Qual è l'originale?

vanamondeÈ ufficiale: sono entrato a far parte dell’universo dei fumetti. L’evento è avvenuto l’altro ieri, all’interno di Girl Genius, come testimonia la vignetta qui accanto. Ora mi chiedo: dovrei radermi e ossigenarmi il ciuffo per adeguarmi al mio doppio fumettistico?

Scherzi a parte: mi piacerebbe molto pensare che Phil e Kaja abbiano battezzato il personaggio dopo aver visto il mio blog, che ho portato alla loro attenzione due mesi fa segnalando loro che li avevo linkati (e ricevendo in premio un meraviglioso sfondo per il desktop). D’altra parte, ho la sensazione che le sceneggiature vengano scritte molti mesi prima che il fumetto appaia online. Ho scritto loro per avere conferma o smentita, ma ancora non hanno risposto. Vi terrò aggiornati.

E' la stampa, bruttezza

carta stracciaNei giorni scorsi ho votato per il rinnovo degli organi dell’Ordine dei Giornalisti. Devo dire che l’esperienza è stata da incubo. Mi aspettavo una cosa tranquilla, invece ho incontrato un atmosfera da repubblica delle banane.
Cominciamo col dire che ha votato meno di uno su venti tra gli aventi diritto, il che forse non è sorprendente ma è comunque desolante. Quando sono arrivato alla sede del seggio, per entrare sono dovuto passare tra due ali di propagandisti urlanti che cercavano di mettermi in mano il foglio con i nomi dei loro candidati. All’interno del seggio, poi, c’era il più celebre dei candidati in persona, che stringeva mani a più non posso e controllava che tutti i "suoi" fossero presenti. Alle 14, terminato l’orario di voto, le porte del seggio sono state chiuse, con gente arrivata all’ultimo minuto che strepitava e menava pugni contro le porte.
Che dire? Spesso mi irrito quando si prendono a bersaglio i giornalisti per partito preso, ma devo dire che l’immagine che danno di loro stessi, globalmente, non è migliore di quella del Paese, e forse è persino peggiore.

Libro: Giochi Sacri

Giochi SacriSartaj Singh è un ispettore della polizia di Mumbai, in India. Un giorno al suo telefono, una voce sconosciuta gli chiede "Vuoi Ganesh Gaitonde?". Lui risponde di sì, perché Gaitonde è uno dei più celebri boss della malavita indiana, e arrestarlo sarebbe il più grosso colpo della sua carriera. E in effetti Gaitonde è lì, dove è stato indicato. Mentre Sartaj discute con il boss asserragliato in un appartamento e cerca di convincerlo ad arrendersi, non può fare a meno di porsi delle domande. Perché Gaitonde è lì, a correre il rischio di essere arrestato, invece che al sicuro all’estero? Chi ha fatto la soffiata, e perché? E come mai il boss non si arrende, ma filosofeggia attraverso il citofono, come se stesse cercando di dirgli qualcosa? Le stesse domande diventeranno di capitale importanza quando interverranno i servizi segreti, e ordineranno a Sartaj di trovare le risposte, perché da esse dipende l’esito di un gioco che coinvolge tutta l’India, e forse più.
Giochi sacri è un colossale romanzo di quasi 1200 pagine scritto da Vikram Chandra, che è allo stesso tempo molte cose. È un poliziesco di ottima fattura, realistico e avvincente e con una buona dose di colpi di scena. Ma è anche un grande romanzo sull’India, questa enorme nazione in cui convivono altissima tecnologia e villaggi rimasti al medioevo, libertà moderne e privilegi di casta, in un inestricabile groviglio che riproduce tutte le contraddizioni del mondo di oggi. Ed è soprattutto un libro sul bisogno di identità, questa cosa misteriosa e sfuggente su cui si basano tanti dei conflitti di oggi. "Chi sono io?", si chiede Sartaj Singh, chenon è religioso ma il cui posto nella vita è indissolubilmente segnato dalla sua appartenenza all’etnia sikh, e la cui fondamentale onestà si scontra ogni giorno con un sistema che premia la corruzione e l’inefficienza. E la stessa domanda se la pone Ganesh Gaitonde, che ha vissuto tutta la propria vita sfruttando la propria immagine di uomo spietato e pronto a tutto, ma che nel suo intimo è rimasto il teppista senza radici arrivato a Mumbai tanti anni prima.

Il libro ha una struttura complessa: alterna l’indagine di Sartaj Singh all’autobiografia di Gaitonde raccontata in prima persona; in più, introduce squarci narrativi ambientati in altri tempi e in altri luoghi, che lasciano capire come ogni nemico sia in realtà strettamente imparentato con il proprio avversario, come noi stessi generiamo la nemesi che ci verrà a colpire, e come in realtà esista un’unica identità, che si ricompone nonostante i nostri migliori tentativi di frammentarla.
Ci sono due soli motivi per cui potreste non volerlo leggere. Il primo è la colossale lunghezza (ma vale la pena). Il secondo è che la lingua del romanzo è infarcita da parole hindi e urdu, tanto che c’è un glossario di venti pagine in fondo. Per alcuni questo sarà un ostacolo insormontabile, ma per me questo è un ulteriore pregio: come il siciliano di Camilleri, anche l’hindi di Chandra è un mezzo per trasportarci instantaneamente in un altro mondo, e darci il desiderio di conoscerlo e comprenderlo. Così, ora che ho finito il libro, non solo so che Bombay ha cambiato nome da 12 anni e si chiama Mumbai, ma conosco anche abbastanza turpiloquio hindi da poter sostenere una conversazione nei peggiori bassifondi indiani. Quindi, maderchod che non siete altro, non avete più scuse: muovete il gaand e andate a comprare questo bhenchod di un libro, ci scommetto le goli che vi piacerà!

Questo post appare anche su Il Leggio.

Genova per noi

Genova - pestaggiGiuliano Amato sostiene che esiste ancora un’immotivata sfiducia verso la polizia da parte di alcune fasce sociali. Che tale sfiducia esista, è assolutamente vero. Che sia un fatto negativo, non ci piove. Che sia immotivata, beh, questo è un altro paio di maniche.
Io sono figlio di un ufficiale dei Carabinieri, abituato fin da bambino ad avere familiarità con le forze dell’ordine e a considerarle amiche: i miei baby-sitter erano carabinieri. Eppure, sinceramente, dopo Genova, non credo affatto che mi sentirei tranquillo se mi capitasse di dover affidare la mia incolumità fisica alla correttezza e democraticità delle nostre forze di polizia.
Nei giorni scorsi, come segnalato da Falena, è arrivata una prima condanna per i pestaggi di Genova. Si direbbe una notizia importante, eppure è stata del tutto ignorata o pubblicata con un rilievo minimo. Amato finge che la cosa non sia accaduta. Ciò non incoraggia a pensare che la situazione sia cambiata.

10000!

Diecimila lireEbbene sì, qualche ora fa questo blog ha superato la barriera dei diecimila contatti! Risultato tanto più sorprendente se si pensa che per fare i primi cinquemila c’era voluto più di un anno, mentre per il resto sono bastati poco più di quattro mesi. In effetti, ultimamente ho notato che, se scrivo un post ben riusicto, il blog tende a mantenersi sopra i 50 contatti al giorno anche se per alcuni giorni non scrivo nulla. Che dire? Mi rendo conto che questo non fa di me una blogstar, e che c’è gente che diecimila contatti li fa in una settimana. Comunque è una soddisfazione che, lavoro e ispirazione permettendo, mi spingerà a scrivere di più e di meglio. Ringrazio tutti quanti, sia quelli che mi seguono fin dall’inizio, sia i tanti nuovi arrivati (che, se non lo hanno già fatto, invito a scrivere qualche commento). Ad maiora!

I miracoli dell'outsourcing

Ghost writerAlcuni mesi fa mi è stato proposto di scrivere un manuale per una piccola casa editrice emergente.
Ho preparato un progetto, la persona con cui ero in contatto lo ha accolto con enorme entusiasmo e mi ha esortato a mettermi subito al lavoro. Ho preparato un capitolo, è piaciuto moltissimo. A quel punto ho detto: "discutiamo di contratto e soldi?". Se n’è discusso, mi è stato recapitato un contratto da firmare. L’ho firmato, l’ho rispedito attendendo che un rappresentante della casa editrice lo firmasse a sua volta.
A quel punto mi è stato detto: "sbrigati perché abbiamo deciso di pubblicarlo tra pochissimo tempo". Io sono rimasto basito, di date non si era mai parlato, ora pretendono che scriva un libro in un mese nei ritagli di tempo dal lavoro. Ho cancellato tutti gli impegni, lavorato tutte le sere e, in due week-end, sono riuscito a produrre quasi metà libro.
Senonché, invece del contratto firmato mi è arrivata una e-mail del mio contatto che diceva "mi spiace molto, ma è meglio che per il momento ti fermi, ci sono state delle novità, non so quando potrà essere pubblicato il libro". A poco a poco è venuto fuori come stavano le cose: la persona con cui parlavo era un consulente esterno, la casa editrice non aveva più finanziamenti, quindi ha smesso di pubblicare libri e di pagare i consulenti, lui se n’è andato ed io, che avevo contatti solo con lui e non avevo un contratto firmato, potevo scegliere se buttare nel cesso settimane di duro lavoro oppure proseguirlo e sperare che qualcun’altro, non si sa bene chi, lo pubblicasse.

Un paio di mesi fa ho proposto un articolo a un periodico di una Grande Casa Editrice. Sorprendentemente, me lo hanno accettato, e mi hanno dato specifiche ben precise secondo cui realizzarlo. L’ho scritto, impiegando un intero fine settimana del mio prezioso tempo. Ho ottenuto conferma dell’avvenuta ricezione.
Dopo un mese, ho scritto una mail per ottenere notizie. Nessuna risposta.
Dopo un altro mese, ho cominciato a telefonare. Mi dicevano di chiamare al pomeriggio per parlare col direttore, ma al pomeriggio nessuno rispondeva.
Oggi ho chiamato per l’ennesima volta, mi hanno detto che la rivista "non la fanno più lì", e di rivolgermi alla Grande Casa Editrice. Alla Grande Casa Editrice mi hanno risposto che non ne sanno nulla, che per loro la rivista esiste ancora allo stesso numero di telefono e indirizzo, ma mi richiameranno e mi faranno sapere. Intanto io ho scritto un articolo e non so a chi l’ho venduto, se sarà pubblicato, se la testata esiste ancora.

Cominciate a vedere un pattern? Io sì….

Lucariello

LucarielloQuello che vedete alla mia destra è Lucariello, la voce degli Almamegretta, nonché artista solista in proprio. Io, va detto, digerisco poco rap e affini, ma per gli Almamegretta ho sempre fatta un’eccezione, e devo dire che anche l’album di Lucariello è sulla stessa linea: musica suonata, mediterranea, viscerale. Lui poi è un ragazzo simpatico, disponibile e niente affatto "montato",  mi ha fatto davvero un’ottima impressione. Stasera suona a Milano alla cascina Monluè, io probabilmente non riuscirò ad andarci, ma ve lo consiglio.
L’intervista sarà su AudioVideoFotoBild di luglio, e sarà online tra un paio di mesi.

Disco: Fear of a Blank Planet

Porcupine Tree Sono quasi due mesi che ho questo disco per le mani, avrei potuto recensirlo in anteprima assoluta, invece me lo sono tenuto finoad oggi (la recensione "ufficiale" è uscita un mese e mezzo fa su AudioVideoFotoBild, ma lì parlavo ai profani,qui invece vorrei riuscire ad arrivare al fondo di un disco, se decido di parlarne.
Il fatto è che Fear of a Blank Planet è un disco difficile. Se lo ascolto, non trovo critiche immediate da fargli, anzi, rimango ammirato per la qualità del suono e i tanti piccoli dettagli della composizione. Però, è innegabile, questo disco non mi entra in testa. Mentre anche in opere non proprio accessibili come Deadwing si poteva trovare il brano che tirimaneva in testa e faceva da chiave a tutto il resto, qui non c’è. Steven Wilson, che ho intervistato, mi ha detto che concepisce questo disco come un tutto unico, non come un insieme di canzoni, e per questo non si è preoccupato di inserire brani che si discostassero dall’atmosfera generale, piuttostoostica e cupa. E tuttavia non mi sono arreso, ho continuato ad ascoltarlo, e ad ogni ascolto ho notato nuovi dettagli, il che mi convince che non si tratti di un disco ostico per partito preso, ma solo di un’opera che richiede il suo tempo per essere assimilata.
Il brano iniziale è la title-track, e sembra un avanzo di Deadwing. Il sound è esattamente lo stesso, tanto che si potrebbe sospettare che i Porcupine Tree abbiano realizzato un album-clone (ma non è così). Comunque un buon inizio, ai livelli dei brani migliori del disco precedente. Segue My Ashes, il brano più breve (comunque oltre i cinque minuti!), introdotta da un pianoforte effettato alla No Quarter (secondo me in questo album i Led Zeppelin si sentono parecchio!). Un brano languido e melodico, che inizialmente non mi aveva impressionato ma che ora ritengo uno dei migliori del disco. Si evidenzia una delle novità principali di Fear of a Blank Planet, il sostegno del piano elettrico suonato da Wilson (che si affianca alle effettistiche tastiere di Richard Barbieri). Viene poi Anesthetize, il brano principale, con i suoi quasi 18 minuti di durata. Wilson me lo ha descritto come un brano che tenta di riassumere ogni possibile sound dei Porcupine Tree di ogni epoca, ed è un’ottima descrizione. C’è dentro veramente di tutto, dalla psichedelia degli esorti alla durezza metal dell’ultimo periodo. Ospite speciale Alex Lifeson dei Rush, che regala un potente assolo. Bisogna dire che l’album giustifica se stesso anche solo per questo brano.
Sentimental, la canzone successiva, è un brano melodico con gran tappeti d’archi, che può ricordare le atmosfere di Lightbulb Sun. Nonostante questo, per me è il punto debole del disco, non brutto ma alquanto poco incisivo. Non mi piace moltissimo nemmeno la successiva Way Out of Here: appartiene alla famiglia delle Halo o Strip the Soul, brani molto veloci ma un po’ senz’anima, non sono il forte di Wilson. La conclusione però è splendida: Sleep Together è costruita su un tappeto elettronico steso da Robert Fripp, e procede crescendo fino a un finale con archi zeppeliniani, davvero un modo eccellente per chiudere l’album.
Concludendo, direi che è senz’altro un buon disco, ed è apprezzabile lo sforzo dei Porcupine Tree di rinnovarsi e di alzare sempre la mira (tutto si può dire di questo disco, fuorché che sia commerciale, nonostante le accuse inevitabilmente piovute dopo l’approdo alla Roadrunner Records). Se siete dei fan dei Porcupine Tree potete acquistarlo (o preferibilmente scaricarlo, siamo realisti!) senza problemi, non credo resterete delusi. Se invece non li avete mai sentiti, è preferibile cominciare con qualcosa di (relativamente) più accessibile, tipo In Absentia

Colgo l’occasione per annunciare che il prossimo 1 giugno metterò on-line l’intervista completa a Steven Wilson. Rispetto a quella apparsa sul numero di AudioVideoFotoBild attualmente in edicola non c’è moltissimo materiale in più, ma qualcosa sì, e spero gradirete.

Film: Spiderman 3

Spiderman 3Sono andato a vedere Spiderman 3, e devo dire che la visione ha smentito quasi tutto quello che avevo sentito dire in proposito.
Si diceva che questo episodio fosse meno riuscito rispetto ai precedenti, e sono di parere contrario: credo invece che sia il migliore dei tre.
Si diceva che la sceneggiatura mette troppa carne al fuoco e non sviluppa a sufficienza il materiale presentato. In un certo senso è vero che con i personaggi di Spiderman 3 si potevano tranquillamente fare due film, forse anche tre. Ma secondo me questo è un fatto positivo, non negativo. E’ inutile aspettarsi più di tanto approfondimento dai personaggi di Spiderman, che non sono sfaccettati, ma rappresentano emozioni semplici e immediate. L’unico modo per ottenerne un film interessante è quello di moltiplicare personaggi e situazioni. E in questo film abbiamo una triade di avversari perfetta per mettere in luce i vari aspetti del nostro Uomo Ragno: l’Uomo Sabbia, il criminale per necessità; Goblin, il rivale; e Venom il doppio negativo.
C’era poi chi si lamentava della troppa importanza data alla storia d’amore tra Peter e Mary Jane. Ma secondo me sono critiche che vengono da chi non conosce il fumetto. Spiderman è sempre stato anche una soap opera, e credo che il film abbia dato a questo aspetto il giusto peso, sfiorando il trash senza mai caderci dentro del tutto. (Unico dubbio: non mi ricordavo che Gwen Stacey fosse così svampita; o sbaglio?)
Molti, infine, si sono detti infastiditi dal patriotitsmo a buon mercato della scena in cui Spidey appare di fronte a una sventolante bandiera americana. Ma, a pensarci bene, il film ha un messaggio politico evidente ed è di segno opposto rispetto a quello individuato dai suoi critici. Vediamo infatti Spidey che, spinto dal desiderio di vendetta, indossa un costume nero, diventa violento, si fa odiare da tutti. Quando si rende conto di avere fatto del male a degli innocenti e offre amicizia a quelli che prima aveva combattuto, ritrova i suoi veri colori e vince. E’ a quel punto che appare la bandiera, e a me sembra più che altro un trasparente auspicio che gli USA ritrovino se stessi, uscendo dall’arroccamento in cui ultimamente si sono rifugiati. Tutto il film, del resto, è un inno al perdono e al dialogo, quantomai raro in un genere cinematografico che spesso premia la vendetta e la violenza.
Concludendo: mi sono molto divertito e non mi sono annoiato un attimo. Questa serie resta beneficata da un casting assolutamente perfetto, e Tobey Maguire secondo me è davvero bravo nel rendere i lati caricaturali del suo personaggio senza farlo scadere in macchietta. Gli effetti speciali sono splendidi, l’azione è serrata, e il tutto si segue senza sforzo. Sam Raimi, poi ci mette dentro alcune scene davvero belle. A parte l’inquadratura giustamente già celeberrima dello Spiderman-gargoyle che vedete in figura, credo che la scena della nascita dell’Uomo Sabbia sia autentica poesia visiva, forse un po’ debitrice dell Hulk di Ang Lee, ma comunque ci ricorda che dietro la macchina da presa non c’è solo un professionista ma anche un artista.
Mentre entravo al cinema un ragazzino di circa otto anni mi ha guardato con aria incredula e mi ha detto con aria schifata: "Ma davvero ti piace Spiderman?!" Cosa devo dire, mi è piaciuto davvero. Secondo me potete andarci, come ha fatto mezzo mondo, e non rimpiangerete i soldi del biglietto.