Sto trascurando talmente tanto questo blog, che mi sono scordato di segnalrvi che è apparsa sul web un’intervista a me e a mia moglie Silvia Castoldi in qualità di traduttori. L’occasione è l’uscita del romanzo Il Patto di Mezzanotte, di cui vi ho già parlato.
Se vi va di leggerla, la trovate qui.
Tag: fantasy
Libro: Il patto di Mezzanotte
Agorà è una città circondata dal nulla, divisa in quartieri che prendono i nomi dei segni zodiacali, dove tutto si può vendere e comprare, anche le emozioni, estratte dalle persone da appositi macchinari alchemici. Mark è un ragazzino che, vista la propria famiglia sterminata da un’epidemia, venduto dal suo stesso padre, viene salvato da un medico che letteralmente lo compra per farne il suo assistente. Ma chi davvero aiuta Mark atrovare il coraggio di andare avanti è Lily, ragazza poco più grande di lui, anche lei di proprietà della stessa famiglia. Separati quasi subito, Mark e Lily tentano ciascuno per suo conto di sopravvivere in una società che non perdona nulla ai poveri e ai deboli. Si reincontreranno in circostanze drammatiche, interferendo con le azioni di una società segreta…
Il patto di mezzanotte è un fantasy atipico, dove non ci sono elfi, orchi o altre creature fatate, non ci sono oggetti cruciali da cercare, proteggere o distruggere, e non è in corso nessuno scontro epocale tra il Bene e il Male. Lo si potrebbe definire un fantasy dickensiano: come in David Copperfield o Oliver Twist, assistiamo alle peripezie di un giovane coinvolto nelle ingiustizie di una società che, sullo sfondo, né commette di molto più terribili. Scritto da un venticinquenne (con una professionalità che gli scrittori fantasy italiani in erba possono solo sognarsi) ha tra i pregi soprattutto un’ambientazione interessante, che sconfina quasi nel fantascientifico (la città di Agorà somiglia quasi a un esperimento sociale di liberismo sfrenato, e non è detto che nei prossimi romanzi non si riveli tale), oltre a personaggi non banali. Ha anche dei difetti. In primo luogo una scrittura a volte un po’ ripetitiva e scontata nei suoi effetti. Ma soprattutto, l’autore non scopre tutte le sue carte, lasciando alcune cose nell’ombra, pronte per essere svelate nell’inevitabile seguito.
Il romanzo ha anche una particolarità: l’ho tradotto io, insieme a mia moglie Silvia Castoldi. Vi invito dunque a leggerlo e a dirmi cosa ne pensate.
Film: La bottega delle meraviglie di Mr. Magorium
Mr. Magorium gestisce da un secolo e mezzo un magico negozio di giocattoli a New York, in cui le stranezze sono la normalità. Ma ora che ha consumato il suo ultimo paio di scarpe, Magorium sa che è giunto per lui il momento di lasciare questo mondo, e decide di lasciare il negozio in eredità alla sua giovane assistente Mahoney. Inizialmente Mahoney non vuole accettare la cosa, e anche il negozio fa le bizze al pensiero di essere abbandonato dal suo creatore. Tuttavia, grazie a un contabile in apparenza insensibile ma in realtà dal cuore d’oro, e a un bambino disadattato ma geniale, il negozio troverà chi continuerà a prendersene cura.
Scritto e diretto dallo sceneggiatore dell’ottimo Vero Come la Finzione, questo film non è altrettanto solido. Ci sono tante trovate interessanti, ma sembrano un po’ galleggiare nel vuoto, a causa della scarsa consistenza del background. Viene spontaneo porsi delle domande che rimangono senza risposta, come "Da dove viene Mr. Magorium?", "Come e perché ha aperto il negozio?", "Come ha fatto Mahoney a diventare la sua assistente?", e così via. Fortunatamente, interpreti molto bravi e professionali (menzione speciale per il bravissimo dodicenne Zach Mills) riescono a mantenere in piedi il film, che risulta vedibile, perlomeno dai bambini e dal tipo di persone che riescono a guardare un buon film per bambini senza farsi problemi. Sicuramente non imperdibile, ma abbastanza bizzarro e originale da poter valere i soldi del biglietto.
Film: La Bussola d'Oro
Lyra è una dodicenne che vive in un mondo diverso dal nostro, anche se simile, in cui ogni essere umano è accompagnato da uno spirito dall’aspetto di un animale, il daimon, dal quale non si separa mai dalla culla alla tomba. La ragazzina è sotto la protezione dell’università di Oxford, in quanto i suoi genitori, di nobile origine, sono scomparsi. Quando un’ambigua signora obbliga il rettore a darle in consegna la bambina, questi le consegna di nascosto uno strumento simile a una bussola che, se correttamente interrogato, è in grado di rispondere a qualsiasi domanda. Quando Lyra scopre che la donna è in combutta con coloro che, per scopi misteriosi, rapiscono bambini, fugge. Di lì a poco si ritroverà, insieme a una strega, a un’aeronauta e a un orso guerriero parlante, alla guida di una spedizione nell’estremo Nord volta a liberare i bambini scomparsi. Tratto dal romanzo di Philip Pulman.
Il film arriva in Italia dopo un flop negli Stati Uniti e con un aureola di recensioni negative. Sarà merito delle mie aspettative conseguentemente basse, ma in realtà il film mi è parso molto migliore del previsto. Direi che sostanzialmente il film presenta gli stessi pregi e difetti della serie di film tratta dai romanzi di Harry Potter. I pregi: una ricostruzione fedele, credibile e dettagliatissima dei luoghi e delle atmosfere del romanzo, e un casting molto azzeccato, con attori di nome anche per ruoli molto piccoli. Tutti gli interpreti dei ruoli secondari mi sono sembrati molto in parte, e anche l’esordiente protagonista Dakota Blue Richards, pur non essendo stupefacente, mi è comunque sembrata convincente (molto più di alcuni dei melensi ragazzini di Le Cronache di Narnia).
Il difetto principale del film è insito nella natura stessa dell’operazione, e cioè far rientrare in un film di meno di due ore una storia molto lunga e complicata rimanendovi fedeli. Bisogna dire che il regista e sceneggiatore Chris Weitz ha fatto uno sforzo encomiabile, simile a quello fatto da Peter Jackson per Il Signore degli Anelli, rimaneggiando la cronologia del romanzo, comprimendo pi scene insieme, ma rispettando sostanzialmente la natura del mondo e della storia originali. Devo dire che in alcuni punti Weitz ha persino migliorato la storia: enfatizzando il personaggio di Lee Scoresby, che nel romanzo è più defilato, e soprattutto rimandando la rivelazione dell’identità dei genitori di Lyra, che viene svelata non day gyziani ma da Marisa Coulter, con un’efficacia drammatica a mio avviso maggiore. Questo però non evita che il film appaia spesso in affanno nel tentativo di concentrare in pochi secondi scene che avrebbero bisogno di tempi lunghi per risultare efficaci. La sottigliezza delle relazioni tra i personaggi va perduta, e anche il realismo ne soffre, dato che Lyra sembra spesso intuire come per magia cose richiederebbero invece lunghe ricerche o spiegazioni.
Va notato che il film evita di mostrare i due eventi più drammatici del libro, cioè le morti di due bambini. E soprattutto che finisce un po’ prima del romanzo, creando così la parvenza di un finale ma lasciando Lyra in viaggio per raggiungere il padre insieme ai suoi compagni di viaggio.
In conclusione, chi ha letto e apprezzato il libro può senz’altro gradire il film, che non tradisce l’originale ed è realizzato con cura. Chi invece non lo conosce potrebbe rimanere spiazzato da un’opera che descrive molte cose troppo frettolosamente e si conclude lasciando molte questioni in sospeso.
Sarà interessante vedere se saranno realizzati i seguiti, il cui contenuto, tra l’altro, è per molte ragioni molto più scabroso da rappresentare. Certo, il film non merita i giudizi negativi con cui è stato accolto, e penso che sarebbe veramente preoccupante se l’insuccesso americano fosse dovuto a motivi religiosi.
Libri: trilogia "Queste Oscure Materie" ("La Bussola d'Oro", "La Lama Sottile", "Il Canocchiale d'Ambra")
La Bussola d’Oro è ambientato in un mondo diverso dal nostro, anche se simile, in cui ogni essere umano è accompagnato da uno spirito dall’aspetto di un animale, il daimon, dal quale non si separa mai dalla culla alla tomba. Lyra è una ragazzina dodicenne che vive sotto la protezione dell’università di Oxford, in quanto i suoi genitori, di nobile origine, sono scomparsi. Quando un’ambigua signora obbliga il rettore a darle in consegna la bambina, questi le consegna di nascosto uno strumento simile a una bussola che, se correttamente interrogato, è in grado di rispondere a qualsiasi domanda. Quando Lyra scopre che la donna è in combutta con coloro che, per scopi misteriosi, rapiscono bambini, fugge. Di lì a poco si ritroverà, insieme a una strega, a un’aeronauta e a un orso guerriero parlante, alla guida di una spedizione nell’estremo Nord volta a liberare i bambini scomparsi.
In La Lama Sottile Lyra, che al termine del romanzo precedente ha lasciato il proprio mondo, si ritrova in un luogo desolato e popolato solo da bambini. Qui fa conoscenza con Will, un ragazzo proveniente dal nostro mondo, e perciò privo di daimon. I due hanno varie avventure che li portano a impossessarsi di una lama in grado di aprire finestre tra un mondo e l’altro.
Infine, in Il Canocchiale d’Ambra si scatena la guerra che si era preparata nei romanzi precedenti, una rivolta degli uomini liberi e degli angeli ribelli contro ogni chiesa e contro Dio, durante la quale Lyra e Will scopriranno il significato degli eventi cui hanno preso parte. Con le loro azioni, inclusa una dolorosa visita nell’Aldilà, determineranno l’esito finale.
Una volta tanto le polemiche dei cattolici contro un romanzo per ragazzi non sono del tutto infondate. Se era davvero ridicolo che qualcuno se la prendesse con Harry Potter per un suo supposto spirito anticristiano, qui il suddetto spirito c’è sul serio. L’autore non si limita a proporre avventure fantastiche trascurando la religione tradizionale, ma propone una vera e propria trilogia alternativa, in cui il Paradiso è un’impostura, e Dio una creatura mortale, bugiarda e fallibile. I religiosi sono tutti personaggi negativi, capaci di torturare e uccidere bambini per raggiungere i loro scopi, mentre uno dei personaggi più positivi è una suora che ha felicemente abbandonato la religione. Insomma, in questo caso la Chiesa fa bene a sentirsi minacciata dai libri (e dai film che se ne stanno traendo). Io, dal canto mio, sono dell’avviso che dovrebbero esserci molti più libri che parlano male della religione, ma diamo a Cesare quel che è di Cesare.
A causa del contenuto anticristiano, l’opera, è stata spesso definiita "l’anti-Narnia", nonostante l’autore abbia sempre respinto i paragoni con C. S. Lewis. A mio avviso, però, l’accostamento con Lewis è abbastanza pertinente, anche se io paragonerei "Queste Oscure Materie", più che a Narnia, alla trilogia del Pianeta Silenzioso. Infatti anche qui abbiamo un primo romanzo che definisce un universo fantastico fresco e avvincente, seguito però da due seguiti in cui il contenuto ideologico-religioso si fa predominante, schiacciando la vicenda e rendendola indigesta.
La Bussola d’Oro è in effetti uno di quei libri che, una volta iniziati, ti afferrano e non ti mollano più. L’universo creato da Pullman non assomiglia a nessun altro, e mescola con sapienza ambientazioni familiari con altre assolutamente bizzarre. Il tutto seguendo una trama non scontata e ricchissima di colpi di scena. Al contronto, La Lama Sottile è a un livello parecchio inferiore: è un libro di transizione (molto più breve degli altri due) che serve a preparare il successivo, non offre alcuna delle meraviglie del precedente, e oltretutto si conclude in medias res. Con Il Canocchiale d’Ambra la vicenda si risolleva e si incontrano nuovi interessanti personaggi e nuovi colpi di scena. C’è anche una parte ambientata in un ulteriore mondo parallelo abitato da esseri dotati di ruote, che appartiene più alla fantascienza che alla fantasy e che ho trovato particolarmente riuscita. Tuttavia il finale è goffo, farraginoso e insoddisfacente e mi ha lasciato parecchio deluso.
Il problema è che, col procedere dei romanzi, si intravede sempre più fortemente la mano dell’autore che, avendo in mente un preciso schema simbolico, forza la mano alle vicende e ai personaggi per farceli rientrare, danneggiando la verosimiglianza della storia e risultando spesso verboso e didascalico. Ne soffrono in particolare i due principali personaggi "adulti", Lord Asriel e Marisa Coulter, i cui obiettivi cambiano in maniera radicale senza che la cosa sia stata adeguatamente motivata di fronte al lettore. Anche il lato "militare" del romanzo ne risente, con personaggi che dovrebbero essere degli autentici titani che si rivelano incongruamente stupidi e incapaci.
Tuttavia, anche non volendo considerare questi difetti, resta un problema strutturale ancora maggiore, e cioè che è proprio la costruzione ideologico-religiosa di Pullman a essere poco convincente. L’autore si oppone alla religiosità organizzata propugnando la libertà di pensiero. Per farlo però costruisce un mondo che si basa profondamente su concetti che sono tipici del pensiero religioso cui vorrebbe opporsi: dualismo mente/corpo e spirito/materia, finalismo, destino e via discorrendo. Il risultato è che la trilogia, invece che raggiungere il suo scopo, lascia il suo lettore con decine di dubbi insoluti. Per esempio: se Dio non si cura di premiare i suoi fedeli, a che scopo esiste l’Aldilà? Se tutti gli esseri senzienti hanno un’anima e un daimon, perché gli orsi, che manifestamente sono senzienti, fanno eccezione? E così via.
Non vorrei che il mio giudizio suonasse troppo negativo. In definitiva, mi sono divertito a leggere la trilogia, che ha dei momenti indimenticabili e alcuni personaggi che lasciano il segno. Tuttavia è indiscutibile che dà il suo meglio all’inizio per poi declinare. A voi decidere se il piacere della partenza valga l’inevitabile delusione finale.
Film: La leggenda di Beowulf
Il re danese Hrotgar ha fatto costruire una fastosa sala in cui festeggiare le proprie vittorie tra canti e idromele. Ma il suono delle celebrazioni disturba il mostro Grendel, che irrompe nella sala e fa strage dei presenti. Hrotgar offre colossali ricchezze a chi ucciderà il mostro. Ad accettare l’incarico è un gruppo di guerrieri geati guidati da Beowulf. Il mostro sarà sconfitto, ma il condottiero scoprirà che il legame di Grendel con gli umani e ben più sottile e subdolo di quanto immagini.
Il film è interamente realizzato in grafica computerizzata, animata col metodo del motion capture, cioè basandosi sul movimento di attori veri, così come fu fatto per il personaggio di Gollum nella trilogia del Signore degli Anelli. Il risultato è altalenante: se nei primi piani tutto funziona alla perfezione, nelle scene di massa i movimenti e le espressioni a volte perdono di credibilità, e si resta con la sensazione di guardare l’introduzione di un videogioco. Comunque sia, si può dire che Zemeckis ha essenzialmente centrato il bersaglio, dando corpo a un mondo sanguigno e terribile, che non ha nulla dell’edulcorazione tipica del cartone animato, e in cui l’esagerazione eroica non sminuisce ma esalta l’orrore.
Il maggior plauso, però, va alla sceneggiatura di due mostri sacri come Neil Gaiman e Roger Avary. I quali in primo luogo hanno realizzato una storia che non si perde in introduzioni e lungaggini ma va dritta al punto senza cadute di tensione. Ma soprattutto, hanno conservato tutta la forza primitiva del mito originario con le sue esibizioni di forza e coraggio, ma hanno nel contempo introdotto cambiamenti che non solo rendono più coerente e unitaria la storia narrata nel poema anglosassone, ma che svuotano dall’interno la figura dell’eroe, rendendola modernissima. Beowulf è sì un coraggioso che affronta Grendel a mani nude, ma è anche un propagandista che costruisce consapevolmente il proprio mito. Soprattutto, è un uomo fallibile, costretto a convivere con il peso dei propri errori nascosti. Il film abbandona così la linearità del mito originario per proporci un ciclo di ascesa e caduta che ricorda miti molto posteriori. Da questo punto di vista è molto debitore dell’immortale Excalibur di John Boorman.
In conclusione, il film è divertente e appassionante e godibile sia da chi va al cinema per vedere draghi e troll fatti a brani, sia da chi apprezza la decostruzione del mito.
Film: Stardust
Wall è un villaggio inglese che sorge, come dice il nome, accanto a un muro, oltre il quale si stende il regno fatato di Stormhold. Agli esseri umani è vietato attraversare il muro, ma il giovane Tristan promette di farlo per recuperare una stella cadente, con la quale intende conquistare il cuore dell’amata Victoria. Ci sono però alcuni problemi. In primo luogo, Tristan ignora che già suo padre scavalcò il muro vent’anni prima, e che la madre che non ha mai incontrato è nativa di Stormhold. Poi c’è il fatto che la stella, una volta precipitata a terra, si è trasformata in una splendida ragazza, per nulla disposta a seguirlo. Inoltre la stella non interessa solo a Tristan, ma anche a un gruppo di nobili fratelli pretendenti al trono, perennemente impegnati ad assassinarsi a vicenda, e a un trio di streghe malvagie…
Vedendo trailer e manifesti di Stardust si è portati a pensare che si tratti della solita favoletta vista al cinema mille volte, e a depennarlo. Ma sarebbe un errore, perché è sì una favola, ma non la "solita". Uscita dalla penna di Neil Gaiman, infatti, la vicenda mette insieme tutta una serie di cliché tipici della letteratura fantastica, ma reinventandoli in modo libero ed estremamente efficace. Del resto, la cifra stilistica di Gaiman è proprio nel trasportare simboli e archetipi di un remoto passato all’interno di un modo di raccontare moderno, senza banalizzarli ma rendendoli attuali. E così anche una favola a lieto fine finisce per apparire niente affatto banale e scontata.
Il merito va anche a un cast di ottimi attori di contorno, tra cui un Robert DeNiro scopertamente buffonesco e una Michelle Pfeiffer molto coraggiosa nel giocare con la propria bellezza, più volte trasformata in un’orribile maschera di decrepitezza. E alla regia di Matthew Vaughn che, invece di puntare all’effetto speciale spaccatutto, cura minuziosamente i dettagli.
Insomma, nientge di trascendentale, ma semplicemente uno di quei film piacevoli, divertenti e originali di cui i blockbuster hollywoodiani spesso ci fanno sentire la mancanza.
Volete un frugoncino?
Quand’ero ancora una ragazzino lessi uno splendido libro fantasy-horror per ragazzi, che mi è rimasto nel cuore. Roba che, secondo me, non ha niente da invidiare ad Harry Potter, e che potenzialmente potrebbe avere lo stesso successo, ma che invece, nonostante due edizioni italiane, è stato quasi completamente ignorato nel nostro Paese (in USA ha avuto ben dieci seguiti!).
Tempo fa ho conosciuto una persona che lavora in una casa editrice, e ho scoperto che anche lei ha questo libro nel cuore, avendolo letto da piccola, come me. In pratica, ogni volta che ci siamo incontrati abbiamo dedicato del tempo a citare scene e passi del libro con sguardo rapito, sperando che lei riuscisse a convincere i suoi capi a pubblicarlo in Italia per la terza volta.
Ebbene, forse succederà: l’amica è riuscita a interessare i suoi capi, anche se le trattative sono appena iniziate (ed è per questo che non ne svelo il titolo: non vorrei romperle le uova nel paniere).
Però il troppo amore per un libro può portare anche a delle delusioni. Dovete sapere che il romanzo in questione aveva un’ottima traduzione, scorrevole e fantasiosa, e soprattutto con uno piena di termini insoliti che aggiungevano molto alle bizzarre atmosfere della storia. Per esempio, il protagonista aveva l’abitudine di rimpinzarsi di frugoncini al cioccolato. Ora, se avete letto "furgoncini", leggete meglio: sono frugoncini. Inutile cercare il termine su Google: non esiste, se non come errore di battitura per furgoncino. Non c’è nemmeno sul De Mauro, e neppure sullo Zingarelli.
In realtà io mi ricordo di aver cercato il termine un quarto di secolo fa, ben prima di Internet, e di averlo trovato. Oggi non ci sono riuscito, e non capisco perché. Forse nel frattempo la parola è diventata così rara da sparire del tutto dall’italiano, ed è ormai un termine che solo i linguisti conoscono. In ogni caso, ricordo che il significato era "biscotto al cioccolato" (il che fa pensare che frugoncino al cioccolato sia un termine ridondante, in quanto il termine frugoncino implica la presenza del cioccolato. Chissà se è vero, e se sono mai esistiti frugoncini ad altri gusti.
Più volte io e la mia amica ci siamo chiesti: cosa sarà mai stato un frugoncino nel testo originale. Ebbene, ora lei se lo è procurato, e la delusione è stata grande. I frugoncini, infatti, nel testo originale sono banalissimi chocolate-chip cookies.
C’è da chiedersi quanto del fascino che quel libro ha avuto su di noi fosse dovuto ai suoi propri meriti, e quando invece fosse opera di un traduttore geniale e bizzarro (che tra l’altro era un famoso giallista, oggi scomparso da tempo). Chissà quali ricordi evocava per lui il termine "frugoncino". Per quanto mi riguarda, farò di tutto per far rivivere in qualche modo questa parola dimenticata.
Libro: Sorpresi dalle Tenebre
In un mondo in cui quasi tutti sono lupi mannari, i pochi esseri umani che non si trasformano al sorgere della luna piena sono obbligati a servire in una sorta di servizio d’ordine, per evitare che i trasformati provochino danni. Lola Galley è una di loro, ed entra in crisi quando un suo collega viene assassinato. Per ucciderlo hanno usato una delle pallottole d’argento che si usano per difendersi dai mannari. E’ forse un simbolo?
Quando ho letto il risvolto di copertina di questo libro, ho deciso di procurarmelo immediatamente: mi è sembrata un’idea troppo buona! Mi aspettavo qualcosa di simile allo splendido Cacciatori delle tenebre di Barbara Hambly (in cui un essere umano viene assunto dai vampiri per indagare di giorno, quando loro non possono agire). Purtroppo devo dire, a conti fatti, che il libro non ha mantenuto la sua promessa e mi ha lasciato parecchio deluso. Questo a causa del fatto che l’autrice non ha saputo costruire bene il mondo in cui ha ambientato la vicenda.
Per cominciare, un delitto capitale: in un mondo popolato da lupi mannari, non viene chiarito a sufficienza cosa significhi essere uno di loro. Da un lato i mannari vengono descritti come orgogliosi di essere tali, al punto che non rinuncerebbero mai al fatto di trasformarsi, e che provano una istintiva diffidenza e repulsione verso chi non si trasforma. Dall’altro però i mannari non ricordano quasi nulla di ciò che fanno quando sono in forma di lupo, e hanno costruito una società identica alla nostra, che tiene conto solo del loro lato umano, e che li obbliga a rinchiudersi in casa ogni volta che si trasformano. A me pare una grossa contraddizione, che rende molto nebuloso quello che dovrebbe essere uno degli aspetti fondamentali del libro.
Non è chiaro nemmeno il perché i lupi mannari abbiano sentito la necessità di rinchiudersi e di affidare ai non-licantropi, che pure odiano, il compito di catturare coloro che non rispettano il divieto. Ci viene detto più volte che l’opera di controllo dei non-licantropi è l’unica cosa che salvi il mondo dal caos e dalla carneficina, però i lupi mannari non ci vengono mai mostrati nell’atto di aggredire un loro simile (al contrario, sembrano andare perfettamente d’accordo tra loro) o di provocare danni. Gli unici morti e feriti che si vedono sono tra i non-licantropi che cercano di catturarli. Viene da pensare che, se fossero questi ultimi a rimanere rinchiusi durante la luna piena, non accadrebbe nulla.
Infine, è totalmente assurda e contradditoria la descrizione dei poteri che vengono attribuiti ai non-licantropi. Da un lato, viene descritto come siano obbligati a non fare alcun male ai mannari che catturano, e come questo li obblighi a correre gravissimi rischi, con la costante minaccia di provvedimenti disciplinari e risarcimenti danni se non seguono le pericolose procedure. Dall’altro però, se stanno indagando su un reato commesso da un mannaro in forma di lupo, i loro poteri sono pressoché illimitati: possono prelevare persone all’insaputa di tutti, tenerle per settimane rinchiuse in celle medioevali senza rendere conto a nessuno, e persino torturarle impunemente. È evidente che queste due situazioni non possono coesistere. Quasi tutte le istituzioni dei non-licantropi appaiono costruite in modo forzato, senza che ci sia una reale motivazione perché le cose vadano così. Per esempio, viene detto che i non-licantropi subiscono spesso molestie sessuali da ragazzi, in quanto sono obbligati a passare ogni notte di luna piena nei rifugi, in condizione di promiscuità. E non si può fare a meno di chiedersi quale difficoltà abbia impedito loro di creare rifugi meno promiscui: la motivazione della mancanza di personale appare piuttosto inconsistente.
Insomma, il mondo in cui si svolge Sorpresi dalle tenebre difetta totalmente di logica. Ed è un peccato, perché l’autrice saprebbe scrivere molto bene. Lola Galley è un gran bel personaggio, col suo miscuglio di fragilità e aggressività, e la sua evoluzione viene descritta con grande finezza psicologica. Anche la trama gialla funziona piuttosto bene, e conduce a un gran bel finale. Ed è particolarmente riuscito il modo in cui l’autrice sfrutta l’inversione per cui sono i non-licantropi a sentirsi dei "mostri", al punto di desiderare di avere figli mannari. Insomma, questo romanzo è un po’ come una Ferrari cui hanno versato nafta nel serbatoio: possiamo ammirarne la linea, decantare le doti del motore… ma non partirà mai. Che occasione sprecata!
Libro: Harry Potter and the Deathly Hallows
Avvertenza: Niente paura: anche se ormai gli spoiler non si contano, in questa recensione farò in modo di rimanere sul vago e non svelare alcun dettaglio importante. Certo, se proprio volete rimanere a mente vergine al 100%, o se non avete letto nemmeno tutti i romanzi precedenti della serie, è meglio che non la leggiate comunque.
Ho avidamente letto l’ultimo volume della saga di Harry Potter, e credo di poter dire con sicurezza che J. K. Rowling è riuscita a dare una degna conclusione alla serie. Dirò di più: pur non essendo esente da difetti, Harry Potter and the Deathly Hallows è probablmente il suo libro più avvincente e uno dei meglio costruiti. L’autrice è riuscita nel difficile compito di creare un’opera profondamente diversa dalle sei precedenti, senza però snaturare l’atmosfera della serie. Ed è riuscita, compito ancora più difficile, a risultare sorprendente senza contraddire le aspettative dei lettori (e camminava su un terreno minato, perché gli indizi che rivelavano quanto sarebbe successo erano numerosi).
La principale differenza tra The Deathly Hallows e il resto della saga è che si svolge quasi del tutto fuori da Hogwarts. Niente più lezioni, partite di Quidditch o rivalità tra le Case, e nessun momento di tranquillità: Harry Potter è braccato, rischia la vita ogni minuto, e l’azione comincia dal primo capitolo per non fermarsi praticamente mai. E la lotta è all’ultimo sangue: se ciascuno dei tre libri precedenti era segnato da una morte importante, qui vediamo cadere oltre mezza dozzina di personaggi cui il lettore può essersi affezionato. Del romanzo per bambini non è rimasto quasi più nulla.
Anche dal punto di vista psicologico, il libro non è meno duro. Non solo Harry è sottoposto a pressioni tremende, ma si trova costretto a mettere in discussione alcuni dei legami più profondi della sua vita. Del resto, il giovane mago si trova privo della sua guida, Albus Dumbledore, morto in Harry Potter and the Half-Blood Prince. Ed è proprio Dumbledore il vero coprotagonista di The Deathly Hallows: analizzato retrospettivamente, perde la sua aura di infallibilità e diventa un personaggio umano con contraddizioni e manchevolezze, segnando così il definitivo passaggio di Harry all’età adulta.
La trama è straordinariamente complessa. Per distogliere l’attenzione del lettore da quegli elementi che solo in fondo al libro potevano essere svelati, la Rowling ha inserito abbastanza misteri da bastare per almeno due libri “normali” della serie. È comunque evidente come la saga sia stata progettata in modo completo fin dall’inizio: nella trama hanno una funzione essenziale indizi e personaggi minori che risalgono addirittura al primo libro. Se la vostra memoria non è buona, una rilettura integrale dell’intero sestetto precedente prima di affrontare quest’ultimo volume potrebbe essere consigliabile.
Il risultato: direi ottimo. The Deathly Hallows non annoia e non dà mai l’impressione (a differenza dei libri centrali della serie) che ci siano capitoli superflui. È terribilmente avvincente, e conclude la serie in modo soddisfacente, senza forzature e con un bel po’ di sorprese.
Difetti? Ovviamente ce ne sono. Alcuni condivisi con l’intera saga. La scrittura della Rowling tende sempre un po’ al barocchismo e alla lungaggine. Inoltre personalmente ho un’idiosincrasia per i duelli magici troppo lunghi, che non trovo molto convincenti, né qui né altrove.
Per quanto riguarda questo libro in particolare, bisogna dire che la prima metà del libro è un po’ estenuante: Harry Potter brancola nel buio, commette alcuni errori colossali, i dubbi e i misteri si accumulano senza mai uno spiraglio di luce, e tutto comincia a sembrare un po’ troppo cupo e disperato. Fortunatamente, le pagine successive rimettono le cose a posto. Ma, soprattutto, in The Deathly Hallows la Rowling ha sacrificato la completezza all’efficacia narrativa. Ci sono alcune lungaggini in meno, ma alcuni particolari appaiono un po’ “tirati via”. Per esempio, c’è un oggetto che scompare e poi riappare senza che venga spiegato bene come ciò sia possibile. Ma soprattutto, ci sono alcuni personaggi molto importanti che muoiono in battaglia, in qualche caso addirittura fuori scena, e vengono messi da parte in poche righe, lasciando una certa sensazione di “vuoto” narrativo. Probabilmente il libro sarebbe risultato troppo pesante con l’aggiunta di altri capitoli con morti eroiche e struggenti compianti, però anche questa soluzione lascia a desiderare. Inoltre i più frivoli tra i lettori rimarranno con la curiosità di sapere cosa ne è stato di alcune relazioni sentimentali che si potevano intuire nei libri precedenti, e del cui destino il libro finale non si occupa. Comunque sia, il maggiore difetto di The Deathly Hallows è che finisce ed è l’ultimo. Le belle storie hanno una fine, e questa ne ha una davvero degna, però si resta male al pensiero che il divertimento è finito.