda sarà retorica, ma va posta: come può uno che si permette di ignorare fatti così fondamentali, o di distorcere in questo modo la realtà, fate voi, essere l’editorialista di punta di uno dei principali quotidiani italiani?

Share Button

After all, I'm forever in your debt…

MimosaConstato con piacere che, almeno a giudicare dai commenti, questo blog ha più frequentatrici che frequentatori. A tutte loro dedico il simbolico rametto di mimosa, che non costa nulla, lo so, in particolare questo che è virtuale, ma serve comunque a dirvi che vi adoro tutte quante, nell’insieme e, nella maggior parte dei casi, singolarmente.

Share Button

"Ci si dovrebbe accoppiare a vita, come i piccioni e i cattolici"

piccionePremetto: io del terribile Sanremo non ho visto neppure un secondo: non mi interessa. Però, a festival concluso, mi è venuta voglia di ascoltare la canzone vincitrice. Questo perché mi era capitato di ascoltare la precedente canzone di Povia, "I bambini fanno oh", e mi aveva colpito.
Intendiamoci, non è che sia un brano imprescindibile, un capolavoro. E rasenta pericolosamente la melensaggine. Però a me era piaciuto. Intanto il tema, per quanto banale, era condivisibile: chi di noi non si è intenerito di fronte ai discorsi dei bambini? Ma, soprattutto, la canzone mi sembrava fresca: senza sperimentalismi, ma con una melodia piacevole ma non facile, e un ritmo tutto suo. Mi ero detto: teniamolo d’occhio, questo Povia.
Ebbene, l’ho tenuto d’occhio, e avrei preferito non farlo. Questa "Vorrei avere il becco" che ha vinto il festival è una vera schifezza. Per cominciare, melodia e soprattutto ritmo sono banali, niente a che vedere con "I bambini…". Poi c’è questa cosa del verso del piccione, che a me dà sui nervi: i suddetti volatili ("Lumpenpennuti", li definiva Calvino) non mi stanno simpatici. Ma soprattutto, è il testo che fa cadere le palle. Dico: come si fa a scrivere una canzone che incita espressamente a volare basso, ad accontentarsi, a non inseguire i sogni? Potrà anche essere giusto è conveniente per la maggior parte di noi, ma scriverlo in una canzone?!? Che razza di mondo è quello in cui le canzoni, invece che cantare i sogni, incitano a farne a meno? È un segno dei tempi, uno dei tanti, che mi inquieta.

P.S.: Cinque punti-vanamonde a chi indovina per primo la provenienza della citazione nel titolo.

Share Button

Film: Broken Flowers

Broken flowersPensavo: dev’essere successo qualcosa a Jim Jarmusch. Com’è possibile che per tutta la sua carriera lui abbia girato film che sembravano improvvisati sul momento insieme agli attori (e probabilmente lo erano), e poi di colpo, a partire da Dead Man, si sia messo a sfornare film che sembrano pensati in ogni minimo dettaglio, in cui ogni particolare sembra rimandare a un altro?
Poi però ho letto che Jarmusch ha dichiarato di aver scritto la sceneggiatura di Broken Flowers in dieci giorni. E allora? O mi sto immaginando tutto, oppure a forza di improvvisare quest’uomo ha imparato a scodellare film completi nel tempo in cui altri registi non girano neppure una scena.
Comunque sia, la storia di Broken Flowers è piuttosto semplice. Don Johnston (ogni riferimento a Don Giovanni è puramente trasparente) è un seduttore cinquantenne depresso. Piantato dall’ultima amante, riceve una lettera non firmata in cui una donna lo informa di avere avuto un figlio da lui diciannove anni prima. Roso dalla curiosità, Don si reca in visita alle cinque donne che, secondo i suoi calcoli, potrebbero essere le autrici della missiva, rintracciate con l’aiuto di un vicino col pallino delle investigazioni. La ricerca diventerà un viaggio dentro il suo passato, cercando di portare a galla ciò che avrebbe potuto essere e forse si è verificato, e lo lascerà più confuso che mai.
Broken Flowers va accuratamente evitato da chi non tollera i ritmi lenti o pretende che un film risponda a tutte le domande che suscita. Gli altri potranno godersi un’opera al tempo stesso amara e divertente, piena di sorprese e di umorismo bizzarro. Bill Murray è semplciemente strepitoso (c’è chi dice che è manierato, ma parlare di maniera perché il suo personaggio somiglia un po’ a quello di Lost in Translation mi pare fuori luogo), ma lo sono anche le cinque attrici che interpretano ruoli diversissimi da quelli abituali, spesso irriconoscibili senza trucco e glamour. Persino la colonna sonora  (a base di jazz etiope di Mulatu Astatke) è insolita e notevole. Tutta la mia ammirazione va comunque a Jarmusch, che dopo Dead Man e Ghost Dog allinea un altro personaggio memorabile e un altro genere affrontato con successo (dopo il western e il film d’azione, la commedia sentimentale). Il tutto  con uno stile personalissimo, fatto di lunghe inquadrature in cui l’attenzione dello spettatore può spaziare per cogliere dettagli essenziali (come gli oggetti rosa che costituiscono il nascosto filo conduttore di questo film). Un altro così e lo eleggo mio regista preferito.

P.S.: Per onestà intellettuale, devo informarvi che c’è chi non la pensa al mio stesso modo. Ecco un esempio.

P.P.S.:Mi rammarico inoltre di avere impiegato tanto tempo a commentare questo film che nel frattempo è uscito dalle sale. Faccio proposito di essere più sollecito.

P.P.P.S.: Sì, lo so, sto facendo solo recensioni molto positive… ma non è colpa mia se ho visto dei film che mi sono piaciuti. E poi, in generale, a me i film piacciono. Devono avere un difetto grave perché io scriva una recensione negativa.

Share Button

Hell freezes over!

Questionable ContentNon ci speravamo più!!!
Dopo 568 striscie, finalmente Marten, protagonista di Questionable Content,  riesce finalmente a combinare qualcosa con una ragazza!
Un simile tellurico evento non può passare sotto silenzio. Congratulazioni, Marten! Anche se sappiamo benissimo che la tua vita d’ora in poi sarà ancora più incasinata, ci hai dato una ragione per andare avanti: i miracoli accadono!

Share Button

Film: I segreti di Brokeback Mountain

Brokeback MountainSono andato a vedere questo film con la quasi certezza di annoiarmi. Per quanto apprezzi molto Ang Lee, ho una discreta allergia per la categoria dei film d’amore (ricordo ancora il tedio provato durante la visione di I ponti di Madison County dell’insospettabile Clint Eastwood), e temevo che Brokeback Mountain rientrasse in tale categoria (complice anche un trailer piuttosto fuorviante). Ma sbagliavo. Perché, pur essendo una storia d’amore, questo film non ha nulla di sdolcinato, e l’ho seguito senza annoiarmi per tutti i 134 minuti della sua durata.
Quello che fa la differenza è il paesaggio del Wyoming. E non perché Ang Lee abbia girato inquadrature da cartolina (che pure non mancano), ma perché è il contesto a rendere drammatica la storia dei due cowboy Ennis e Jack. Il film inizia con una silenziosa attesa che sembra quasi quella che apre C’era una volta il West di Sergio Leone. Ed è proprio un residuo del selvaggio West quello che vediamo, che ha perso tutto il fascino ma in cui è rimasta tutta la carica di violenza e disperazione. Non c’è nulla di romantico nella vita grama che i due fanno al seguito di un gregge di pecore in alta montagna, e proprio per questo l’improvviso scoccare della scintilla tra idue cowboy acquista una drammaticità assente da quei film in cui l’omosessualità è qualcosa su cui si può scherzare (come nel pur ottimo film di esordio di Ang Lee, Il banchetto di nozze). Il regista ha il grande merito di evitare scene didascaliche, e di far percepire allo spettatore il peso della discriminazione che incombe sui due protagonisti in modo quasi del tutto implicito, e proprio per questi più efficace. Forse nella seconda parte il film avrebbe potuto dilungarsi un po’ meno, ma è un difetto veniale per un’opera che ha sicuramente meritato la pioggia di riconoscimenti ricevuta.
Ottimi gli interpreti,  che vengono progressivamente invecchiati fino al doppio della loro età anagrafica: Heath Ledger sembra uno Steve McQueen redivivo, e anche l’ex-Donnie-Darko Jake Gyllenhaal è perfettamente in parte. In conclusione, un film che mi sento di raccomandare senza esitazioni.

Share Button

Film: Match Point

Match PointC’è chi ha detto che non è il solito Woody Allen. Sbagliando. Perché, se questo film ha un difetto, è proprio quello di ricalcare troppo da vicino un altro film di Woody, lo splendido Crimini e misfatti. Ma un vecchio maestro come lui ha tutto il diritto di ripetersi, se riesce a farlo in modo così impeccabile. Quanti sono i registi che, passati i 70 anni, riescono ancora a migliorare il proprio stile invece che scadere nella maniera?
Ma andiamo con ordine. Chris è un giovanotto irlandese di umili natali che ha la possibilità di accasarsi con la giovane rampolla di una ricchissima famiglia inglese, disposta ad accoglierlo e a fare di lui un uomo di successo. L’opportunista interpreta di buon grado la parte che gli è stata offerta, fino a quando incontra Nola, fidanzata del suo futuro cognato. Per un po’ Chris crede di poter essere se stesso con Nola e tutt’altra persona in famiglia ma, quando i due ruoli entrano insanabilmente in contrasto, si trova di fronte a una scelta terribile.
Il film scorre lineare senza mai annoiare, grazie a dialoghi perfetti (che sembrano a ogni momento sul punto di decollare verso i crescendo di battute tipici delle commedie alleniane, e invece si fermano subito dopo aver generato l’ombra di un sorriso) ed alla consumata abilità del regista, che un’inquadratura dopo l’altra ci restituisce un fedele ritratto dell’alta società londinese (forse Allen non avrà la mano felice nel descrivere gli sfigati, come in Criminali da strapazzo, ma i ricchi li sa dipingere come nessun altro). Scarlett Johannson è perfetta nella parte dell’americana sexy e un po’ volgare (tutto l’opposto della giovane pensosa ed eterea di Lost in Translation: la ragazza sa recitare). Jonathan Rhys-Meyers può sembrare algido nel primo tempo, ma si riscatta completamente quando il dramma gli fa perdere la sua compostezza. Ed è forse l’intuizione più geniale del film, farci vedere l’autore del misfatto che piange calde lacrime di fronte all’orrore di ciò che sta facendo, eppure non può fermarsi. Allen è poi abilissimo nel trasformare il finale in un trattato filosofico senza minimamente far cadere la tensione, anzi, con un rovesciamento che sorprende completamente gli spettatori (e che Hitchcock, probabilmente ispiratore dei dialoghi tra i due poliziotti, avrebbe sicuramente apprezzato).
In definitiva, in Match Point il nostro Woody dimostra una classe e una sicurezza invidiabili, da fargli sicuramente perdonare tutte le sue ultime mediocri prove (e in particolare l’insulso Melinda e Melinda). Evidentemente l’Europa gli fa bene. Non vediamo l’ora di vedere il prossimo, Scoop, sempre ambientato a Londra. Intanto, se non lo avete già fatto, correte a vedere questo!

Share Button

Il commediografo Mr. Bean

Mr. BeanSulla prima pagina di Repubblica di oggi, al povero Salman Rushdie viene fatto dire di aver parlato con "il commediografo Rowan Atkinson". Ora suppongo che gran parte dei lettori di questo blog sappia già che Rowan Atkinson non è affatto un commediografo, bensì un comedian, un attore comico, noto soprattutto per il personaggio di Mr. Bean (non credo proprio sia un caso di omonimia; perlomeno, su Internet non si trova niente altro).
Si può scusare un errore del genere imputandolo alla fretta. Però: se scrivi che Rowan Atkinson è un commediografo, vuol dire che non hai la più pallida idea di chi sia. E se non hai la più pallida idea di chi sia, forse prima di tradurre "comedian " con "commediografo" potresti fare un clic su Google e ottenere informazioni a sazietà sul personaggio in meno di dieci secondi.
Perché più sono le informazioni a disposizione e peggio siamo informati?

Share Button