L’astronave Icarus 2 è in viaggio verso il Sole, con l’incarico di sganciare una bomba di eccezionale potenza che dovrebbe riattivarne le funzioni; la nostra stella, infatti, è in declino e sta lasciando la Terra in preda al gelo. La missione è gravata da una terribile responsabilità: già un precedente tentativo è fallito, e non sarà più possibile costruire altre bombe. Per giunta nel momento cruciale gli uomini saranno abbandonati a se stessi, visto che le radiazioni solari impediranno le comunicazioni con la Terra.
Dopo aver affrontato l’horror in 28 giorni dopo, questa volta Danny Boyle si cimenta con la fantascienza, sempre prendendo a prestito modelli del cinema preesistenti per adattarli al suo personalissimo stile. Qui il modello dominante è inarrivabile, visto che la Icarus 2 è evidentemente figlia della Discovery di 2001: Odissea nello spazio, film di cui Sunshine cita in modo letterale alcuni episodi (per esempio il salto senza tuta da un’astronave all’altra). Altre fonti evidenti sono le serre spaziali di 2002: La seconda odissea e i videomessaggi di Dark Star. Ma identificarle tutte è un gioco che potrebbe andare avanti all’infinito.
Alcune delle premesse scientifiche di base del film lasciano molto a desiderare. Per cominciare, è del tutto inverosimile che una bomba a fissione, persino se contenesse tutto l’uranio della Terra, potrebbe avere effetti percettibile sul Sole, le cui energie sono di un ordine di grandezza decisamente superiore. Inoltre la sceneggiatura del film sembra assumere che si possa arrivare a 20 milioni di chilometri dal sole, entrare in orbita facendo una piccola correzione di rotta, e rimanere lì indefinitamente. Non è così: salvo motori estremamente potenti (e una decelerazione violentissima che causerebbe seri problemi ai passeggeri), qualunque cosa arrivi così vicino al Sole è destinata o a caderci dentro, oppure a sfiorarlo per poi allontanarsi rapidamente (come fanno le comete). In effetti, con queste premesse, mi aspettavo un film raffazzonato basato sulla pura azione. Invece, niente di tutto questo. Sunshine si fa rapidamente perdonare questi peccati con l’idea dell’astronave che deve rimanere nascosta dietro uno schermo per evitare di essere bruciata dal Sole, cinematograficamente molto originale e resa con rigore e realismo.
L’ambientazione fantascientifica non modifica lo stile di Boyle, che qui resta vicinissimo al suo primo film, Piccoli omicidi tra amici. Personaggi tratteggiati in modo stilizzatissimo ma efficace, dialoghi secchi senza nessuno spazio per lunghe spiegazioni o tirate retoriche, ritmo che inizia con una certa lentezza e continua a salire senza mai fare un passo indietro, prendendo lo spettatore nel vortice della tensione. Posto al bivio tra la realizzazione di un film d’azione e uno filosofico, il regista inglese sceglie di fare entrambe le cose. Da un lato, basando tutta la costruzione del film sulla suspence, come se fosse una nuova puntata di Alien. Dall’altro, non trattenendosi dall’introdurre tematiche importanti e continuando a sottolinearle anche a livello visivo.
Il tema centrale è quello della fascinazione per il Sole, che dà la vita ma può anche distruggerla, da cui discende il dualismo del rapporto degli uomini con la Natura, segnato dal desiderio di dominarla tramite la scienza, ma anche dalla pulsione ad arrendersi ai suoi ritmi. Boyle non esita ad abbondare con le simbologie, dall’osservatorio solare realizzato come un tempio ai corpi degli uomini che ritornano cenere.
Operazione riuscita? Solo a metà. Se il regista fosse riuscito a creare un film d’azione avvincente e contemporaneamente ad affrontare temi così elevati, avrebbe creato un capolavoro della fantascienza. Nel finale, invece, qualche nodo viene al pettine: dal punto di vista dell’azione, il montaggio diventa talmente concitato che negli ultimi minuti si ha qualche difficoltà a seguire la vicenda. Mentre dal punto di vista simbolico il messaggio risulta a volte non sufficientemente approfondito (cosa rappresenterà, per esempio, la piantina che si ostina a crescere nel giardino distrutto da un incendio?).
In ogni caso, con tutti i suoi difetti, Sunshine risulta uno dei migliori film di fantascienza “pura” dell’ultimo decennio. Molto più coinvolgente di tanti altri, e con ambizioni che, seppure non totalmente realizzate, meritano una visione. Lo aiutano un cast di attori non-divi (tranne la sottoutilizzata Michelle Yeoh) ma bene in parte, e un’evocativa colonna sonora degli Underworld, efficacissimo contrappunto alle immagini. Ce ne fossero, di film così.