Intervista al sottoscritto

Sto trascurando talmente tanto questo blog, che mi sono scordato di segnalrvi che è apparsa sul web un’intervista a me e a mia moglie Silvia Castoldi in qualità di traduttori. L’occasione è l’uscita del romanzo Il Patto di Mezzanotte, di cui vi ho già parlato.
Se vi va di leggerla, la trovate qui.

Film: Baarìa

Ba'ariaIspirato alla vera storia del padre del regista, Ba’aria (dialettale per Bagheria) racconta la storia di Peppino che, nato in un umilissima famiglia siciliana, riuscirà a trovare l’amore, a costruirsi una famiglia e arriverà a candidarsi al Parlamento con il Partito Comunista, alternando trionfi ad amarezze e delusioni.
Spiace parlar male di un film come Baarìa, perché la sua qualità produttiva è talmente elevata che non sembra neppure un film italiano. La qualità della ricostruzione storica della Sicilia è semplicemente eccelsa, e gli attori vanno tutti da bravo a bravissimo anche nelle più piccole parti (beh, va bene, la Bellucci si limita a farsivedere seminuda e avvinghiata a un muratore; ma che pretendiamo di meglio? )..
Al di là di questo, però, si stenta a trovare un senso al film. Tornatore procede affastellando episodi su episodi, spesso azzeccando gag divertenti che alleggeriscono la lunghissima durata del film (quasi tre ore), ma che spesso ricadono nell’oleografico, nel macchiettistico o nel semplicistico, e ai quali manca comunque uuna direzione generale che porti il film da qualche parte. Accompagnato da una colonna sonora incessante e roboante di Morricone, Ba’aria spesso perde completamente il senso della misura, con insistite autocitazioni e pesanti metafore e simbologie che nulla aggiungono all’insieme. Peccato.

Punti di vista

Rickey MedlockeQualche mese fa ho intervistato Rickey Medlocke dei Lynyrd Skynyrd. Gli ho chiesto tra l’altro se la sua band fosse ancora molto orientata politicamente come era negli anni ’60. Mi ha risposto in primo luogo dicendomi che quando si è giovani si è radicali e si pensa di dover cambiare il mondo, ma poi invecchiando si capisce che le cose non sonomai bianche o nere, anche se ovviamente anche oggi i membri della band hanno opinioni politiche. Poi ha aggiunto che il titolo del nuovo album è God & Guns, e che ovviamente tutti avrebbero pensato che si tratta del solito immaginario da redneck, ma in realtà se si leggono bene i testi si capisce che il vero messaggio del disco è il disco parla soprattutto di speranza e di fede, fede di poter viver da persone libere, in un mondo migliore. Infine mi ha detto di avere per buona parte sangue indiano, e di avere imparato dai suoi progenitori indiani che esiste una spiritualità che è universale per l’uomo e che si può trovare in ogni luogo. Infatti lui era appena stato a visitare il Cenacolo di Leonardo Da Vinci e aveva percepito le energie che provenivano da quell’affresco. Insomma, era quasi riuscito a convincermi che i Lynyrd Skynyrd fossero un gruppo new age.
Oggi mi è arrivata la copia ufficiale del disco coi testi. Che sono cose del tipo:
I overheard an old man
Tell a young soldier “thanks”
The young soldier hung his head and said “it’s hard to believe
You’re the only one who took the time to say a word to me”
And the old man said…

That ain’t my America
That aint this country’s roots
You wanna slam old Uncle Sam
But I ain’t letting you
I’m mad as hell and you know I still bleed Red, White, and Blue
That ain’t us
That Ain’t My America

It’s to the women and men who in their hands hold a Bible and a gun
And they ain’t afraid of nothing, when when they’re holding either one
.
Oppure:

Oh there’s a time we’d not forgot
You could rest all night with your doors unlocked
But there ain’t nobody safe no more
So you say your prayers and you thank the Lord
For the peacemaker in the dresser drawer


God and guns kept us strong
That’s what the country was founded on
Well we might well give up and run
If we let’em take our God and guns

Come dire? Basta capirsi…

Libro: Il patto di Mezzanotte

Agorà è una città circondata dal nulla, divisa in quartieri che prendono i nomi dei segni zodiacali, dove tutto si può vendere e comprare, anche le emozioni, estratte dalle persone da appositi macchinari alchemici. Mark è un ragazzino che, vista la propria famiglia sterminata da un’epidemia, venduto dal suo stesso padre, viene salvato da un medico che letteralmente lo compra per farne il suo assistente. Ma chi davvero aiuta Mark atrovare il coraggio di andare avanti è Lily, ragazza poco più grande di lui, anche lei di proprietà della stessa famiglia. Separati quasi subito, Mark e Lily tentano ciascuno per suo conto di sopravvivere in una società che non perdona nulla ai poveri e ai deboli. Si reincontreranno in circostanze drammatiche, interferendo con le azioni di una società segreta…

Il patto di mezzanotte è un fantasy atipico, dove non ci sono elfi, orchi o altre creature fatate, non ci sono oggetti cruciali da cercare, proteggere o distruggere, e non è in corso nessuno scontro epocale tra il Bene e il Male. Lo si potrebbe definire un fantasy dickensiano: come in David Copperfield o Oliver Twist, assistiamo alle peripezie di un giovane coinvolto nelle ingiustizie di una società che, sullo sfondo, né commette di molto più terribili. Scritto da un venticinquenne (con una professionalità che gli scrittori fantasy italiani in erba possono solo sognarsi) ha tra i pregi soprattutto un’ambientazione interessante, che sconfina quasi nel fantascientifico (la città di Agorà somiglia quasi a un esperimento sociale di liberismo sfrenato, e non è detto che nei prossimi romanzi non si riveli tale), oltre a personaggi non banali. Ha anche dei difetti. In primo luogo una scrittura a volte un po’ ripetitiva e scontata nei suoi effetti. Ma soprattutto, l’autore non scopre tutte le sue carte, lasciando alcune cose nell’ombra, pronte per essere svelate nell’inevitabile seguito.

Il romanzo ha anche una particolarità: l’ho tradotto io, insieme a mia moglie Silvia Castoldi. Vi invito dunque a leggerlo e a dirmi cosa ne pensate.

Film: Crossing Over

Crossing overUn poliziotto che dà la caccia agli immigrati si impietosisce di fronte alle suppliche di un’operaia clandestina messicana, e si interessa della sorte del suo figlioletto perduto. Una modella australiana rischia di essere espulsa dagli USA per un disguido, e viene ricattata da un losco funzionario. Una quindicenne bengalese, per avere espresso un’opinione politica, viene arrestata e minacciata. Il figlio di un immigrato coreano subisce il fascino delle bande di gangster. Un musicista inglese deve fingere interesse per la religione ebraica per poter continuare a lavorare negli USA…
Queste e altre storie si intrecciano nel film di Wayne Kramer Crossing Over, il cui modello ispiratore è, in tutta evidenza, Crash di Paul Haggis, con cui ha inc omune ambientazione (Los Angeles), tema (i conflitti razziali) e struttura a storie intrecciate. Rispetto all’originale, Crossing Over risulta notevolmente inferiore a livello di sceneggiatura. Se in Crash le storie si intrecciavano veramente in modo imprevedibile influenzandosi a vicenda, qui i legami tra i vari fili narrativi appaiono piuttosto pretestuosi. Inoltre alcune storie appaiono meno significative rispetto ad altre, e sarebbe stato preferibile fossero in numero inferiore, ma più approfondite a livello psicologico (come accadeva in un altro bel film sull’immigrazione, L’Ospite Inatteso di Thomas McCarthy). In ogni caso, il film non è privo di momenti alti, forse anche perché il regista, immigrato egli stesso negli USA dal Sudafrica, riesce a trasmettere parte della sua esperienza personale. Gli interpreti famosi, a partire da un cupo e malinconico Harrison Ford, fanno il loro dovere, pur in modo non memorabile. Ma sono alcuni degli attori più sconosciuti a emozionare di più.

Film: Star Trek


Una colossale astronave romulana, uscita dal nulla, attacca una nave terrestre distruggendola, per poi scomparire. Venticinque anni dopo la nave riappare attaccando il pianeta Vulcano. Ad affrontarla arriva l’Enterprise, con a bordo anche uno scapestrato cadetto, James Kirk, figlio del comandante della nave distrutta…
Fino a poco tempo fa, pareva certo che di Star Trek non si sarebbe più sentito parlare. Dopo quarantacinque anni, cinque serie televisive e dieci film, di qualità declinante fino all’imbarazzo, si poteva tranquillamente pensare il potenziale dell’universo trekkie fosse definitivamente esaurito. Invece J. J. Abrams (la mente dietro alla serie televisiva Lost, se qualcuno non lo conoscesse) ha compiuto un piccolo miracolo, grazie a un’idea forse persino scontata, ma riuscitissima: un paradosso temporale. Nel corso del film veniamo infatti a scoprire che, a causa di un viaggio nel tempo, la storia è stata cambiata. Possiamo quindi goderci il meglio di entrambi i mondi: da un lato i personaggi sono gli stessi che amiamo da oltre quarant’anni, con i loro tic, i loro modi di dire e di fare, e anche numerosi elementi della loro storia. Dall’altro però le loro vite sono state differenti da quelle che conosciamo, e quindi possono essere diversi quel tanto che basta da poterli aggiornare senza ledere la continuità storica e logica della serie. Così vediamo i membri dell’equipaggio dell’Enterprise amare e fare sesso, in modi che prima avevamo potuto solo intuire. Vediamo i loro caratteri estremizzati, e li vediamo immersi in un atmosfera fa film d’azione del XXI secolo che con il vecchio Star Trek ha poco a che vedere. Il risultato è essenzialmente un film divertente, che manda in brodo di giuggiole il trekkie veterano che ritrova i suoi beniamini aggiornati al Duemila, ma che risulta digeribile anche a chi della saga conosce ben poco. Il che non signficica che il film sia privo di difetti. In particolare il cattivo di turno è del tutto monodimensionale, e le sue semplicistiche motivazioni mal si accordano con le sue azioni arzigogolate e sproporzionate. Ma, in fin dei conti, anche molti episodi passati della saga avevano difetti del genere, e non ci avevano impedito di goderceli. Rispetto al film d’azione medio, questo Star Trek risulta molto curato, con un buon equilibrio tra scene d’azione e cura dei personaggi, e soprattutto con alcuni tocchi umoristici che gli impediscono di risultare troppo pesante. Giudizio positivo, quindi, e speriamo che negli inevitabili seguiti la qualità venga mantenuta. Certo, se poi ogni tanto uscisse un film di fantascienza veramente innovativo, invece che basato su una serie del secolo scorso…

Teatro: Il principe della gioventù

Gioventù
Non capita tutti i giorni di poter presenziare alla prima mondiale di qualcosa. Perciò, avutane l’occasione, anche se opera e musical non sono proprio il mio genere, sono andato a vedere Il principe della gioventù, opera-musical di Riz Ortolani. Ero molto ben disposto, anche perché Ortolani è autore di colonne sonore di sceneggiati RAI che hanno segnato la mia infanzia, come per esempio Ritratto di Donna Velata. Tuttavia vi anticipo subito che le mie aspettative sono andate totalmente deluse.
Il tema ispiratore dello spettacolo è la Congiura dei Pazzi. Si tratta di un episodio storico talmente carico di eventi drammatici e di situazioni romanzesche che sembra proprio ideale per tirarne fuori un gran bel melodramma. Purtroppo il libretto (scritto dallo stesso Ortolani insieme a Ugo Chiti) si occupa di tutt’altro. Alle motivazioni politiche della congiura, infatti, sono dedicate giusto un paio di scene, che servono essenzialmente a mettere in chiaro che i Medici sono i Buoni, saggi e preoccupati del bene della città, mentre i Pazzi sono i Cattivi, rosi dall’invidia e dediti solo al proprio interesse. Praticamente tutto il resto dell’opera, ahimè, è dedicato all’amore segreto tra Giuliano de’Medici e Fioretta. E fosse almeno una storia d’amore interessante! Ma no, i più vieti stereotipi, e testi che fanno sembrare sofisticata persino una canzone dei Ricchi e Poveri ("Adesso tu , soltanto tu, puoi farmi volare, attraversare il mare. Come mai ora hai cambiato la mia vita? Amore grande, amore forte, immenso, assurdo amore. Questo siamo noi. Io e te. Come mai hai scelto me?")! Quando poi si esce dalla storia d’amore, il tutto ha pochissima coesione, e i vari episodi sembrano buttati lì a caso senza creare tensione o fare progredire una trama. Gli unici movimenti un po’ vivaci sono quelli in cui Franceschino de’Pazzi proclama il suo odio per i Medici: qui sì si percepisce un po’ di pathos (e, guarda caso, sono i momenti migliori anche musicalmente). Però non basta a salvare dalla noia.
Con un libretto così privo di contenuti, è difficile giudicare le musiche. Si rticonosce la grande professionalità di Ortolani ma, a parte il summenzionato tema di Franceschino, gli altri temi non colpiscono particolarmente, anche perché arrangiati in modo privo di rischi. (Non giova il fatto che gli strumenti siano registrati, e non suonati dal vivo). Scenografie e costumi sono gradevoli e funzionali, ma anch’essi non particolarmente originali. La regia, poi, appare statica, e le rare scene d’azione mi sono sembrate confusionarie e poco efficaci.
Insomma, mi aspettavo uno spettacolo grandioso, ma in realtà Il principe della gioventù è soprattutto un contenitore per canzoni romantiche che, a parte le bellissime voci degli interpreti, sfigurerebbero anche a Sanremo. Ciò che mi intristisce di più è che, a leggere le recensioni osannanti apaprse in giro, questo sarebbe uno spettacolo ricchissimo di contenuti. Forse oggigiorno basta chiamare due personaggi Pico della Mirandola e Luigi Pulci per poter dire di aver evocato in scena il Rinascimento italiano, anche se i due si limitano a pronunciare qualche battuta insulsa. A mio avviso, però, questa è un’occasione perduta.

FIlm: Come Dio comanda

Dal romanzo di Niccolò Ammaniti. Rino Zena è un operaio disoccupato, seguace di una mistica nazista e violenta, ma a modo suo integerrimo, che si prende cura, oltre che del proprio figlio tredicenne Cristiano, anche di un povero ritardato, soprannominato Quattro Formaggi. Rino vive nel terrore che gli assistenti sociali gli possano portare via Cristiano. Durante una notte di tempesta, una serie di eventi drammatici cambierà la vita dei tre personaggi…
Gabriele Salvatores aveva già trasportato sullos chermo con successo un altro romanzo di Ammaniti, Io non ho paura. Ma lì l’impresa era facile, dato che il libro era breve e seguiva un’unica vicenda, e sembrava fatto apposta per finire sullo schermo. Un libro come Come Dio comanda, lungo intricato e pieno di deviazioni, presenta ben altre difficoltà. Era inevitabile "asciugare" la storia eliminando dei personaggi, e probabilmente Salvatores ha fatto l’unica scelta possibile eliminando dalla trama Danilo e tutta la storia della rapina che lui e Rino nel romanzo tentano disastrosamente di organizzare. E tuttavia non si può fare a meno di notare che, riducendo in questo modo la storia, buona parte del contenuto del libro va perduta. Il ritratto spietato del Nordest in cui sono solo i soldi che contano viene affidato solo alla discutibile retorica nazista di Rino. E anche il tema principale evocato dal titolo, che è quiello per cui tutti i personaggi chiamano continuamente in causa un Dio sfuggente (ma reso presente dalla colossale tempesta), risulta parecchio indebolito. Alla fine tutto il romanzo risulta ridotto a un rapporto tormentato ma solido tra padre e figlio. E ci si chiede: possibile che il cinema italiano debba ridurre qualunque tema a una questione di rapporti familiari?
Per il resto, che Salvatores sia un regista tecnicamente dotato non èin discussione, e infatti il film ha un ottimo casting, delle location perfette, sonoro e fotografia di qualità (splendide le scene notturne sotto la pioggia), suspence da vendere. Un buon prodotto, insomma, cui manca però la scintilla che ne farebbe veramente un film d’autore.

Libro: Guida Galattica dei Gourmet

GGGQuesta, più che una recensione, è una segnalazione: non sarebbe infatti corretto recensire un libro di cui sono tra gli autori. In effetti un mio raccontio, Missione diplomatica, appare tra le sue pagine.
L’occasione per l’uscita dell’antologia è stato il decennalle di Memorie di un cuoco d’astronave di Massimo Mongai. Ricordo che all’epoca il libro non mi entusiasmò: mi parve sì, divertente, simpatico, piacevole, ma anche di un umorismo un po’ troppo semplice, scontato, per meritare il premio Urania. Col senno di poi, però, devo correggere il mio giudizio, perché Mongai è indubbiamente riuscito a creare un personaggio in grado di rimanere nella testa della gente, una specie di archetipo come il capitano Kirk, in grado di veicolare i contenuti più vari. E in effetti la cosa più divertente di questa raccolta di racconti è vedere come il personaggio del cuoco spaziale Rudy Turturro sia stato preso in mano da ben 19 autori rimanendo sempre essenzialmente se stesso, nonostante la grande varietà di stili e di situazioni.
Forse il mio giudizio è distorto dal fatot di essere stato tra i prescelti, ma devo lodare l’opera dei curatori, che sono riusciti a mettere insieme un gran numero di racconti, alcuni buoni (il mio preferito è quello di Francesco Grasso) altri un po’ meno, ma senza i terribili sbalzi di qualità che si trovano spesso in opere di questo genere.
Il libro sembra distribuito molto bene (perlomeno, a Mlano si trova ovunque), se qualcuno dovesse acquistarlo e leggere il mio racconto mi faccia sapere il suo giudizio.