Disco: Nil Recurring

NilRecurringTra le tante cose che apprezzo dei Porcupine Tree c’è anche il grande numero di brani prodotti al di fuori degli album veri e propri. Anche e soprattutto perché si tratta spesso di pezzi rimasti esclusi dalla pubblicazione per problemi di affinità tematica o musicale, ma che di per loro sono di qualità del tutto paragonabile a quella dei brani inclusi. Inoltre i PT hanno l’abitudine di suonare questi brani anche dal vivo in concerto, senza escluderli a causa della ridotta esposizione al pubblico; e questo è un ulteriore stimolo ad andarseli a cercare.
Ora i PT hanno pubblicato un minialbum con quattro brani registrati duranti la produzione di Fear of a Blank Planet, per una durata complessiva di mezz’ora. L’ho ordinato e ricevuto, e ne sono rimasto pienamente soddisfatto.
La title-track, Nil Recurring, è uno strumentale con la partecipazione di Robert Fripp alla chitarra solista. Stilisticamente ricorda un incrocio tra In Absentia (forse il miglior disco dei PT) e il Fripp degli ultimi ProjeKCts. Il contributo frippiano è decisamente più interessante rispetto all’ormai scontata frippertronics fornita nell’album vero e proprio, e in generale il brano può confrontarsi con i migliori strumentali della band.
Il brano successivo, Normal, è la perla del mini album. Tiratissimo e sostenuto da un velocissimo arpeggio di chitarra acustica (un inedito per Steven Wilson), regge il confronto con i migliori pezzi di In Absentia, e fa capire che l’unico motivo per cui questi brani sono stati tenuti da parte è lo stile troppo poco innovativo rispetto al passato, non certo la scarsa ispirazione.
Il terzo brano, Cheating the Poligraph, è cofirmato da Gavin Harrison, e probabilmente è nato da una sua improvvisazione alla batteria. È molto interessante dal punto di vista ritmico, ma forse un po’ divagante. Il sound ricorda quello di Deadwing.
Chiude il minialbum What Happens Now?, un brano decisamente atipico. Lungo più di otto minuti, rimanda al periodo più pop e melodico dei PT ma, più ancora, a una delle altre band di Steven Wilson, i No-Man. Non solo per l’insolito loop di percussioni, ma più ancora per la presenza del violino elettrico di Ben Coleman, che dei No-Man fu membro.
In conclusione, mezz’ora di ottima musica, forse meno innovativa di quella contenuta in Fear of a Blank Planet, ma anche più accessibile. Mi sentirei di consigliarla non solo ai fan dei Porcupine Tree (per i quali è imprescindibile), ma anche a chi non ha mai ascoltato la band e vuole farsene un’idea a poco prezzo (sto scherzando: lo so che per quello ci si può scaricare la discografia completa su eMule). Però il disco è in edizione limitata e già esaurito. Potrete trovarlo in vendita ai prossimi concerti della band.

"Solo" 17 anni

Leggo che c’è chi dice che l’ex brigatista arrestato a Siena per rapina abbia ricevuto i benefici troppo presto, dopo "solo" 17 anni. Sinceramente mi sembrano dichiarazioni prive di senso. diciassette anni sono un periodo di tempo lunghissimo, in particolare se privati della libertà. Non ha senso dire che sono troppo pochi: se una persona non cambia in 17 anni, allora non sono sufficienti neppure 25 o 50.
Bisognerebbe capire una volta per tutte che, se si parte dal principio che la pena deve riabilitare il condannato, allora bisogna concedergli una possibilità dopo un ragionevole periodo di buona condotta. E, se si decide che questa possibilità va concessa, allora ci saranno sempre dei casi in cui la fiducia si rivela malriposta. I magistrati non possono entrare nella testa delle persone, non si può evitare che un carcerato che all’interno del carcere si è comportata bene decida ditornare a delinquere una volta fuori. E’ semplicemente un rischio che bisogna correre e accettare, se si vuole dare ai condannati la possibilità di redimersi.
Oppure decidiamo che non vogliamo fidarci, e che non ci devono essere benefici e sconti di pena per nessuno. Ma allora diciamolo chiaramente, ed evitiamo questi discorsi del troppo e del poco, che non hanno alcun senso.

I am back to save the universe

RadioheadFino a ieri la notizia era: i Radiohead stanno registrando un album senza avere un contratto con una casa discografica. Oggi la notizia è che continueranno a farne a meno.
Chi si reca sul sito della band può prenotarsi per ottenere il disco direttamente, secondo due modalità alternative.
Se siete dei fan sfegatati o degli audiofili persi, pagando circa 58 € si ottiene il diritto a scaricare i file del nuovo album, e a ricevere successivamente a casa, tra un paio di mesi, il cosiddetto discbox, cioè una confezione contenente il CD-Audio del nuovo album, un secondo CD-Audio contenente altri brani inediti e immagini, e una seconda versione dell’album su doppio vinile.
Ma ora viene il bello. Se vi accontentate di scaricare i file dal sito, potete farlo al modico costo di… quello che volete. Proprio così, l’offerta è libera. Potete remunerare l’artista con la cifra che potete permettervi e vi sembra opportuna.
A me questa sembra una mossa rivoluzionaria, ben al di là degli incerti tentativi di autopromozione o marketing virale portati avanti da altri musicisti. Qui i Radiohead stanno dicendo, senza possibilità di equivoco, che la loro musica è di tutti, che chiunque può usufruirne senza problemi. E c’è da scommettere che sarà una mossa vincente e che tra contributi liberi, discbox e concerti incasseranno molto più di quanto avrebbero ottenuto affidandosi alla distribuzione di una casa discografica, piccola o grande che sia. Poi dicono che i musicisti rock non possono cambiare il mondo.
(Unico neo: non hanno indicato in che formato saranno i file da scaricare. Ma scommetto che ci sarà ampia scelta.)

Qualche giorno fa ho intervistato al telefono un vecchio arnese del rock’n’roll come Francis Rossi degli Status Quo. Mi ha detto: “Se le case discografiche sono in declino è perché hanno guadagnato troppi soldi. Gira troppo denaro, c’è gente che pretende di girare il mondo in jet e trovare ad aspettarlo in ogni città il suo cibo preferito, il suo drink preferito e una prostituta a disposizione. Mentre i giovani artisti hanno sempre meno occasioni. È necessario trovare un diverso equilibrio.” Come dirlo meglio?

(Questo post l’avevo scritto per Macchianera, solo che un problema tecnico mi ha impedito di inviarlo laggiù. Ora l’ho fatto, in maniera leggermente più meditata.)

Tu vuoi fare il talebano

TalebanoCirca sei mesi fa, il Ministro degli Esteri Massimo D’Alema avanzò la proposta di pace in Afghanistan che avrebbe dovuto comprendere anche i talebani. Oggi il presidente afgano Karzai fa una proposta che si spinge oltre, e chiede ai talebani di entrare addirittura al governo del Paese.
Di per sé, in questo non c’è nulla di straordinario. Se c’è una guerra in corso, i casi sono due: o ci si propone di annientare completamente l’avversario (cosa sicuramente non praticabile nella situazione afghana), o ci si si rassegna a trovare un accordo con lui, per quanto odioso ci possa sembrare. Non posso giudicare quanto sia seria la proposta di Karzai e quante speranze abbia di essere accolta, ma  credo sicuramente che sia un passo nella giusta direzione.
Il motivo per cui scrivo questo post, però, è che vorrei sapere cos’hanno da dire ora tutti quei soloni che, solo pochi mesi fa, dalle pagine del Corriere della Sera si sono scagliati contro D’Alema giudicando la sua proposta, pericolosa, irrealizzabile, insensata, lesiva del prestigio del nostro Paese, frutto avvelenato di un’intesa con la sinsitra radicale a scapito della lotta al terrorismo.
Si chiede spesso ai politici incompetenti di togliersi di mezzo. Ma un giornalista che sbaglia le proprie analisi in modo così grossolano, non dovrebbe anche lui lasciare il posto a qualcun altro?

Io non c'ero

NoVDayMolte persone che conosco, sia personalmente che telepaticamente, sono andate al Vaffanculo Day, e hanno esortato me a fare altrettanto. Non ci sono andato: ho già espresso in passato perplessità riguardo a Beppe Grillo, e col tempo i miei dubbi non hanno fatto altro che aumentare.

Premetto che a mio parere Grillo ha sicuramente dei grossi meriti. Ha parlato più volte di questioni importanti che altrimenti sarebbero rimaste del tutto inosservate, e spesso lo ha fatto molto bene. Basterebbe, credo, la denuncia della situazione Parmalat che ha fatto un anno prima che scoppiasse il famoso scandalo per riconoscergli di aver saputo fare informazione spesso molto meglio dei canali “ufficiali”. Dirò di più: se si limitasse a informare, a sottolineare storture e anomalie, lo sosterrei al 100%. Purtroppo però Grillo non si limita a questo. Grillo propone, e chiede alla gente di sostenere le sue proposte. E qui cominciano i guai, perché sono spesso approssimative, sballate e controproducenti. 

Cercando nel sito di Grillo si trova di tutto. Per esempi, parliamo della semplificazione amministrativa. In molti hanno detto che i comuni italiani sono troppi e spesso troppo piccoli, e che le province sono enti inutili che non hanno ragione di esistere. Ma Grillo va oltre e propone: soppressione delle province e delle comunità montane, istituzione di tre macroregioni di circa 19 milioni di abitanti ciascuna […], accorpamento degli ottomila comuni riducendoli a un centinaio. C’è di che rimanere perplessi. Tre macroregioni? Ma le regioni devono servire a gestire le situazioni locali, come si fa a pensare che una regione che accorpa veneti, piemontesi, lombardi, liguri e così via, possa svolgere meglio il suo compito? Una regione del genere, in un contesto di ampie differenze locali come quello italiano, sarebbe simile a un piccolo stato. E, in effetti, l’idea delle macroregioni era stata proposta in primo luogo dai leghisti come anticamera della secessione del Nord e dello smembramento dell’Italia. Non sembra proprio una buona idea. Quanto al resto, non riesco a vedere alcun buon motivo per la soppressione delle comunità montane. Riguardo alla riduzione del numero dei comuni siamo d’accordo, ma… un centinaio? Non sono un po’ pochi? Diventerebbero grandi come delle province, che sono per l’appunto un centinaio. Ma allora cosa si fa? Si aboliscono le province, e poi le si reintroduce chiamandole comuni? Insomma, in materia di riforme amministrative Grillo fa semplicemente delle chiacchiere da bar sport, per giunta riecheggiando idee care ai leghisti. Non mi pare il caso di dargli retta.

Un altro esempio? La soppressione delle sovvenzioni alla stampa, che a quanto pare potrebbe essere l’obiettivo della prossima legge di iniziativa popolare proposta dai sostenitori di Grillo. Ora, ammetto di essere di parte, in quanto giornalista, ma anche questa a me non sembra proprio una buona idea. Sono il primo a dire che è scandaloso che un paio di deputati possano ottenere fiumi di euro per tenere in piedi i loro giornaletti personale che nessuno legge e servono solo per dare stipendi ai loro portaborse, o che ci siano editori che riescono a scroccare fior di soldi allo Stato grazie a copie stampate e non distribuite o a finti giornali che in realtà contengono solo pubblicità. Ma abolire del tutto le sovvenzioni alla stampa perché ci sono degli imbrogli equivarrebbe a eliminare le pensioni di invalidità perché ci sono i falsi invalidi. La stampa italiana è, per l’appunto, invalida. Nel nostro paese si legge pochissimo, e la rivista media in Italia vende poche migliaia di copie, quando l’equivalente in un’altra nazione europea ne vende decine di migliaia. Sospendere le sovvenzioni significherebbe la morte di numerosissime testate. Ed è piuttosto ingenuo pensare che in questo modo si taglierebbero i rami secchi e rimarrebbero in vita le testate migliori e più libere. Al contrario, sopravviverebbero solo quelle legate a interessi economici ben precisi. Per quanto male si possa pensare della stampa odierna, è tutto da dimostrare che un simile trattamento le farebbe bene.

Venendo poi alle proposte del Vaffanculo Day, avevo già esposto i miei dubbi in un post di parecchio tempo fa. La validità delle mie critiche di allora rimane immutata. C’è poi da aggiungere che la richiesta di tenere fuori dal Parlamento anche chi è stato condannato nel primo grado di giudizio va contro tutta la nostra civiltà giuridica, che vuole l’imputato innocente fino alla condanna definitiva. Come hanno già fatto notare in molti, la proposta di legge è perciò palesemente incostituzionale, e non ha alcuna speranza di diventare esecutiva.

Molti dicono che non bisogna soffermarsi troppo su quello che dice Grillo, che in fondo quello che conta è che ha stimolato la partecipazione politica, e via dicendo. Ma io non sono d’accordo. Credo che un politico (e Grillo, nel momento in cui si fa promotore di proposte di legge, diventa un politico, checché ne dica lui) vada giudicato in base a quello che propone, e non ai sentimenti che veicola. Quelli che dicono “appoggio Grillo anche se non sono d’accordo con tutte le sue proposte, perché quello che ci vuole ora è un cambiamento”, mi ricordano quelli che nel 1994 dicevano la stessa cosa di Berlusconi. All’epoca un sacco di gente diceva che il Cavaliere era quello che ci voleva per spazzare via tutto il vecchio, poi sarebbero arrivati dei politici autentici che avrebbero preso il suo posto. Sappiamo bene com’è finita. Io non me la sento di dare il mio appoggio a qualcuno che fa proposte in tutte le direzioni senza che sia chiaro quello che vuole fare, e intanto ha costruito un movimento politico e punta già a influenzare le prossime elezioni amministrative. Io spero che gli amici del V-day abbiano ragione, e so che la maggior parte di loro appoggia Grillo per ragioni giustissime. Ma io sento puzza di bruciato, e non vorrei un giorno dovermi pentire di aver dato con leggerezza a qualcuno gli strumenti per fare danni.

In memoria: Joe Zawinul

Anche Joe Zawinul ci ha lasciato.Non sto a dirvi che grande, importante, fantastico gruppo siano stati i suoi Weather Report, perché dovreste saperlo già e, se non lo sapete, ci sono siti molto più esaurienti dove scoprirlo.
Dirò solo che Zawinul mi era enormemente simpatico perché suonava il synth, e lo faceva benissimo. Da questo punto di vista, è un fenomeno quasi unico. Molti grandi tastieristi jazz hanno suonato tastiere elettriche ed elettroniche durante gli anni ’70 e ’80, alcuni anche con grandissimi risultati. Però quasi tutti (da Herbie Hancock a Chick Corea a Lyle Mays, per non parlare di Ketih Jarrett) hanno in seguito fatto capire che i sintetizzatori possno essere divertenti, ma il loro vero strumento è il pianoforte. Lui no: Joe fino all’ultimo ha suonato circondato da una decina di tastiere elettroniche, con altrettanti pedali di espressione sotto i piedi, ottenendo una raffinatezza di suono che non aveva nulla da invidiare a qualsiasi strumento acustico. Adesso purtroppo è morto (e, se non ci fosse Leon Gruenbaum, mi verrebbe da dire che nel jazz non esiste più nessuno a suonare le tastiere elettroniche in modo creativo). Tanto di cappello, Joe. Chissà quanta gente in futuro ascolterà quelle prime note di basso di Birdland (quella, ahimè, rubata dall’amaro Ramazzotti per la Milano da bere…) senza sapere che a produrle non era il basso di Jaco Pastorius, ma il tuo synth ARP 2600…

Una buona (?) notizia

Ieri, prendendo la metropolitana per andare al lavoro, ho avuto una gradita sorpresa: ha ripreso a uscire E Polis, che aveva sospeso le pubblicazioni un paio di mesi fa.
Forse qualcuno si sorprenderà del mio gradimento, visto che di recente ho stigmatizzato piuttosto violentemente una delle iniziative del quotidiano semigratuito. Ma, al di là del mio dissenso su certe campagne di stampa, resta il fatto che leggo E Polis volentieri. È lontano anni luce da tutti gli altri free press pieni di fuffa che vengono fatti circolare. Su E Polis una notizia può essere approfondita anche per diverse pagine e, soprattutto, c’è una grande quantità di commenti con firme interessanti. La linea politica è equliibrata, e ci puoi trovare un ampio spettro di opinioni (personalmente non ho in alcuna simpatia il centrismo e il cerchiobottismo, però trovo rinfrescante un quotidiano che non appaia immediatamente schierato da una parte o dall’altra; peraltro, Wikipedia lo definisce senza mezzi termini un quotidiano di sinistra, forse perché in Italia un quotidiano per essere di destra deve essere volgare e fazioso senza remore, del resto c’è chi definisce di sinistra anche il Corriere della Sera…). Non voglio dire che sia il miglior quotidiano possibile, però è l’unica cosa leggibile tra le tante che nel corso della giornata cercano di mettermi in mano gratis.
È interessante anche il modo in cui veniva realizzato E Polis: con piccolissime redazioni locali, un desk unico a Cagliari, e tantissimi collaboratori via Internet. Sono cose che lasciano un po’ perplessi, perché provano che la redazione tradizionale sta scomparendo ovunque, anche nei quotidiani, e non credo sia una bella cosa. Però E Polis garantiva comunque un contratto di collaborazione accettabile a molte decine di giovani collaboratori, e non è un fatto da sottovalutare.
Peccato però che le cose stiano cambiando (ed è il motivo del punto interrogativo nel titolo). Pare infatti che il nuovo finanziatore abbia preteso che i giornalisti accettassero la chiusura di tutte le redazioni, tranne quella centrale: telelavoreranno tutti. C’è anche chi dice che il contratto di lavoro è stato violato. Non ne so abbastanza per commentare. Mi limito a sottolineare che in Italia un quotidiano che ha tentato di avviare un’impostazione innovativa si è presto trovato in difficoltà, ha chiuso per due mesi, ora riapre in condizioni difficili, e questo nell’indifferenza quasi generale. Per trovare qualche notizia occorre andare sui blog. Ma perché meravigliarsi? In Italia a chi ha cercato di innovare nel campo del giornalismo è andata quasi sempre male…