Film: Crossing Over

Crossing overUn poliziotto che dà la caccia agli immigrati si impietosisce di fronte alle suppliche di un’operaia clandestina messicana, e si interessa della sorte del suo figlioletto perduto. Una modella australiana rischia di essere espulsa dagli USA per un disguido, e viene ricattata da un losco funzionario. Una quindicenne bengalese, per avere espresso un’opinione politica, viene arrestata e minacciata. Il figlio di un immigrato coreano subisce il fascino delle bande di gangster. Un musicista inglese deve fingere interesse per la religione ebraica per poter continuare a lavorare negli USA…
Queste e altre storie si intrecciano nel film di Wayne Kramer Crossing Over, il cui modello ispiratore è, in tutta evidenza, Crash di Paul Haggis, con cui ha inc omune ambientazione (Los Angeles), tema (i conflitti razziali) e struttura a storie intrecciate. Rispetto all’originale, Crossing Over risulta notevolmente inferiore a livello di sceneggiatura. Se in Crash le storie si intrecciavano veramente in modo imprevedibile influenzandosi a vicenda, qui i legami tra i vari fili narrativi appaiono piuttosto pretestuosi. Inoltre alcune storie appaiono meno significative rispetto ad altre, e sarebbe stato preferibile fossero in numero inferiore, ma più approfondite a livello psicologico (come accadeva in un altro bel film sull’immigrazione, L’Ospite Inatteso di Thomas McCarthy). In ogni caso, il film non è privo di momenti alti, forse anche perché il regista, immigrato egli stesso negli USA dal Sudafrica, riesce a trasmettere parte della sua esperienza personale. Gli interpreti famosi, a partire da un cupo e malinconico Harrison Ford, fanno il loro dovere, pur in modo non memorabile. Ma sono alcuni degli attori più sconosciuti a emozionare di più.

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Film: Star Trek


Una colossale astronave romulana, uscita dal nulla, attacca una nave terrestre distruggendola, per poi scomparire. Venticinque anni dopo la nave riappare attaccando il pianeta Vulcano. Ad affrontarla arriva l’Enterprise, con a bordo anche uno scapestrato cadetto, James Kirk, figlio del comandante della nave distrutta…
Fino a poco tempo fa, pareva certo che di Star Trek non si sarebbe più sentito parlare. Dopo quarantacinque anni, cinque serie televisive e dieci film, di qualità declinante fino all’imbarazzo, si poteva tranquillamente pensare il potenziale dell’universo trekkie fosse definitivamente esaurito. Invece J. J. Abrams (la mente dietro alla serie televisiva Lost, se qualcuno non lo conoscesse) ha compiuto un piccolo miracolo, grazie a un’idea forse persino scontata, ma riuscitissima: un paradosso temporale. Nel corso del film veniamo infatti a scoprire che, a causa di un viaggio nel tempo, la storia è stata cambiata. Possiamo quindi goderci il meglio di entrambi i mondi: da un lato i personaggi sono gli stessi che amiamo da oltre quarant’anni, con i loro tic, i loro modi di dire e di fare, e anche numerosi elementi della loro storia. Dall’altro però le loro vite sono state differenti da quelle che conosciamo, e quindi possono essere diversi quel tanto che basta da poterli aggiornare senza ledere la continuità storica e logica della serie. Così vediamo i membri dell’equipaggio dell’Enterprise amare e fare sesso, in modi che prima avevamo potuto solo intuire. Vediamo i loro caratteri estremizzati, e li vediamo immersi in un atmosfera fa film d’azione del XXI secolo che con il vecchio Star Trek ha poco a che vedere. Il risultato è essenzialmente un film divertente, che manda in brodo di giuggiole il trekkie veterano che ritrova i suoi beniamini aggiornati al Duemila, ma che risulta digeribile anche a chi della saga conosce ben poco. Il che non signficica che il film sia privo di difetti. In particolare il cattivo di turno è del tutto monodimensionale, e le sue semplicistiche motivazioni mal si accordano con le sue azioni arzigogolate e sproporzionate. Ma, in fin dei conti, anche molti episodi passati della saga avevano difetti del genere, e non ci avevano impedito di goderceli. Rispetto al film d’azione medio, questo Star Trek risulta molto curato, con un buon equilibrio tra scene d’azione e cura dei personaggi, e soprattutto con alcuni tocchi umoristici che gli impediscono di risultare troppo pesante. Giudizio positivo, quindi, e speriamo che negli inevitabili seguiti la qualità venga mantenuta. Certo, se poi ogni tanto uscisse un film di fantascienza veramente innovativo, invece che basato su una serie del secolo scorso…

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Teatro: Il principe della gioventù

Gioventù
Non capita tutti i giorni di poter presenziare alla prima mondiale di qualcosa. Perciò, avutane l’occasione, anche se opera e musical non sono proprio il mio genere, sono andato a vedere Il principe della gioventù, opera-musical di Riz Ortolani. Ero molto ben disposto, anche perché Ortolani è autore di colonne sonore di sceneggiati RAI che hanno segnato la mia infanzia, come per esempio Ritratto di Donna Velata. Tuttavia vi anticipo subito che le mie aspettative sono andate totalmente deluse.
Il tema ispiratore dello spettacolo è la Congiura dei Pazzi. Si tratta di un episodio storico talmente carico di eventi drammatici e di situazioni romanzesche che sembra proprio ideale per tirarne fuori un gran bel melodramma. Purtroppo il libretto (scritto dallo stesso Ortolani insieme a Ugo Chiti) si occupa di tutt’altro. Alle motivazioni politiche della congiura, infatti, sono dedicate giusto un paio di scene, che servono essenzialmente a mettere in chiaro che i Medici sono i Buoni, saggi e preoccupati del bene della città, mentre i Pazzi sono i Cattivi, rosi dall’invidia e dediti solo al proprio interesse. Praticamente tutto il resto dell’opera, ahimè, è dedicato all’amore segreto tra Giuliano de’Medici e Fioretta. E fosse almeno una storia d’amore interessante! Ma no, i più vieti stereotipi, e testi che fanno sembrare sofisticata persino una canzone dei Ricchi e Poveri ("Adesso tu , soltanto tu, puoi farmi volare, attraversare il mare. Come mai ora hai cambiato la mia vita? Amore grande, amore forte, immenso, assurdo amore. Questo siamo noi. Io e te. Come mai hai scelto me?")! Quando poi si esce dalla storia d’amore, il tutto ha pochissima coesione, e i vari episodi sembrano buttati lì a caso senza creare tensione o fare progredire una trama. Gli unici movimenti un po’ vivaci sono quelli in cui Franceschino de’Pazzi proclama il suo odio per i Medici: qui sì si percepisce un po’ di pathos (e, guarda caso, sono i momenti migliori anche musicalmente). Però non basta a salvare dalla noia.
Con un libretto così privo di contenuti, è difficile giudicare le musiche. Si rticonosce la grande professionalità di Ortolani ma, a parte il summenzionato tema di Franceschino, gli altri temi non colpiscono particolarmente, anche perché arrangiati in modo privo di rischi. (Non giova il fatto che gli strumenti siano registrati, e non suonati dal vivo). Scenografie e costumi sono gradevoli e funzionali, ma anch’essi non particolarmente originali. La regia, poi, appare statica, e le rare scene d’azione mi sono sembrate confusionarie e poco efficaci.
Insomma, mi aspettavo uno spettacolo grandioso, ma in realtà Il principe della gioventù è soprattutto un contenitore per canzoni romantiche che, a parte le bellissime voci degli interpreti, sfigurerebbero anche a Sanremo. Ciò che mi intristisce di più è che, a leggere le recensioni osannanti apaprse in giro, questo sarebbe uno spettacolo ricchissimo di contenuti. Forse oggigiorno basta chiamare due personaggi Pico della Mirandola e Luigi Pulci per poter dire di aver evocato in scena il Rinascimento italiano, anche se i due si limitano a pronunciare qualche battuta insulsa. A mio avviso, però, questa è un’occasione perduta.

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FIlm: Come Dio comanda

Dal romanzo di Niccolò Ammaniti. Rino Zena è un operaio disoccupato, seguace di una mistica nazista e violenta, ma a modo suo integerrimo, che si prende cura, oltre che del proprio figlio tredicenne Cristiano, anche di un povero ritardato, soprannominato Quattro Formaggi. Rino vive nel terrore che gli assistenti sociali gli possano portare via Cristiano. Durante una notte di tempesta, una serie di eventi drammatici cambierà la vita dei tre personaggi…
Gabriele Salvatores aveva già trasportato sullos chermo con successo un altro romanzo di Ammaniti, Io non ho paura. Ma lì l’impresa era facile, dato che il libro era breve e seguiva un’unica vicenda, e sembrava fatto apposta per finire sullo schermo. Un libro come Come Dio comanda, lungo intricato e pieno di deviazioni, presenta ben altre difficoltà. Era inevitabile "asciugare" la storia eliminando dei personaggi, e probabilmente Salvatores ha fatto l’unica scelta possibile eliminando dalla trama Danilo e tutta la storia della rapina che lui e Rino nel romanzo tentano disastrosamente di organizzare. E tuttavia non si può fare a meno di notare che, riducendo in questo modo la storia, buona parte del contenuto del libro va perduta. Il ritratto spietato del Nordest in cui sono solo i soldi che contano viene affidato solo alla discutibile retorica nazista di Rino. E anche il tema principale evocato dal titolo, che è quiello per cui tutti i personaggi chiamano continuamente in causa un Dio sfuggente (ma reso presente dalla colossale tempesta), risulta parecchio indebolito. Alla fine tutto il romanzo risulta ridotto a un rapporto tormentato ma solido tra padre e figlio. E ci si chiede: possibile che il cinema italiano debba ridurre qualunque tema a una questione di rapporti familiari?
Per il resto, che Salvatores sia un regista tecnicamente dotato non èin discussione, e infatti il film ha un ottimo casting, delle location perfette, sonoro e fotografia di qualità (splendide le scene notturne sotto la pioggia), suspence da vendere. Un buon prodotto, insomma, cui manca però la scintilla che ne farebbe veramente un film d’autore.

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Un futuro di delitti

Vi segnalo che su Delos è apparso un mio articolo sui noir fantascientifici. Non è articolato ed esauriente come avrei voluto, perché purtroppo è stato scritto in un periodo di totale ingorgo lavorativo. Ma spero che possa comunque risultare interessante.

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Libro: Guida Galattica dei Gourmet

GGGQuesta, più che una recensione, è una segnalazione: non sarebbe infatti corretto recensire un libro di cui sono tra gli autori. In effetti un mio raccontio, Missione diplomatica, appare tra le sue pagine.
L’occasione per l’uscita dell’antologia è stato il decennalle di Memorie di un cuoco d’astronave di Massimo Mongai. Ricordo che all’epoca il libro non mi entusiasmò: mi parve sì, divertente, simpatico, piacevole, ma anche di un umorismo un po’ troppo semplice, scontato, per meritare il premio Urania. Col senno di poi, però, devo correggere il mio giudizio, perché Mongai è indubbiamente riuscito a creare un personaggio in grado di rimanere nella testa della gente, una specie di archetipo come il capitano Kirk, in grado di veicolare i contenuti più vari. E in effetti la cosa più divertente di questa raccolta di racconti è vedere come il personaggio del cuoco spaziale Rudy Turturro sia stato preso in mano da ben 19 autori rimanendo sempre essenzialmente se stesso, nonostante la grande varietà di stili e di situazioni.
Forse il mio giudizio è distorto dal fatot di essere stato tra i prescelti, ma devo lodare l’opera dei curatori, che sono riusciti a mettere insieme un gran numero di racconti, alcuni buoni (il mio preferito è quello di Francesco Grasso) altri un po’ meno, ma senza i terribili sbalzi di qualità che si trovano spesso in opere di questo genere.
Il libro sembra distribuito molto bene (perlomeno, a Mlano si trova ovunque), se qualcuno dovesse acquistarlo e leggere il mio racconto mi faccia sapere il suo giudizio.

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Libro: Ultima Corsa

In fuga dopo la rapina andata male alla fine del libro precedente, Parker viene salvato per il rotto della cuffia da Tom, un uomo che si offre di ospitarlo per nasconderlo alla polizia. Ma questo aiuto non è altruistico: Tom vuole aiuto per rapinare i datori di lavoro che lo hanno licenziato, un colpo che pianifica da anni senza avere il coraggio di metterlo in pratica. Nel frattempo, lo sceriffo del paese chiede aiuto a tutti i cittadini per stanare i rapinatori fuggitivi… e Parker si ritrova a far parte di una squadra alla ricerca di sé stesso!
Non conoscevo Parker prima di incontrare questo libro. Ho così scoperto che si tratta di un personaggio apparso per la prima volta nel 1962, e che questo è il ventiquattresimo libro in cui appare (e negli USA ne è già uscito un altro!). L’autore non è che uno pseudonimo di Donald E. Westlake, uno dei maggiori scrittori noir viventi.
Devo dire di essere rimasto affascinato. Si tratta di romanzi di pura azione, in cui la tensione non cala mai. Non c’è alcuna visione moralistica: al contrario, il personaggio di Parker è affascinante proprio perché totalmente amorale, un criminale professionista assolutamente gelido, che riesce sempre a cavarsela proprio perché non si lascia mai fuorviare dalle emozioni. Sono libri di puro intrattenimento, eppure questo romanzo riesce a essere davvero sottile. Il confronto tra un criminale fatto e finito come Parker e i cittadini di un paesotto dimenticato nel profondo degli USA, che dovrebbero essere gli “onesti” ma in realtà reagiscono alla presenza di Parker scatenando i loro peggiori istinti, è condotto in modo davvero magistrale, ed è molto più rivelatore di tanti altri romanzi con maggiori pretese, L’unico calo di tensione l’ho notato nel finale, quando c’è l’obbligatorio showdown che deve consentire a Parker di cavarsela per poter essere protagonista del romanzo successivo.
Il libro l’ho letto in originale, per un motivo ben preciso: l’ho tradotto io, insieme a mia moglie. Maggiori notizie qui.

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Tu prostata nella polvere

In questi giorni, per tenermi in esercizio e per vedere cosa produce la fantascienza tedesca,  sto leggendo un romanzo in tedesco: Das Cusanus-Spiel di Wolfgang Jeschke. Sono ancora troppo indietro per parlarvi del libro in sé (lo farò a tempo debito), ma una cosa mi ha colpito fin dalle prime pagine. L’autore ha ambientato il romanzo a Roma, città che deve conoscere personalmente, visto che si lancia in riferimenti topografici piuttosto precisi. Purtroppo però più spesso che no ci va di mezzo l’ortografia italiana. Una buona metà della toponomastica citata è sbagliata (piazza Triluzza, piazza dei Colosseo, ponte San Fabricio, isola Tibertina, per non parlare delle automobili marca Fiat Lux o della esilarante citazione dell’Aida che dà il titolo a questo post. Che ci sarebbe voluto a dare una controllatina ai nomi stranieri nel testo? Pare che la sciatteria editoriale in Germania sia allo stesso livello che in ITalia. Non so se ci sia da compiacersene…

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Film: "Pranzo di Ferragosto"

Gianni, che vive insieme all’anziana madre e non riesce a sbarcare il lunario, si trova costretto ad accettare la proposta dell’amministratore del condominio, che gli coprirà parte delle spese se ospiterà la propria madre per Ferragosto. Ma al momento cruciale l’uomo gli affida non una sola vecchietta, ma due. E anche il medico di fiducia, che lo cura gratis, in cambio gli chiede di ospitarne una quarta…
Pranzo di Ferragosto è il film di cui tutti in questo momento parlano bene. Devo dire però che, anche se il film si lascia vedere con piacere, arrivato ai titoli di coda mi sono trovato a chiedermi il perché di tutto questo entusiasmo. È vero che Gianni Di Gregorio, regista e protagonista, è bravo e simpatico. È vero che le quattro vecchiette, non professioniste, se la cavano meglio di attrici navigate. È vero che il film emana quasi sempre una sensazione di assoluto realismo, come se le scene fossero state improvvisate sul momento (e probabilmente è proprio così, come dimostrano spesso anche le inquadrature disordinate el a fotografia sgranata). Ed è vero che il ritratto della vecchiaia che emerge dalle immagini è veritiero e incisivo senza mai scadere nel patetico o nella macchietta. E però, a mio avviso, questi dovrebbero essere solo gli ottimi elementi di partenza di un film, che poi li dovrebbe utilizzare per farci qualcosa. Invece, dopo appena un’ora e un quarto, una volta che tutte e vecchiette ci sono diventate familiari, il film finisce (con un finale che alcuni definiscono spiazzante, ma che a me è parso abbastanza prevedibile) e scorrono i titoli di coda. Non so, a me pare un po’ poco. Anche nei più strampalati e improvviati film di Jim Jarmusch non ci si limitava a presentare i personaggi e a farli interagire, ma c’era anche qualche spunto di sceneggiatura. Qui invece ci si accontenta di un risultato che carino è carino, figuriamoci, e lo è anche in un senso diverso e migliore del classico film italiano "carino". Però da quello che viene spacciato per film-rivelazione mi aspettavo di più.

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Film: Kung-Fu Panda

Il maestro di una scuola di Kung-Fu deve scegliere quale degli allievi è destinato a diventare il guerriero-drago, e a ricevere la pergamena che gli consentirà di assumere un enorme potere guerresco. Ma, inopinatamente, i segni del destino indicano Po, un panda grasso e inetto che sembra del tutto inadatto a diventare un temibile guerriero. La situazione si complica quando un feroce ex-allievo della scuola fugge di prigione e si prepara a compiere la sua vendetta sugli abitanti del villaggio…
Non sono mai stato un grande appassionato delle animazioni Dreamworks, sempre più occupate ad ammiccare al mondo adulto e contemporaneo che a raccontare una bella storia (persino l’osannata serie di Shrek si macchia, a mio avviso, di questo peccato). Ma, finalmente, ecco l’eccezione: Kung-Fu Panda è un cartone animato godibilissimo che, proprio perché non si fa carico di ambizioni eccessive, coglie perfettamente nel segno. La storia, semplice, lineare e risaputa, potrebbe essere quella di un qualsiasi film di arti marziali di Hong Kong. Gli autori si sono limitati a lavorare sulla caratterizzazione dei personaggi, e hanno fatto un lavoro splendido. Gli si potrebbe rimproverare che soltanto Po e il suo maestro Shifu sono personaggi davvero sviluppati, ma questo è uno dei pregi del film: l’avere evitato complicazioni eccessive. La trama scorre piacevolmente alternando momenti drammatici e comici, e si ride per le situazioni più che per le singole gag. La regia parodizza argutamente gli eccessi della filmografia di Hong Kong, inclusi rallentatori e fermi immagine, ma senza appesantire con troppe citazioni. Persino la morale "Zen" della faccenda viene illustrata in modo poetico e senza eccessi di retorica (un plus assoluto del film: la totale assenza di numeri cantati!). Insomma un gioiellino da vedere senz’altro, per tutte le età.

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