
Dopo un anno di pausa, dovuto ovviamente alla difficoltà di conciliare il blogging con il lavoro, ho deciso di riprendere segnalandovi la ripubblicazione di questo capolavoro del fumetto italiano.
I briganti è tratto dall’omonimo romanzo cinese del XIV secolo (omonimo in italiano; in originale il titolo suona come “storia in riva all’acqua”) e ambientato circa due secoli prima, e racconta le imprese di un gruppo di briganti che, diventati fuorilegge per i motivi più vari, utilizzano le loro capacità per mettere in difficoltà i corrotti governanti della provincia cinese dello Huinan. Una storia con qualche affinità con quella di Robin Hood, che nel corso del tempo ha conosciuto varie reinvenzioni e riscritture (anche il grande artista giapponese Hokusai ne fece una sua versione).
Magnus, uno dei più grandi e conosciuti fumettisti italiani, iniziò a lavorarci negli anni Settanta, basandosi sull’edizione parziale pubblicata da Einaudi (che non includeva il prologo, in cui 108 demoni si reincarnano in altrettanti briganti, cosa che conferisce alle loro imprese il sigillo della volontà divina). I primi due capitoli furono pubblicati nel 1975-76. I successivi due nel 1987-89. Magnus aveva previsto altri due capitoli per concludere la serie, ma impegnato in altri progetti non arrivò mai a completarli.
Non ho letto il romanzo originale, ma sembra che Magnus segua piuttosto da vicino la trama dell’edizione Einaudi. La grande libertà che si prende è il trasporre tutto in un atemporale universo science fantasy: i nomi dei personaggi e dei luoghi vengono conservati, ma tutto si svolge in un mondo in cui convivono archi, spade, armature, fulminatori, astronavi, che in un certo senso anticipa ciò che solo qualche anno dopo la pubblicazione delle prime tavole sarebbe stato reso mainstream da Star Wars. Amputata del prologo e mancante di un finale, la vicenda narrata procede in modo ondivago, dando voce ora a un personaggio, ora all’altro, e solo verso la fine si comincia a intravedere un quadro generale.
Su di me I briganti ha sempre esercitato un fascino enorme. Ricordo la prima volta che imbattei nel fumetto, a casa dell’amico Ernesto, e praticamente ne lessi metà all’istante, incapace di staccarmene. Non starò a dilungarmi sulla qualità dei disegni di Magnus, uno dei pilastri del fumetto italiano; di certo qui è possibile ammirarne l’evoluzione, dalle prime tavole molto in stile Alan Ford fino agli ultimi, sofisticatissimi disegni. Ma altrettanto mi coinvolge la sceneggiatura. Non solo la trasposizione di una storia antichissima in un contesto futuribile le dona una particolarissima sensazione di realtà, come fosse un documento storico proveniente da un mondo alternativo; ma la visione di Magnus riesce a rendere perfettamente la sensazione della caotica casualità da cui nasce l’ineluttabilità della storia. Ciascuno dei briganti diventa tale non per sua volontà; tutti loro erano personaggi onorati e rispettati, che finiscono per non avere altra scelta che mettersi contro la legge per l’azione congiunta di un sistema di governo corrotto e di imprevedibili capricci della sorte. Ne I briganti si vive o si muore, si viene esaltati o si precipita nell’abiezione per un nonnulla, e nessun personaggio è del tutto buono o cattivo, ma ognuno ha le proprie colpe e i propri meriti. Concedetemi un paragone oggi abusatissimo: è proprio il tipo di sguardo che ha fatto la fortuna di George R. R. Martin.
Questa è solo l’ennesima delle tante edizioni de I briganti. Ma se non l’avete ancora letto è un’ottima occasione per farlo: copertina rigida, ottima stampa (il fumetto è in bianco e nero) e un discreto apparato critico.
Disclaimer: L’occasione di pubblicare questo testo mi è stata data da Mondadori che, per motivi a me sconosciuti, mi ha improvvisamente incluso nella lista delle persone cui invia in visione i suoi fumetti. Che per un certo periodo si sono accumulati al mio vecchio indirizzo, prima che me ne accorgessi e gli facessi sapere che mi ero trasferito altrove da più di un anno. L’edizione che recensisco è pubblicata nella collana Oscar Ink.
Dal fumetto autobiografico di Marjane Satrapi. Marjane è una ragazzina iraniana che si trova a vivere proprio nei giorni in cui il regime dello Scià viene rovesciato. Condivie le speranze della sua famiglia per una società più democratica, ma vede invece nascere l’oppressiva teocrazia islamica, mentre il paese viene sconvolto dalla guerra con l’Iraq. Per salvarla dalla sua indole ribelle, i genitori la mandano a studiare in Europa, dove Marjane impara a condurre una vita libera e indipendente. Ma non si trova comunque a suo agio tra gli studenti europei che non sanno apprezzare la libertà di cui dispongono, e la nostalgia di casa la spinge a tornare in Iran…

È ufficiale: sono entrato a far parte dell’universo dei fumetti. L’evento è avvenuto
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Pochi giorni fa ci ha lasciato
OK, avevo detto che avrei recensito un webcomic al giorno, invece ne ho recensiti meno di un terzo. Ne consegue che il mese del webcomic viene prolungato a oltranza fino ad esaurire le 28 recensioni previste.
Titolo e link: Questionable Content
Questionable Content è una sit-com nel vero senso della parola, dato che i personaggi per la stragrande maggioranza delle storie non fanno altro che chiacchierare tra di loro scambiandosi battute, senza che nulla succeda. Ciò non toglie che sia un’ottima sit-com, di quelle che puoi continuare a seguire per l’eternità godendoti i dialoghi, senza veramente aspettarti che succeda qualcosa di più. Io la trovo spettacolarmente divertente, e mi chiedo come faccia l’autore, che tra l’altro è un giovincello, a sparare così una battuta dietro l’altra senza calare mai di tono. E mi piace anche la naturalezza con cui passa senza soluzione di continuità dal comico al drammatico, o dal banalmente realistico al totalmente fantascientifico. Per non parlare della quantità spaventosa di band che cita. Per giunta esce tutti i giorni. Dà dipendenza.
Il mio consiglio è di cominciare dalla prima storia e seguirvelo tutto. Tuttavia, se volete sapere cosa è successo finora, vi dirà che Marten è ragazzo americano (categoria “indie”) con un lavoretto del cavolo in un ufficio. Faye è invece una formosa studentessa del sud. I due si piacciono. Il caso vuole che un incendio distrugga l’abitazione di Faye e che Marten si veda costretto a ospitarla in casa sua (dove vive in compagnia di Pintsize, il suo robot-PC). Il problema è che Faye è in crisi a causa del suicidio del padre, e non riesce a convincersi a iniziare una relazione seria con Marten. Entra così in gioco Dora, la snella e sexy datrice di lavoro di Faye al Coffee of Doom, un bar in cui i clienti vengono trattati malissimo, e che proprio per questo ha un grande successo. Anche a Dora piace Marten, e i due finiscono insieme. Marten è un po’ imbarazzato nei confronti di Faye, che sembra avere accettato la cosa… ma vedremo in futuro. Altri personaggi importanti: Raven, la ragazza apparentemente svampita, compagna di lavoro di Faye e Dora. Annelore, vicina di casa di Marten, preda di una sindrome ossesiva-compulsiva che la spinge a pulire casa in continuazione. Sven, il fratello donnaiolo di Dora. Penelope, la nuova arrivata al Coffee of Doom, sospettata di essere in realtà la supereroina Pizza Girl. 
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Ma non importa, perché si tratta di un fumetto basato sull’umorismo verbale, e quello funziona benissimo. Help Desk è una satira puntuale del mondo dell’informatica. Così puntuale che a volte mi capita di apprendere la versione satirica ancora prima della notizia vera. Le battute sono taglienti, e alcune trovate davvero geniali. Chi ha spesso a che fare con i computer avrà la risata garantita.