Film : Scoop

ScoopDurante lo spettacolo di un illusionista la giovane Sondra, americana che studia giornalismo a Londra viene contattata dal fantasma di un reporter, che le rivela di aver scoperto prima di morire l’identità di un micidiale serial killer. Sondra si butta alla ricerca delle prove, coinvolgendo nella ricerca il malcapitato illusionista. Ma il presunto assassino è bello, ricco e fascinoso… possibile che sia lui?
Woody Allen qui sta evidentemente tentando di rifare in chiave comica il suo riuscitissimo film precedente, Match Point. Gli ingredienti ci sono tutti: stranieri a Londra che si trovano contemporaneamente sedotti e respinti dall’upper class, degli omicidi, il gioco del destino all’opera, le cose che non sono mai come sembrano… e in più questa volta c’è Woody, con un personaggio vagamente somigliante al protagonsita di Broadway Danny Rose e che spara battute a raffica. Gioco riuscito? Mica tanto. Certo, se quello che vi interessa è semplicemente sghignazzare di fronte all’umorismo alleniano, qui ne avrete una buona dose, e uscirete dal cinema soddisfatti. Ma se cercate la sottigliezza di Match Point, qui non la ritroverete. Scoop è al contrario un film piuttosto raffazzonato, con una trama piena di forzature (una stanza segreta che si può aprire solo dall’esterno? Andiamo!), un finale a sorpresa in realtà prevedibilissimo e, soprattutto, senza personaggi degni di nota. Woody ha costruito la sceneggiatura intorno al proprio personaggio, col risultato che la Johannson si limita a fargli da spalla, Hugh Jackman è un manichino (e non capiamo perché Sondra ne sia tanto affascinata…), il fantasma dimenicabile. Dove poi vorrebbe esserci simbolismo, ci sono piuttosto delle stanche autocitazioni. D’accordo, Woody, mi sono divertito lo stesso, lo ammetto; però stavolta hai avuto troppa fretta di fare il bis. Non sarà troppo, alla tua età, un film all’anno?

Film: La Sconosciuta

La sconosciutaUna donna ucraina cerca lavoro come domestica in un paese del trevigiano. Sembra un’immigrata come tante, ma ha uno scopo segreto: con ogni mezzo cerca di introdursi in casa di una famiglia di orafi. Scopriremo il suo segreto solo alla fine.
Non sono un amante del cinema calligrafico di Tornatore, perciò le mie aspettative erano basse, ma questo La Sconosciuta è stato una sorpresa in positivo. Tutt la prima parte è un rarissimo esempio riuscito di noir all’italiana, con una tensione continua che a tratti fa pensare al miglior De Palma. Tornatore dirige bene, alternando il gotico grigiore dell’inverno cittadino a scene trasfigurate dai ricordi della protagonista, utilizzando una volta tanto a proposito la sua passione per il dettaglio (unico neo: non si capisce perché voglia convincerci che l’azione si svolge nell’immaginario paese di Velarchi in provincia di Treviso, quando è evidente fin dalla prima scena che il film è girato in una città piuttosto grande, nella fattispecie Trieste). Buona parte del merito va anche alla protagonista Xenia Rappoport, che riesce nel difficile compito di dare corpo a un personaggio fatto di tanti sguardi e poche parole, donandogli il giusto miscuglio di vulnerabilità e durezza. Notevole anche un irriconoscibile Michele Placido nei panni del Muffa, un trucido pappone.
Purtroppo la seconda parte non è all’altezza della prima: lo scoglimento della vicenda è arzigogolato, confuso (l’episodio del sabotaggio dell’auto sembra rispondere più alla necessità di togliere di mezzo un personaggio ingombrante che non alla logica delle vicenda), si perde in troppe spiegazioni, e non rinuncia a un finale positivo ad ogni costo, con tanto di violini morriconiani in sottofondo, di cui non si sentiva il bisogno. Fortunatamente, un indovinato e inatteso colpo di scena verso la fine impedisce al film di sbracare completamente, e il giudizio resta positivo.

Film: A Scanner Darkly

Dal romanzo di Philip K. Dick. In un prossimo futuro, sempre più persone diventano dipendenti dalla sostanza M, una droga implacabile di origine sconosciuta. Bob Arctor è un poliziotto che si è infiltrato in un gruppo di tossici per scoprire da dove provenga la sostanza. Nessuno conosce la sua identità, nemmeno gli altri poliziotti, che incontra vestito di una speciale "tuta disindividuante" che impedisce di identificarlo. Il problema è che anche Bob è diventato un tossicodipendente, e i poliziotti, che sospettano di lui, lo incaricano, senza saperlo, di spiare sé stesso. Con il cervello distrutto dalla droga, Bob precipita in un vortice di paranoia… ma la realtà è ancora più terribile dei suoi peggiori incubi.
Il film è realizzato in rotoscope, una tecnica per cui disegni digitali vengono ottenuti a partire da riprese realizzate con attori veri (un cast di tutto rispetto: Keanu Reeves, Robert Downey Jr., Winona Rider, Woody Harrelson). Ed è questa probabilmente la sua pecca principale. La tecnica, infatti, toglie buona parte dell’espressività agli attori, cosa particolarmente grave in un film in cui ci sono moltissimi dialoghi e quasi nessuna azione (Reeves poi è inespressivo di suo, ma questo è un altro discorso). Una tecnica simile avrebbe i suoi vantaggi in un film ambientato in un mondo totalmente fantastico. Qui, invece, a parte le tute disindividuanti e un paio di brevi scene allucinatorie, tutto si svolge in comunissimi ambienti suburbani. Dato che pare che questo film sia costato uno sproposito, c’è da chiedersi se i soldi non sarebbero stati spesi meglio nell’usare effetti speciali convenzionali, lasciandoci vedere i veri attori. Insomma, esperimento interessante, ma non riuscito.
Al di là della tecnica usata, A Scanner Darkly si merita senza dubbio il premio per il film più fedele tratto da Philip K. Dick: ogni singola scena è tratta di peso dal romanzo, e non ci sono deviazioni dalla trama. Fa piacere che una volta tanto Dick non sia stato usato come mero pretesto per un filmetto d’azione decerebrato, e che tutti i suoi temi siano stati mantenuti con grande serietà. Tuttavia mi chiedo se tanta fedeltà non sia addirittura eccessiva. I dialoghi si susseguono uno dopo l’altro ma, senza un adeguato supporto visivo, non riescono a trasmettere per intero la carica paranoica del romanzo.
In definitiva, un film onesto, che fa del suo meglio per portare al pubblico un’opera importante e difficile, e che si guarda volentieri, ma che non è la pietra miliare che probabilmente si proponeva di essere.

Ci risiamo!

GenesisAvevo detto che non ci sarei più ricascato. Però questa volta la notizia è vera: i Genesis si riuniscono per un tour e, forse, un disco. Dico che la notizia è vera perché anche sul sito ufficiale viene detto chiaramente che tra due settimane ci sarà un grande annuncio (e cos’altro potrebbe essere?).
A ridimensionare, di parecchio, l’entusiasmo vengono però le dichiarazioni di Peter Gabriel, che afferma chiaramente che lui non ci sarà. Salvo improbabili sorprese, tornerà quindi in pista il collaudato terzetto Banks/Collins/Rutherford.
Che dire? Io non sono tra coloro che disprezzano incondizionatamente l’output dei Genesis degli anni ’80 e ’90. Al contrario, in ciascuno dei loro dischi ci sono dei brani che apprezzo. Tuttavia, dopo anni di attività, e dopo che ciascuno di loro ha firmato dei dischi extragenesis completamente da dimenticare, non tengo sicuramente il fiato sospeso…

Tempi moderni

Najib MahfuzOggi, sia il Corriere, sia La Repubblica pubblicano la notizia dell’apertura di una scuola araba a Milano, con relative proteste della Lega che teme, poverina, che sia un luogo dove si insegna ai bambini "un Islam violento". I due articoli sono talmente simili che è probabile che siano stati ricopiati dalla stessa notizia d’agenzia. Ambedue riportano che la scuola è dedicata "al filosofo arabo Nagib Mhalfuz". Non troverete questo nome inserendolo su Google, perché la grafia è sbagliata, qualunque metodo di traslitterazione si usi. Trovereste invece Najib o Naguib Mahfouz, che non è affatto un filosofo. E’ invece il più noto scrittore egiziano, vincitore del premio Nobel per la letteratura. E non solo: uno scrittore progressista, a lungo impossibilitato a pubblicare nel proprio paese, tanto odiato dai fondamentalisti islamici che uno di loro lo accoltellò e quasi riuscì a togliergli la vita.
Dunque, riassumiamo. Con il patrocinio del consolato egiziano, viene aperta a Milano una scuola araba. Non una scuola islamica, ma una scuola in lingua araba, così come ce ne sono in lingua inglese, francese, tedesca. La scuola viene intitolata a uno dei più illustri nemici del fondamentalismo islamico. Ciònonostante, i leghisti sbraitano come se si trattasse di una scuola per terroristi, con accenti degni del peggior razzismo. E cosa fanno i due maggiori quotidiani italiani? Non si accorgono neppure di chi si sta parlando. Sbagliano il nome, lo confondono con qualcun altro. Per loro, è il caso di dirlo, è arabo. All’ignoranza aggressiva dei pochi si aggiunge come un macigno l’ignoranza noncurante di chi avrebbe il dovere di informare. Mi pare una perfetta metafora della situazione generale.

Film C.R.A.Z.Y.

C.R.A.Z.Y.Dal modo in cui questo film è pubblicizzato, si potrebbe pensare che sia in un film sugli anni Settanta. In parte lo è: l’epoca è quella ci sono la musica, l’androginia, la droga, e i vari miti del periodo. Però C.R.A.Z.Y. non è (o non riesce a essere) un film su un’epoca, ed è essenzialmente una storia di rapporti interpersonali in una famiglia turbata dalla dipendenza dalla droga del primogenito Ramon e dalla bisessualità di Zachary, penultimogenito e protagonista del film. Il "non essere fino in fondo" è purtroppo una delle cifre stilistiche di questo film: basti pensare che il titolo rimanda, oltre che a una canzone di Patsy Cline, alle iniziali dei cinque fratelli; ma poi il film si occupa solo di due di loro, lasciando gli altri tre nell’ombra. Oppure che uno dei temi centrali sono i poteri taumaturgici del protagonista, che a seconda dei momenti sembrano esistere o non esistere, senza che mai si pervenga a una conclusione.
Il film comincia piuttosto bene creando un’atmosfera magico-umoristica, ma questa si perde gradatamente fino a sfociare in un drammone familiare a forti tinte (ed è la parte più debole, che lo fa sembrare decisamente troppo lungo). Non mancano belle scene, personaggi ben caratterizzati, momenti azzeccati, ma la tentazione di dire troppe cose finisce per lasciare una sensazione di inconcludenza.

Un paese moderno

In questo momento mi trovo nella hall dell’hotel Crowne Plaza di Malpensa, dove devo pernottare perché domani mattina prima dell’alba devo fare il check-in in aeroporto per un viaggio di lavoro. L’hotel è stato costruito pochi mesi fa e, nella pubblicità, si vanta di essere un luogo supermoderno per businessmen e congressmen. Però quando gli ho chiesto se era possibile avere un computer con Office e una porta USB, mi hanno guardato come se gli avessi chiesto se per colazione potevano servirmi delle lingue di iguana, però cucinate alla maniera vietnamita, mi raccomando. Meno male che poi il computer c’era. Aggiungo che per telefonare bisogna uscire in cortile, perché all’interno dell’edificio non c’è campo alcuno. E non c’è nemmeno un bancomat.

Sul computer ho fatto una scoperta interessante. Nella cronologia, il primo della lettera "a" è www.accompagnatricionline.com, il primo della "b" è www.bacididonna.com, il primo della "c" è www.cercoamicivip.com, e così via.

Un vero specchio del paese.