Pochi giorni fa ci ha lasciato Osvaldo Cavandoli, inventore di La Linea. Ho un ricordo nitidissimo del suo cartone animato che risale a quando ero bambino. Credo che La Linea si avvicini quanto più possibile per un cartone animato alla perfezione. E’ assolutamente essenziale: in bianco e nero, sonoro onomatopeico, tratto limitato a pochi segni, Eppure basta guardarlo una volta e non te lo dimentichi più. Sono storie che anche un bambino può apprezzare (e io le apprezzavo quando avevo tre anni), eppure profondissime, credo si possano chiamare metafisiche. La lotta di questo omino che esce da una linea retta e si ribella contro la mano del suo creatore-disegnatore è qualcosa in cui chiunque, all’istante, può riconoscersi.
La cosa più sorprendente è che La Linea nacque come spot pubblicitario delle pentole Lagostina. E ci parla di un’epoca in cui qualcosa di così bello e perfetto poteva nascere da un intento commerciale. Ci parla di un’epoca in cui si credeva ancora che modernità e creativita potessero andare di pari passo. Di cui ormai ci siamo completamente dimenticati.
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Cucina: Risotto rosa alla Vanamonde
Ebbene sì, nel week-end mi è venuta voglia di creare una ricetta da zero. In realtà non è proprio da zero, visto che ho preso elementi da almeno altre tre ricette già note. Però credo sia la prima volta che mi viene in mente un accostamento culinario "in astratto" e che riesco a realizzarlo in concreto.
Ingredienti per tre persone: 1 carota, 1 gambo di sedano, 1 scalogno, 2 cucchiai d’olio d’oliva, 200 g di gamberetti sgusciati, 250 g di riso per risotti (io ho usato Carnaroli), vino bianco secco, brodo vegetale (va benissimo il granulare), 1 noce di burro, 200 g di fragole, 100 g di robiola, pepe rosa.
Svolgimento: tritate abbastanza finemente scalogno, sedano e carota, e fateli appassire nell’olio sul fondo di una risottiera o altra pentola adatta (io ho scoperto che per i risotti i wok dell’Ikea vano benone). Aggiungete i gamberetti (se sono surgelati fateli prima scongelare bene) e lasciateli insaporire nel soffritto per qualche minuto. Aggiungete il riso, fatelo tostare per un minuto alzando la fiamma, spruzzate generosamente di vino bianco, e lasciate sfumare. Continuate aggiungendo mestoli di brodo fino a portare a cottura. Nel frattempo, lavate le fragole, tagliatele a pezzetti, e passatele per qualche minuto in un pentolino antiaderente con la noce di burro, fino a quando non emetteranno un sugo rosa. A termine cottura, spegnete il fuoco, unite al risotto le fragole e la robiola e mantecate delicatamente. Lasciate riposare qualche minuto, decorate col pepe rosa un po’ pestato, e serivte.
La mia idea di base era di unire fragole e gamberetti in un risotto. Ho deciso che la base ai gamberetti doveva fare un po’ di contrasto con le fragole, quindi ho scelto il soffritto con olio d’oliva e verdure; però ho messo scalogno invece di cipolla, per non esagerare. Per il brodo, quello di carne non c’entrava nulla, ma temevo che anche del fumetto di pesce avrebbe contrastato troppo con le fragole, quindi ho scelto un neutro brodo vegetale. I dubbi più grossi li ho avuti con il formaggio, che temevo uccidesse il sapore dei gamberetti, ma dopo ripetuti assaggi ho deciso di aggiungere la robiola, e ho constatato che è utilissima per legare tra loro i due sapori (forse la prossima volta ne metterò un po’ meno). Ero in dubbio anche sul pepe rosa, che volevo soprattutto come decorazione coloristica, ma devo dire che, perlomeno al mio palato, non risulta estraneo e, anzi, dà un tocco di esotismo al tutto.
Il risultato è stato più che soddifacente. Purtroppo non ho potuto fotografarlo: non riuscivo a trovare l’alimentatore della fotocamera, e la fame ha avuto la meglio. Buon appetito a chiunque volesse provarla!
Oggi esce Borat
Ed io, dopo averne sentito parlare per un anno, avere visto il suo faccione e mutandone su ogni tipo di stampa ininterrottamente, essermi sentito raccontare per via diretta o indiretta ogni singola battuta del suo film, non ho più, assolutamente, la minima voglia di andarlo a vedere.
Concerto: Blackfield
Per chi non lo sapesse, i Blackfield sono l’ennesimo progetto collaterale di Steven Wilson, il geniale e poliedrico leader, chitarrista e cantante dei Porcupine Tree, insieme al musicista israeliano Aviv Geffen. Geffen gode di grande popolarità nel suo paese ma, comprensibilmente, è totalmente sconosciuto all’estero. Wilson si è innamorato della sua musica al punto da trasferirsi per sei mesi in Israele pur di poter collaborare. Il risultato sono stati due dischi: uno del 2004, che includeva anche alcuni dei maggiori successi di Geffen tradotti dall’ebraico in inglese; e uno appena uscito e interamente di nuove composizioni.
Il concerto si è tenuto all’Alcatraz, in una pessima giornata di pioggia e blocco totale del traffico: pubblico decisamente scarso. Tutto si è svolto in orario (supporter alle 20, headliner alle 21). La serata è stata aperta dai Pure Reason Revolution, sconosciuta band inglese che si è rivelata una piacevole sorpresa. Fanno una musica molto interessante che giustappone elementi molto diversi: una ritmica piuttosto "heavy", armonie vocali, molta elettronica applicata alle chitarre. Non guasta il fatto che la bassista, cantante e fondatrice del gruppo, Chloe Alpert, sia molto carina, una specie di moderna Chrissie Hynde. La professionalità del gruppo si è vista anche dal fatto che il suono era non dico buono, ma perlomeno decente (e si sa che i supporter sono sempre sacrificati nei soundcheck). Sono subito finiti nel mio elenco di band da tenere d’occhio.
I Blackfield sono entrati in azione subito dopo. Wilson e Geffen erano accompagnati da tre musicisti israeliani: un bassista, un batterista e tastierista. Dal punto di vista esecutivo, Wilson è evidentemente il punto forte del duo: non solo la sua chitarra elettrica è il punto centrale di quasi tutti gli arrangiamenti, ma ha anche sostenuto quasi tutte le parti vocali più difficili. Al suo confronto Geffen rimane in ombra, strimpellando un’acustica o un’elettrica ritmica e cantando con voce potente ma un filo troppo lamentosa per i miei gusti.
Il concerto è stato diviso in due da un intermezzo in cui Geffen ha eseguito Pain da solo al pianoforte, e poi ha accompagnato Wilson in una suggestiva versione di Thank You di Alanis Morissette (ho sempre pensato che fosse un gran bel pezzo, mi fa piacere che anche Steven la pensi così). Per il resto, la cosa che mi è piaciuta di più è stata la "scioltezza" con cui i brani sono stati eseguiti. Mai una pausa, arrangiamenti anche complicati, il tutto senza sforzo apparente, con suoni perfetti. Una vampata di energia che ha calamitato il pubblico dal primo all’ultimo pezzo. E’ davvero raro vedere un concerto di questa qualità.
Riguardo al materiale, ho apprezzato ancora di più i brani del primo disco, che avevo inizialmente preso sottogamba, ma che invece ora mi rendo conto essere davvero una splendida collezione di canzoni. Resto invece meno convinto del secondo. Alcuni brani sono indubbiamente all’altezza dei primi, come l’iniziale Once, ma in alcuni casi gli arrangiamenti mi sono sembrati un po’ scontati, un progressive melodico senza tante pretese, alla Kino. Ma forse è solo questione di tempo prima che mi accorga delle qualità di Blackfield II.
Per inciso, Once è stata eseguita due volte. E, conoscendo l’umorismo bizzarro di Steven Wilson, sono sicuro che non è casuale!
In conclusione, un concerto splendido. Se ve lo siete persi, avete fatto male. Ora aspetto i Porcupine Tree al Gods of Metal!
Il bimestre del webcomic
OK, avevo detto che avrei recensito un webcomic al giorno, invece ne ho recensiti meno di un terzo. Ne consegue che il mese del webcomic viene prolungato a oltranza fino ad esaurire le 28 recensioni previste.
Non sarebbe male se mi deste un feedback: li avete effettivamente guardati, questi fumetti? Vi sono piaciuti? Finora ho avuto il feedback di due soli visitatori. Un po’ pochini…
E' notorio…
…che l’Oscar è un premio che ha motivazioni in buona parte extraartistiche. E dunque lamentarsi per l’insensatezza dei premi è del tutto vano.
Tuttavia non si può non notare che Scorsese, dopo aver firmato fior di capolavori rimasti senza premio, viene premiato per uno dei suoi film meno riusciti. Un film che tra l’altro aveva il suo maggior punto debole nella sceneggiatura, che è stata premiata con un altro Oscar. Mah…
Soprattutto, dare solo il premio per il miglior sonoro a un capolavoro come Lettere da Iwo Jima è al di là di qualsiasi commento.
Mai più senza
Ieri sono stato a un matrimonio. In casa degli sposi ho visto l’oggetto che vedete nella foto. Si tratta, ovviamente, di una paletta per dolci, ma di tipo particolare: una paletta musicale. I quattro pulsanti sul manico permettono di suonare, durnate il taglio della torta, il più appropriato tra i quattro temi musicali corrispondenti. La scelta è tra Tanti auguri a te per i compleanni, la Marcia nuziale di Wagner per i matrimoni, Pompa e circostanza di Elgar per le feste di laurea, e He’s a jolly good fellow per le altre occasioni. Nel momento in cui l’ho vista, ho sentito simultaneamente due voci nella testa. Una che mormorava stancamente "L’orrore, l’orrore…". L’altra che urlava: "Sììììì, la voglio! Dev’essere MIA!!!"…
L'ora di finirla
Poche cose mi irritano quanto le persone che spendono cifre enormi per acquistare orologi con raffinatissimi meccanismi. Potrei ancora capire se si trattasse di orologi d’epoca. Ma no, sono meccanismi costruiti oggi in laboratorio, il cui costo esorbitante è giustificato dal fatto di ricavare meccanicamente la stessa precisione oggi ottenibile con un chip elettronico da poche decine di euro. E’ qualcosa di veramente insensato: come stipendiare una persona perché ti porti tutti i giorni un blocco di ghiaccio proveniente dalle Alpi e usarlo per conservare i cibi al posto di un frigorifero. Una spesa totalmente inutile, che non porta alcun vantaggio pratico. E nemmeno estetico, dato che il meccanismo di un orologio di solito non si vede. E, anche se si vedesse, sarebbe indistinguibile da uno molto meno preciso.
Perciò, quando ho saputo che oggi Bobo Vieri si è fatto portare via un orologio che costa poco meno di quanto guadagno in un anno, la mia reazione è stata, inevitabilmente: ben gli sta!
Webcomic: Questionable Content
Titolo e link: Questionable Content
Autore: Jeph Jacques
Lingua: Inglese
Tipologia: Sit-com
Formato: Strip di quattro vignette lunghe
Colore o b/n: A colori
Cadenza: Cinque giorni la settimana, regolare
Continuità: Un’unica storia continua
Gergalità: Cospicua, gergo giovanile e tanti riferimenti a band oscure
Elementi fantastici: Numerosi quando appaiono gli anthro-PC, ma per il resto il fumetto è realistico
Violenza: Inesistente
Autoreferenzialità: Nessuna
Archivio: L’intero corpo del fumetto è disponibile online
Giudizio: (10)
Questionable Content è una sit-com nel vero senso della parola, dato che i personaggi per la stragrande maggioranza delle storie non fanno altro che chiacchierare tra di loro scambiandosi battute, senza che nulla succeda. Ciò non toglie che sia un’ottima sit-com, di quelle che puoi continuare a seguire per l’eternità godendoti i dialoghi, senza veramente aspettarti che succeda qualcosa di più. Io la trovo spettacolarmente divertente, e mi chiedo come faccia l’autore, che tra l’altro è un giovincello, a sparare così una battuta dietro l’altra senza calare mai di tono. E mi piace anche la naturalezza con cui passa senza soluzione di continuità dal comico al drammatico, o dal banalmente realistico al totalmente fantascientifico. Per non parlare della quantità spaventosa di band che cita. Per giunta esce tutti i giorni. Dà dipendenza.
Il mio consiglio è di cominciare dalla prima storia e seguirvelo tutto. Tuttavia, se volete sapere cosa è successo finora, vi dirà che Marten è ragazzo americano (categoria “indie”) con un lavoretto del cavolo in un ufficio. Faye è invece una formosa studentessa del sud. I due si piacciono. Il caso vuole che un incendio distrugga l’abitazione di Faye e che Marten si veda costretto a ospitarla in casa sua (dove vive in compagnia di Pintsize, il suo robot-PC). Il problema è che Faye è in crisi a causa del suicidio del padre, e non riesce a convincersi a iniziare una relazione seria con Marten. Entra così in gioco Dora, la snella e sexy datrice di lavoro di Faye al Coffee of Doom, un bar in cui i clienti vengono trattati malissimo, e che proprio per questo ha un grande successo. Anche a Dora piace Marten, e i due finiscono insieme. Marten è un po’ imbarazzato nei confronti di Faye, che sembra avere accettato la cosa… ma vedremo in futuro. Altri personaggi importanti: Raven, la ragazza apparentemente svampita, compagna di lavoro di Faye e Dora. Annelore, vicina di casa di Marten, preda di una sindrome ossesiva-compulsiva che la spinge a pulire casa in continuazione. Sven, il fratello donnaiolo di Dora. Penelope, la nuova arrivata al Coffee of Doom, sospettata di essere in realtà la supereroina Pizza Girl. Eccetera eccetera…
Webcomic: The Perry Bible Fellowship
Titolo e link: The Perry Bible Fellowship
Autore: Nicholas Gurewitch
Lingua: Inglese
Tipologia: Nonsense, umorismo nero
Formato: Strip di lunghezza variabile
Colore o b/n: A colori o bianco e nero
Cadenza: Irregolare
Continuità: Vignette singole
Gergalità: Scarsa, poco o nessun testo
Elementi fantastici: Numerosi
Violenza: Variabile, a volte cospicua
Autoreferenzialità: Nessuna
Archivio: L’intero corpo del fumetto è disponibile online
Giudizio: (6)
The Perry Bible Fellowship è difficile da descrivere, in quanto non ha una trama o dei personaggi ricorrenti: è solo una raccolta di strip dello stesso autore. Quello che le accomuna è un umorismo davvero peculiare, che va alla caccia del nonsense con un particolare gusto dell’orrido e del macabro, godendo nel dimostrare come anche le cose apparentemente più innocue e rassicuranti possano in realtà avere un lato perverso, ostile, orribile o addirittura micidiale.
Tecnicamente è interessante la grandissima varietà di stili usata, che prende a prestito da ogni possibile iconografia, riprodotta con tecnica impeccabile prima di pervertirla.
Non lasciatevi ingnanare dal tratto da libro per bambini, perché è un fumetto molto adulto. Per il resto, gli avrei dato un voto anche più alto e le strip degli ultimi mesi non mi fossero sembrate un po’ troppo lambiccate.