Grazie alla moderna tecnologia delle reti, prenotare un biglietto ferroviario è un'operazione che si può compiere ovunque

Ore 2.00, a casa mia, tentando di prenotare un biglietto del treno via Internet
PC: Non è stato possibile effettuare il pagamento. Riprovi più tardi.
Io: Strano, forse è in manutenzione. Riproverò domani.

Ore 8.30, sempre a casa mia
PC: Non è stato possibile effettuare il pagamento. Riprovi più tardi.
Io: Ma che kazz… Non è possibile. Ora riprovo.

Ore 8.35, sempre a casa mia
PC: La prenotazione è stata effettuata. Le ricordiamo che entro le 12.00 di oggi deve confermarla presso un Bancomat Unicredit, una ricevitoria SISAL o una biglietteria automatica FS.
Io: Eh?! Ma siamo matti?! Cosa prenoto a fare su Internet se poi mi fate andare in stazione?!?! Pork! È tardissimo! Corro in ufficio, vedremo da lì…

Ore 9.30, in ufficio
Io: Sarà meglio telefonare al Servizio Clienti Trenitalia.
Cellulare: Credito insufficiente per accedere al servizio.
Io: [censura]

Ore 9.40, in ufficio
Io: Per fortuna che ho l’home banking. Ora ricarico il cellulare da qui.
PC: La ricarica potrebbe non essere stata effettuata. Attendere 24 ore e verificare con il provider.
Cellulare: (rimane in eloquente silenzio)
Io:

Ore 9.50, in ufficio
Io: È un’emergenza, userò il telefono fisso.
Centralino automatico: Per l’orario dei treni premere 1, per modifica prenotazione premere 2…
Io: [beep]
Centralino automatico: (squilla due volte, poi cade la linea)

Ore 9.51, in ufficio
Centralino automatico: Per l’orario dei treni premere 1, per modifica prenotazione premere 2…
Io: [beep]
Centralino automatico: (squilla due volte, poi cade la linea)

Ore 9.52, in ufficio
Centralino automatico: Per l’orario dei treni premere 1, per modifica prenotazione premere 2…
Io: (beep)
Centralino automatico: (squilla due volte, poi cade la linea)
Io: [censura]

Ore 10.00, in ufficio
Centralino automatico: Per l’orario dei treni premere 1, per modifica prenotazione premere 2…
Io: (beep)
Operatore telefonico: In cosa posso esserle utile?
Io: Ho prenotato on-line e mi chiede di andare in stazione a confermare!
Operatore telefonico: Ma lei ha scelto PostoClick?
Io: No, ho scelto Ticketless. Ho pure controllato.
Operatore telefonico: Impossibile. Altrimenti le avrebbe chiesto la carta di credito.
Io: Infatti mi ha chiesto la carta di credito!!!
Operatore telefonico: Controlliamo. Qual è la sua user id?
[seguono dieci minuti di penosa navigazione web assistita]
Operatore telefonico: Vede, aveva scelto PostoClick!
Io: Non l’avevo scelto! E comunque, ora come faccio a pagare?
Operatore telefonico: È molto semplice: vada in Area Clienti, poi faccia clic su “Gestire le tue prenotazioni con PostoClick”, e selezioni il pagamento online.
Io: È vero, funziona! Grazie mille [riappendo]
PC: Non è stato possibile effettuare il pagamento. Riprovi più tardi.

Ore 10.30, agenzia viaggi di Via DeAmicis
Impiegata: Mi spiace, qui non facciamo biglietti ferroviari nazionali.
Io: Maledizione, devo rientrare in ufficio! Riproverò altrove durante la pausa pranzo.

Ore 10.35, banca di via Olona
Io: Già che sono uscito, perlomeno provo a fare una ricarica dal Bancomat per rimettere in funzione il cellulare…
Bancomat: L’operazione non è stata effettuata per cause tecniche.

Ore 13.30, agenzia viaggi di Via Ariberto
Io: Fate biglietti ferroviari qui?
Impiegato: Certo, purché non deva partire subito.
Io: In che senso?
Impiegato: Si è rotta la stampante. Non posso stampare i biglietti. Lei quando parte?
Io: Domani, maledizione!
Impiegato: Allora niente da fare. Perché non prova da Coin, più avanti?

Ore 13.40, Coin di corso Colombo
Cartello: FUORI SERVIZIO – Ci scusiamo per il disagio
Io: Come sarebbe?
Commessa: Mi spiace, non funziona la nostra connessione.
Io: AAAAAAArrgh!
Commessa: Non faccia così, perché non prova qui in stazione a Porta Genova?

Ore 14.05, già in orario di lavoro, dopo venti minuti di coda.
Ferroviere: I posti ci sono.
Io: Ottimo! Ecco il mio Bancomat!
Ferroviere: Mi spiace, la transizione è stata rifiutata.
Io: [dopo attimi di sbigottito silenzio] Posso pagare con carta di credito, purché non sia necessario il codice perché non lo ricordo, non lo uso mai…
Ferroviere: Non dovrebbe essere necessario. [pausa]
Pare sia necessario.
Io: [Lo fisso con aria eloquente. Il mondo trattiene il respiro]
Ferroviere: Aspetti, ho un’idea…

[Per farla breve, il ferroviere ha pensato di farmi usare il Bancomat come carta di credito, e ha funzionato. Per coloro che possono aver pensato che io intenda fare concorrenza a Personalità Confusa, sappiate che è tutto vero, parola per parola. Successo venerdì.]

No representation without taxation

Le recenti rivelazioni su brogli praticati in Oceania nel corso delle ultime elezioni politiche non fanno che confermare l’opinione che ho sempre avuto riguardo al voto degli italiani all’estero: si tratta di una legge insensata, che non avrebbe dovuto essere approvata e che andrebbe abrogata subito (nonostante abbia il merito, se così lo si può chiamare, di aver procurato al centrosinistra la sua risicatissima maggioranza in Senato).
Il fatto è che la questione del voto degli italiani all’estero riunisce due questioni totalmente diverse e separate. La prima è quella di permettere agli italiani che temporaneamente si trovano lontano dal loro seggio di poter votare ugualmente. La seconda è quella di dare il voto anche agli italiani che risiedono stabilmente all’estero, e pertanto non sono iscritti ad alcun seggio italiano.
Il primo problema mi pare abbastanza facilmente risolvibile (in molte nazioni il voto dall’estero, per posta o nei consolati, è una pratica consolidata) e decisamente importante. Ma la legge sul voto degli italiani all’estero non se ne occupa affatto. Tuttora, se sei in vacanza, sei uno studente Erasmus, o comunque ti trovi all’estero temporaneamente, non hai la possibilità di esercitare il tuo diritto di voto.
In compenso, la legge ha dato la possibilità di votare a centinaia di migliaia di italiani che risiedono stabilmente all’estero. La cosa è stata presentata come una grande conquista di civiltà non solo dai promotori della legge come Mirko Tremaglia, ma anche da esponenti di sinistra come Furio Colombo. Eppure, a me sembra palesemente un nonsenso. In pratica è stato concesso un diritto a persone che non hanno alcun dovere nei nostri confronti. Gli italiani all’estero non sono soggetti alle leggi italiane e non pagano le tasse in Italia; sono quindi dei soggetti totalmente irresponsabili, che possono prendere parte al processo decisionale senza subirne le conseguenze. Per fare un paragone, immaginate che una legge stabilisca che, nei condomini, 100 millesimi vadano assegnati agli ex inquilini dello stabile, che non abitano più lì, non contribuiscono alle spese, ma possono influenzare le decisioni dell’assemblea. Vi sembrerebbe logico?
Per giunta, la legge implica che ci siano candidati in collegi esteri che tengono la loro campagna elettorale all’estero, fuori dal territorio italiano. Il che implica sia l’impossibilità di far rispettare le norme, sia anche solo di garantire che la campagna elettorale si possa tenere (non è solo un’ipotesi: già il Canada ha espressamente vietato che si possa votare per elezioni straniere all’interno del suo territorio).
Le conseguenze sono evidenti: disparità di trattamento per i cittadini a seconda del luogo in cui risiedono, facilità di brogli,tutto per eleggere dei parlamentari che, non avendo particolari responsabilità verso i loro elettori, possono prestarsi come manovalanza per manovre politiche (Pallaro docet). Approvare queste legge è stato un errore che andrebbe corretto. Ma ormai gli italiani all’estero hanno i loro rappresentanti in Parlamento, sufficientemente numerosi e corteggiati da rendere pressoché certo che la legge rimarrà in vigore per sempre. Un’altra di quelle entità inutili e dannose che si sostentano a danno del Paese, mostri che l’eterno sonno dell’Italia partorisce a getto continuo.

Sostegno morale

GianoVeltroniWalter Weltroni ha dichiarato che, pur essendo totalmente a favore del referendum sulla legge elettorale, non lo firmerà, in quanto candidato alla guida di un partito nel quale "convivono idee diverse". Un bizantinismo degno del peggior doroteo: logica vorrebbe che chi si candida a una carica sostenesse con convinzione le sue posizioni, e non le annacquasse per un malinteso rispetto per le posizioni opposte.
Purtroppo, immagino che questa sia un’anteprima di quello che dobbiamo aspettarci dal futuro PD: un’entusiastica adesione ai principi della laicità e della sinistra… a parole. Perché poi, nella pratica, c’è chi ha idee diverse.

Libro: Confine di Stato

Il libro narra, nascondendoli sotto trasparenti pseudonimi, vari eventi celebri della storia italiana tra gli anni ’50 e i ‘70: il caso Montesi, la morte di Enrico Mattei, l’attentato di piazza Fontana, la morte di Giangiacomo Feltrinelli, unendoli in un’unica trama, il cui filo conduttore è la figura di Andrea Sterling, un uomo violento, malvagio e dal passato oscuro, sempre in prima fila nelle trame occulte del nostro paese.

Questo libro di Simone Sarasso, apparso un anno fa per i tipi della piccola casa editrice Effequ, è stato poi rieditato da Marsilio per una distribuzione in grande stile, preceduto da osannanti recensioni. Mi aspettavo quindi un’opera importante, specie dato l’argomento affrontato. E invece quasi non so dove cominciare con le critiche, visto che di questo libro non salverei nulla, tranne forse la copertina.
Cominciamo col dire che l’autore compie una scelta ambigua riguardo al rapporto tra la narrazione e la realtà dei fatti. Molti dei personaggi principali hanno nomi di fantasia (per giunta a volte rubati ad altri contesti; per esempio l’equivalente di Mino Pecorelli si chiama Maurizio Merli, come l’attore), ma in loro sono riconoscibilissimi in ogni dettaglio personaggi veri, e sono mescolati a personaggi storici e ad altri totalmente inventati. Alcuni eventi rispettano scrupolosamente la storia, altri sono di fantasia. Il risultato è un miscuglio in cui non si riesce a separare la realtà dall’invenzione, e che non ha né l’autonomia di una narrazione che prende ispirazione dalla realtà ma se ne mantiene separata, né il rigore di un’opera che pretenda di raccontare fatti realmente accaduti. Contribuisce ad aumentare la confusione una serie di anacronismi e incongruenze. Si va dai piccoli dettagli (un display numerico a LED sulla bomba di piazza Fontana, in anticipo di almeno un decennio; un blindato Defender nello stesso periodo, più di vent’anni prima che i primi esemplari uscissero dalla fabbrica; una inesistente piazza Vittorio in centro a Milano) a grosse incongruenze come un gruppo di psichiatri con atteggiamenti “basagliani” nel 1947, a mio avviso del tutto al di fuori del loro tempo. Insomma, pur prendendo atto che l’autore si è sforzato di ricostruire atmosfere d’epoca, i risultati non sono adeguati.
Al di là di questo, quello che proprio non mi è andato giù in Confine di Stato è il suo protagonista assoluto, Andrea Sterling. La sua storia è nel contempo vaga e totalmente inverosimile. Rinchiuso in manicomio all’età di 8 anni per motivi imprecisati, non solo diventa adulto senza alcun ritardo mentale, ma riesce a ingannare gli psichiatri, che lo mettono in libertà ignari delle sue manie violente. Dopodiché va avanti commettendo efferatezze varie che rimangono inspiegabilmente impunite. Entra tranquillamente in Polizia, dalla quale poi, trasformato in una vera macchina per uccidere, passa ai servizi segreti deviati e a Stay Behind. Animato da un odio mortale nei confronti dei “rossi”, invincibile come Diabolik, è motivato unicamente dal piacere di uccidere. Ecco, l’ho scritto e non mi capacito. Questo personaggio, che sembrerebbe raffazzonato ed eccessivo anche in un fumetto di supereroi di serie B, dovrebbe secondo l’autore dirci qualcosa delle trame politico-terroristiche che hanno insanguinato l’Italia.
Confine di Stato non ha neppure alcunché di nuovo da dire sugli eventi di cui narra. Si limita a introdurre una buona dose di truculenze inverosimili all’interno di un contesto storico ampiamente noto, senza proporre teorie originali di una qualche plausibilità. Dal punto di vista sociologico non andiamo meglio. Tutta l’attenzione viene dedicata a questo “cattivo” bidimensionale e ai suoi accoliti. I mandanti rimangono nell’ombra, gli altri personaggi non sono che macchiette stereotipate. Per giunta la narrazione è frammentaria e inconcludente, con inutili intermezzi a base di droga o sesso violento.
In definitiva, non riesco a immaginare alcuna chiave di lettura che consenta di apprezzare questo romanzo. Tra l’altro, questa insistenza sulle imprese di Sterling, sempre coronate da successo, mentre tutti gli altri personaggi appaiono come imbelli, succubi, velleitari o al massimo figure tragiche, comunque destinate senza scampo alla morte, hanno il paradossale effetto di esaltare la figura del criminale. Non credo che questa fosse l’intenzione dell’autore, ma nel valutare un’opera bisogna guardare ai risultati.

Aggiungo un’ultima annotazione. Confine di Stato mi ha ricordato parecchio Nel nome di Ishmael, il romanzo di Giuseppe Genna uscito qualche anno fa ed esaltato da molti come un capolavoro (del resto lo stesso Sarasso, nei ringraziamenti, cita esplicitamente Genna come ispiratore). Anche Ishmael mi piacque pochissimo, e per difetti molto simili a quelli del romanzo di Sarasso: imprecisione nella ricostruzione storica, inverosimiglianze e, soprattutto, l’attribuire i mali dell’Italia a una sorta di invincibile incarnazione del Male metafisico: un punto di vista che non spiega nulla e che non può servire come punto di partenza per alcun discorso serio sui problemi del nostro Paese. La cosa che più mi lascia perplesso è che sia Sarasso, sia Genna si proclamano grandi ammiratori di James Ellroy. Ma hanno mai letto American Tabloid?! In quel grande romanzo le motivazioni dell’assassinio di Kennedy emergono con estrema chiarezza come il prodotto di un’intera società, con tutto il suo carico di contraddizioni, tensioni e delusioni. È un libro che parla più di un manuale di storia, senza scomodare onnipotenti internazionali destrorso-pedofile o assassini invincibili partoriti dal manicomio. Il problema è che in Italia basta dichiarare di essere il nuovo Ellroy, o il nuovo DeLillo, e si viene subito creduti, a prescindere da quello che effettivamente si scrive.

Film anteprima: Hot Fuzz

Visto che ultimamente ho la fortuna di assistere per lavoro ad anteprime cinematografiche, ne rendo paretecipi anche i lettori di questo blog. Cominciamo con Hot Fuzz.

Nick Angel è il poliziotto perfetto. È un ottimo investigatore, e ha effettuato più arresti di chiunque. Conosce alla perfezione il regolamento e lo applica alla lettera. Per giunta è onesto e, pir esendo abilissimo nell’uso delle armi,ne ha un sincero orrore. Tutto questo è sufficiente a far sì che nessuno dei suoi colleghi lo possa sopportare, e all’unanimità decidono di farlo trasferire in un minuscolo borgo, dove non succede mai nulla, tutti sono felici e la principale aspirazione dei cittatidini è vedere eletto il proprio paese come luogo più accogliente d’Ingilterra. L’adattamento di Nick alle abitudini locali sarà difficile, e lo diventerà ancor di più quando il borgo si riempirà di cadaveri provocati da "incidenti" sospetti. È davvero Nick a vedere assassini dove non ci sono, o c’è sotto qualcosa di poco chiaro?

Hot Fuzz è il frutto della stessa collaborazione che ha già prodotto Shaun of the Dead (in Italia La Notte dei Morti Dementi, uscito solo in home video e passato del tutto inosservato, nonostante fosse un film divertente e originale): l’attore e sceneggiatore Simon Pegg e il regista Edgar Wright. Lo stile della pellicola può ricordare quello dei primi film di Guy Ritchie (cioè Lock & Stock e The Snatch, girati prima che il regista inglese vedesse la Madonna e ne risultasse artisticamente azzerato). In effetti alcuni stilemi (le scene di raccordo con montaggio ipercinetico, la sceneggiatura contorta e "a orologeria", la riproposizione debitamente anglicizzata di situazioni classiche dell’action movie americano) sono esattamente gli stessi. Tuttavia, dove Ritchie si limitava a riproporre con ironia il modello americano calandolo nella società inglese, Pegg e Wright fanno un passo oltre, giocando con estrema consapevolezza con il rapporto fra il cinema e realtà. Tutto il film narra del modo in cui Nick cerca di scrollarsi di dosso l’immagine "cinematografica" che gli è stata appiccicata addosso, e di come alla fine la forza del cinema sia maggiore di quella della realtà, imponendosi su di lui e costringendolo a interpretare fino in fondo il ruolo cui è destinato, in un’esilarante serie di rivolgimenti. Il film è una fucina dirimandi e di citazioni (per gli amici della fantascienza: c’è anche un personaggio che legge continuamente romanzi di Iain Banks), ma può essere goduto da ogni tipo di pubblico, grazie a tempi comici perfetti e a una sceneggiatura che dosa sapientemente umorismo di pura marca inglese in una storia che non risparmia truculenze e colpi di scena degni di un autentico thriller ultraviolento. Splendido il cast, con un protagonista che riesce a mantenere l’aria di serietà del suo personaggio anche nelle situazioni più impossibili, e una serie di caratteristi celeberrimi (tra cui Timothy Dalton, Jim Broadbent, Bill Nighy). Insomma, credo che si sia capito, il film mi è piaciuto parecchio. Ormai è raro divertirsi così al cinema, e ancora di più farlo con una commedia assolutamente originale e registicamente molto interessante. L’unico appunto che le si può fare è di durare troppo: due ore piene sono eccessive per una commedia, e i sottofinali sono in numero eccessivo. Comunque sia, non perdetevelo: esce in agosto, periodo depressivo per qualsiasi cinefilo, ma con questo vi tirerete su.

Alcune lezioni sul mondo del lavoro

La casa editrice per cui lavoravo fino a qualche anno fa, la VNU Business Publications Italia, è stata ceduta a un fondo di investimenti che ne ha trattenuto le parti più pregiate e ne ha svenduto il resto a spezzatino. È da notare che l’azienda non andava, di per sé, particolarmente male; la svendita è stata fatta a livello europeo, in quanto la holding olandese ha deciso di sbarazzarsi dell’intero settore editoria.
Prima lezione:
Ormai la sicurezza del posto non esiste più nemmeno in senso relativo. Anche se lavori benissimo e la tua azienda va alla grande, può capitarti di perdere il posto anche solo perché hai avuto la sfortuna di essere usato come pedina di un gioco che ti è totalmente estraneo.

Buona parte delle testate appartenenti all’azienda sono state cedute con relativa facilità. Fanno eccezione le riviste dell’area informatica. Queste sono le uniche ad avere ampie redazioni (in tutto una decina di giornalisti professionisti) e ad uscire in edicola invece che essere distribuite in abbonamento. Sarebbero quindi, in teoria, il fiore all’occhiello dell’azienda. Invece sono rimaste per mesi senza acquirenti.
Seconda lezione: Nel mondo del lavoro odierno, l’esperienza e la professionalità sono un peso. Gli imprenditori preferiscono avere a che fare con manodopera facilmente sostituibile e manipolabile a piacimento. Tanto più sei qualificato, tanto più è difficile trovare qualcuno che ti voglia. 

Alla fine le testate dell’area informatica sono state cedute a un gruppo editoriale molto piccolo, con nessuna esperienza del settore, la cui capacità di garantire un futuro alle riviste viene apertamente messa in dubbio. Questo implica in primo luogo un trasferimento quasi immediato da Cinisello Balsamo a Binasco, cioè esattamente dal lato opposto rispetto a Milano. E, in secondo luogo, dà scarsissime prospettive per i miei ex-colleghi di poter continuare a svolgere il loro lavoro in maniera dignitosa.
Terza lezione:
Ormai certe tecniche “sporche” per evitare di pagare il dovuto sono diventate di uso comune. Non riceverai mai la tua buonuscita, verrai invece spedito a lavorare in un postaccio sperando che tu ti tolga di mezzo da solo.

I miei ex-colleghi (nella foto) sono in agitazione per opporsi a questa situazione. Non posso fare molto per loro, oltre a denunciare qui quello che gli sta capitando.

Notizie vuote

Milano violentaIn questi giorni quasi tutti i giornali hanno titolato riprendendo una conferenza stampa del Viminale, dicendo che un italiano su quattro non si sente al sicuro dalla criminalità. Sottointendendo che si tratta di un fatto grave.
È evidente che in un mondo perfetto il 100% dei cittadini si sentirebbe al sicuro. tuttavia, visto che evidentemente non viviamo in un mondo perfetto, mi chiedo: è un dato grave? Si potrebbe interpretarlo in modo opposto, dicendo che ben tre cittadini su quattro si sentono al sicuro. Soprattutto, manca qualunque termine di confronto. Quandi cittadini si sentivano al sicuro negli anni ’50, ’70, ’90, l’anno scorso? Quanti cittadini si sentono al sicuro in Francia, o negli Stati Uniti? Ovviamente nessuno si è preso la briga di cercare questi dati e fornirli. Perlomeno che io sappia.Io, nel mio piccolo, sono andato a spulciarmi il rapporto originale del Viminale. Ovviamente non l’ho letto tutto: sono 450 pagine! Però, a giudicare dall’indice, solo tre pagine sono dedicate alla paura di subire reati in Italia. Quanto ai dati, c’è soltanto una tabella, dalla quale si evince che, al netto di variazioni locali, tale paura è rimasta sostanzialmente invariata negli ultimi 15 anni. E allora?

Una macchia sulla mia reputazione

MacchianeraDa oggi sono tra i collaboratori del blog Macchianera.
Il mio primo post ricalca nei contenuti quello che avete potuto leggere qui qualche giorno fa.
Ovviamente continuerò a scivere qui tutto quello che mi passa per la testa. Laggiù scriverò soltanto le cose che mi interessa abbiano un alta visibilità, e le riscriverò comunque in copia qui.
Anche perché non sempre avrò voglia di affrontare la feroce arena dei commentatori di Macchianera.

Scusate l'interruzione…

…ma da un paio di giorni sono impossibilitato ad aggiornare il blog e rispondere ai commenti in quanto mi trovo all’estero per lavoro. Per la precisione mi trovo a Benidorm in Spagna, dove ho dovuto assistere a ben otto presentazioni Epson nello stesso giorno. Nella foto, potete constatare voi stessi quanto questo mi abbia estenuato.

BenidormMa non abbiate paura, tornerò al più presto al blog: ho già in mente vari post arretrati.