Colpo di scena!

Gente, vi ricordate che qualche giorno fa vi avevo descritto la fastidiosa quantità di documenti che avrei dovuto ottenere da parenti fisicamente lontani per poter accedere alla possibilità (peraltro puramente teorica, data la scarsità di spazi) di parcheggiare sotto casa senza rischiare la multa?
Ebbene, una volta provveduto a raccogliere i documenti durante le feste natalizie, qualche giorno fa ho finalmente trovato il tempo di recarmi all’anagrafe per consegnare la mia domanda con relativi allegati. Dopo avere allegramente affrontato una coda di 150 persone (non vi dico quanto ci ho messo), consegno il pacco di fogli all’impiegata. Lei mi guarda un po’ perlessa, e chiede: "Quale di queste persone è il proprietario dell’auto?" "Siamo tutti, proprietari," rispondo io, "me compreso." Lei mi guarda come se fossi un demente, poi dice "Ma chi le ha detto di portare questa roba. Non serviva".
Mancavano solo le risate registrate in sottofondo.

Prog e dintorni

Vi segnalo che questa sera a Trescore Balneario (BG) comincia la rassegna di rock progressivo Prog & dintorni. Il programma sembra fatto bene, un bel mix di italiano ed estero, di vecchie glorie e nomi emergenti, di musica accessibile e complessa. Io stasera ci sarò, soprattutto perché suonano gli amici Ubi Maior, che vi consiglio caldamente (ma anche Riccardo Zappa lo ascolto molto volentieri). Spero di poter sentire altri brani del futuro nuovo album degli Ubi Maior dedicato agli Eterni di Neil Gaiman.
Se qualcuno dei frequentatori di qusto blog ci sarà, fatevi sentire!

Sistema di trasporto (dis)integrato


Sabato scorso sono dovuto andare a Porto Ceresio in treno, per recuperare l’auto che mi ha lasciato in panne laggiù. Ho così potuto sperimentare le gioie del sistema di trasporto integrato della Lombardia.
Cominciamo col dire che l’integrazione del sistema si ferma già al momento di consultare l’orario. Infatti per andare a Porto Ceresio si passa per Varese, e per andare da Milano a Varese si può partire da Centrale, da Garibaldi, da Cadorna (con le Ferrovie Nord) o da una delle stazioni del Passante Ferroviario, però non esiste una pagina web che ti dica da dove conviene partire: bisogna fare quattro ricerche diverse e metterle a confronto.
Ho deciso di partire dal Passante Ferroviario, stazione Garibaldi, e ci sono arrivato col metrò. Il problema è che all’ingresso della stazione del Passante c’è un’unica emettitrice di biglietti. Fuori servizio.
Alla ricerca di un’altra emettitrice, ho percorso a piedi tutta la vasta area del mezzanino (il Passante Ferroviario di Milano, infatti, ha dei mezzanini vasti come campi di calcio e dai soffitti altissimi che non servono assolutamente a nulla, se non a far sentire piccolo e insignificante il viaggiatore), senza risultato. Mancava una decina di minuti alla partenza del treno. Sono corso di sopra, verso la stazione ferroviaria Porta Garibaldi. Qui ho potuto constatare che nei sotterranei c’era un discreto numero di emettitrici di biglietti. Tutte fuori servizio, nessuna esclusa. Sono stato costretto a fare il biglietto alla biglietteria FS, e meno male che ero arrivato con sufficiente anticipo. Nel frattempo, gli altoparlanti della stazione mi dicevano che il treno per Varese era in partenza dal binario 16. Possibile? Avevo forse consultato male gli orari? No, ho scoperto poi: c’erano due treni per Varese, che partivano a soli 4 minuti l’uno dall’altro, uno in superficie, l’altro sotterraneo.
Ho deciso di mantenere il piano originale, e sono tornato sottoterra, alla stazione del Passante. Qui mi sono reso conto di nona vere obliterato il biglietto. Cerco una macchina obliteratrice. Avete indovinato? Ovvio: non ce ne sono. Per obliterare bisogna tornare di sopra…

Tutto questo mi ha fatto tornare in mente un’esperienza fatta a Parigi ormai molti anni fa. Volevo visitare il castello di Vincennes, e ci andai col metrò. Ma la stazione di Vincennes era chiusa per lavori, perciò i treni si fermavano prima. Allo stop del treno, trovai sul marciapiede una mezza dozzina di ragazze (pure carine!) in uniforme da tranviere. Ognuna reggeva un gran diagramma della rete di trasporti parigini. Si sparsero tra i passeggeri e, in più lingue, si assicurarono che non ci fosse nemmeno un turista che ignorasse il percorso alternativo per raggiungere Vincennes.
Il confronto, più che impietoso, è improponibile…

Auguri!

Avvento
Per questo Natale avevo fatto dei grandi progetti: continuare ad aggiornare il blog anche nel periodo natalizio. Ovviamente ho miseramente fallito, e non sono neppure riuscito a fare gli auguri di Natale in tempo. Rimedio con questa veduta bolzanina: la facciata di una banca trasformata in originale calendario dell’Avvento. Spero che abbiate passato un buon Natale, io sì.

Quiz amministrativo

In questi giorni ho dovuto fare richiesta del permesso di parcheggiare la mia auto nelle zone riservate ai residenti. Il problema è che il veicolo non è solo mio, ma risulta appartenente anche a mia madre e mia sorella (lo so, pessima scelta, ma ormai le cose stanno così, fare il passaggio di proprietà costerebbe altri soldi). Bisogna sapere che mia madre vive a Bolzano, e mia sorella a Bologna, quindi non sono facilmente reperibili per firmare documenti.
Sono andato all’anagrafe per chiedere cosa devo fare per ottenere il permesso, visto che l’auto la uso io. Indovinate cosa mi hanno risposto, scegliendo tra queste due possibilità:

  • Visto che sia mia madre, sia mia sorella non sono residenti, è sufficiente richiedere il permesso per me: visto che gli archivi dell’anagrafe sono computerizzati, è semplice e facile verificare che gli altri proprietari dell’auto non hanno diritto al permesso e, quindi, non c’è pericolo di duplicazione.
  • Per ottenere il permesso è necessario che ciascuno degli altri proprietari del veicolo firmi un documento in cui rinuncia alla possibilità di ottenere un permesso di sosta residenti, anche se non è affao residente e, anzi, in questo momento risiede a Melbourne.

Se avete indovinato la risposta esatta, non vincete niente. Se proprio ci tenete posso darvi un po’ della mia incazzatura. Se non avete indovinato, contattatemi: ho delle quote immobiliari del Colosseo da vendervi…

Libro: La croce Honninfjord

Bjorn è l’archivista che si occupa di gestire un’antichissima raccolta di spartiti musicali che ha sede in una cittadina norvegese. Quando riceve la visita di Marie, una ragazza francese convinta di essere la figlia del musicista Honninfjord-Dervinski, Bjorn se ne innamora. Per conquistarla, si dedica interamente ad aiutarla nella sua ricerca di uno spartito che dovrebbe contenere la prova della sua discendenza dal compositore, morto in circostanze misteriose durante la Seconda Guerra Mondiale. Si troverà così invischiato in una trama che ha le sue origini ai tempi della resistenza norvegese contro i nazisti, o forse addirittura nell’Alto Medioevo agli albori della musica polifonica.
La croce Honninfjord è un romanzo decisamente complesso, che intreccia una trama ambientata nell’800 d. C:, una nel 1944 e una terza nel dopoguerra, ulteriormente spezzettata in vari linee temporali alternate. Tanto di cappello al giovanissimo autore esordiente Giovanni Montanaro per essere riuscito a gestire una materia così intricata mantenendola sotto controllo.
Al di là di questo, però, non lo considero un romanzo riuscito. Innanzitutto, una delle idee che stanno alla base del libro, quella per cui la polifonia sarebbe espressione di pluralismo e tolleranza, mentre invece la monodia corrisponderebbe a pensiero unico e dittatura, mi pare forzata. O meglio, può anche andare bene per la parte ambientata nel Medioevo, ma dubito che i nazisti, che avevano adottato un compositore moderno e dissonante come Wagner, potessero disprezzare la polifonia per motivi ideologici.
A parte questa critica di fondo, il problema principale del romanzo è che mette di gran lunga troppa carne al fuoco, risultando così difficile da digerire. Le rivelazioni si susseguono ininterrottamente, e all’ennesima scoperta per cui X è il padre di Y o l’assassino di Z il lettore cessa di stupirsi per eccesso di colpi di scena. Inoltre i toni della narrazione sono troppo variabili: a pagine molto drammatiche e a serissime dissertazioni musicali se ne alternano altre d avventura di serie B, in cui spostando una torcia in una grotta si può aprire un passaggio segreto come in Frankenstein Junior. Una maggiore semplicità e chiarezza di intenti avrebbero giovato.
In definitiva, La croce Honninfjord svela un nuovo autore con indubbie potenzialità, ma questo primo tentativo è acerbo. Lo aspettiamo al prossimo.

Film: La Bussola d'Oro

The Golden CompassLyra è una dodicenne che vive in un mondo diverso dal nostro, anche se simile, in cui ogni essere umano è accompagnato da uno spirito dall’aspetto di un animale, il daimon, dal quale non si separa mai dalla culla alla tomba. La ragazzina è sotto la protezione dell’università di Oxford, in quanto i suoi genitori, di nobile origine, sono scomparsi. Quando un’ambigua signora obbliga il rettore a darle in consegna la bambina, questi le consegna di nascosto uno strumento simile a una bussola che, se correttamente interrogato, è in grado di rispondere a qualsiasi domanda. Quando Lyra scopre che la donna è in combutta con coloro che, per scopi misteriosi, rapiscono bambini, fugge. Di lì a poco si ritroverà, insieme a una strega, a un’aeronauta e a un orso guerriero parlante, alla guida di una spedizione nell’estremo Nord volta a liberare i bambini scomparsi. Tratto dal romanzo di Philip Pulman.
Il film arriva in Italia dopo un flop negli Stati Uniti e con un aureola di recensioni negative. Sarà merito delle mie aspettative conseguentemente basse, ma in realtà il film mi è parso molto migliore del previsto. Direi che sostanzialmente il film presenta gli stessi pregi e difetti della serie di film tratta dai romanzi di Harry Potter. I pregi: una ricostruzione fedele, credibile e dettagliatissima dei luoghi e delle atmosfere del romanzo, e un casting molto azzeccato, con attori di nome anche per ruoli molto piccoli. Tutti gli interpreti dei ruoli secondari mi sono sembrati molto in parte, e anche l’esordiente protagonista Dakota Blue Richards, pur non essendo stupefacente, mi è comunque sembrata convincente (molto più di alcuni dei melensi ragazzini di Le Cronache di Narnia).
Il difetto principale del film è insito nella natura stessa dell’operazione, e cioè far rientrare in un film di meno di due ore una storia molto lunga e complicata rimanendovi fedeli. Bisogna dire che il regista e sceneggiatore Chris Weitz ha fatto uno sforzo encomiabile, simile a quello fatto da Peter Jackson per Il Signore degli Anelli, rimaneggiando la cronologia del romanzo, comprimendo pi scene insieme, ma rispettando sostanzialmente la natura del mondo e della storia originali. Devo dire che in alcuni punti Weitz ha persino migliorato la storia: enfatizzando il personaggio di Lee Scoresby, che nel romanzo è più defilato, e soprattutto rimandando la rivelazione dell’identità dei genitori di Lyra, che viene svelata non day gyziani ma da Marisa Coulter, con un’efficacia drammatica a mio avviso maggiore. Questo però non evita che il film appaia spesso in affanno nel tentativo di concentrare in pochi secondi scene che avrebbero bisogno di tempi lunghi per risultare efficaci. La sottigliezza delle relazioni tra i personaggi va perduta, e anche il realismo ne soffre, dato che Lyra sembra spesso intuire come per magia cose richiederebbero invece lunghe ricerche o spiegazioni.
Va notato che il film evita di mostrare i due eventi più drammatici del libro, cioè le morti di due bambini. E soprattutto che finisce un po’ prima del romanzo, creando così la parvenza di un finale ma lasciando Lyra in viaggio per raggiungere il padre insieme ai suoi compagni di viaggio.
In conclusione, chi ha letto e apprezzato il libro può senz’altro gradire il film, che non tradisce l’originale ed è realizzato con cura. Chi invece non lo conosce potrebbe rimanere spiazzato da un’opera che descrive molte cose troppo frettolosamente e si conclude lasciando molte questioni in sospeso.
Sarà interessante vedere se saranno realizzati i seguiti, il cui contenuto, tra l’altro, è per molte ragioni molto più scabroso da rappresentare. Certo, il film non merita i giudizi negativi con cui è stato accolto, e penso che sarebbe veramente preoccupante se l’insuccesso americano fosse dovuto a motivi religiosi.

Considerazioni sparse intorno al caso Luttazzi

Daniele Luttazzi

  • Una necessaria premessa: io considero Luttazzi un genio. A mio avviso, non esiste nessun altro che abbia portato nella satira italiana tanta innovazione, che si sia sobbarcato tanti rischi, e nemmeno che sia riuscito a essere nemmeno lontanamente divertente quanto lui quando centra il bersaglio. Coloro che lo criticano perché parla di cacca e pipì dimostrano di non avere neppure provato a capirlo. E chi lo accusa di aver copiato dagli americani crede di criticarlo e invece gli fa un complimento, perché lui è l’unico ad essere riuscito a trapiantare con successo nel nostro Paese un certo tipo di comicità. Poi, certo, non sempre è divertente, a volte è incomprensibile o inutilmente sforzato. Ma questo è inevitabile quando si fa comicità non banale. Per dire, anche Cochi e Renato ai loro tempi a volte potevano risultare impenetrabili. E’ il prezzo che si paga frequentando strade poco battute.
  • E aggiungo: tanto la sua satira è tesa a superare ogni limite, quanto le posizioni politiche che assume sono intelligenti ed equilibrate (si veda quando si è espresso sul caso Grillo).
  • Detto questo, devo dire che la prima puntata di Decameron, l’unica che per ora ho visto, non mi ha entusiasmato. In primo luogo, il tono era troppo incazzato. Ora, Luttazzi ha tutte le ragioni del mondo per essere incazzato con un mucchio di gente. Ma questo non toglie che un eccesso di rabbia nuoccia alla satira. Le persone incazzate che battono sullo stesso tasto diventano noiose anche quando hanno ragione. Poi ho trovato inefficaci, noiosi e retorici i siparietti con gli antichi greci che discutono. E infine, ho avuto la sensazione che, per evitare la possibile accusa di essersi ammorbidito per rientrare in televisione, cercasse senza costrutto un modo per apparire più scandaloso di quanto ci si potesse aspettare (ed è difficile, trattandosi di lui). Per esempio, le scenette col cadavere del padre non mi sono parse divertenti e nemmeno scandalose, solo noiose.Sento dire che il programma è migliorato gradatamente, e penso che guarderò qualche altra puntata per verificare.
  • La battuta su Giuliano Ferrara, presa nel suo contesto, aveva perfettamente senso. Non era certamente una delle battute migliori di Luttazzi, ma non si può dire che fosse gratuita. Lo ha ammesso perfino Ferrara.
  • La sospensione del programma da arte di LA7 è totalmente pretestuosa. La battuta sarà stata forte, ma non è nulla più di quanto Luttazzi abbia detto e fatto mille volte nei suoi spettacoli. È ridicolo pensare che non si aspettassero battute del genere quando gli hanno affidato uno spazio. L’unica è pensare che il programma abbia dato fastidio a qualcuno. Ed è probabile che questo qualcuno sia il Vaticano, o perlomeno la squadra di atei devoti che del Vaticano fa gli interessi.
  • Giuliano Ferrara è una delle persone che disistimo di più in assoluto. E insieme a lui il suo giornaletto finanziato con soldi pubblici grazie a un trucco palese, e scritto da gente per cui intelligenza significa assumere la posizione più stronza possibile nascondendosi dietro trucchi retorici per farla franca (qui un esempio tra tanti). Credo che il fatto che Ferrara sia tutt’oggi uno dei più influenti giornalisti italiani possa e debba fare scandalo, ed è proprio qui che andava a parare la battuta di Luttazzi.
  • Dei tre epurati dopo l’editto bulgaro, Luttazzi ha subito un esilio molto più lungo, non è mai rientrato in RAI, e ora non riesce a rimanere nemmeno a La7. Il perché è evidente. Enzo Biagi era un giornalista sicuramente rispettabile, ma che aveva fatto il suo tempo già da decenni. Santoro era ed è un giornalista-politico, che può fare dentro e fuori dal Parlamento e dalla redazione come meglio crede. Le posizioni di ambedue erano prevedibili come il sorgere del sole. Luttazzi invece era l’unico cane sciolto, l’unico che desse fastidio anche a sinistra, l’unico che non fosse chiaramente ascrivibile in uno schieramento politico, pur avendo opinioni politiche nettissime. E infatti quasi nessuno, tra politici e giornalisti, si è speso perché potesse tornare in televisione.
  • In conclusione, trovo questa seconda epurazione di Luttazzi un fatto tristissimo. E ancora più triste il fatto che tra tanti commentatori, anche di sinistra, da Vittorio Zucconi ad Aldo Grasso a Michele Serra a Luca Sofri, nessuno abbia trovato delle ragioni per difenderlo. È qualcosa che rimpiangeremo.