Webcomic: Alien Loves Predator

Alien Loves PredatorTitolo e link: Alien Loves Predator
Lingua: Inglese
Tipologia: Comico
Formato: Strip o tavole di formato variabile
Colore o b/n: Colore
Cadenza: Due volte la settimana (decisamente irregolare)
Continuità: Storie singole si alternano con archi di storia che fanno evolvere i personaggi
Gergalità: Elevatissima, molto slang e oscuri riferimenti alla cultura popolare USA
Elementi fantastici: Numerosi. Beh, i protagonisti sono un alien e un predator, ho detto tutto
Violenza: Occasionalmente anche molto elevata, ma sempre di tipo splatter-fumettistico
Autoreferenzialità: Nessuna
Archivio: L’intero corpo del fumetto è disponibile online
Giudizio: (7)

Alien Loves Predator racconta le scombinate peripezie di due scapoli newyorchesi che condividono uno squallido appartamento a Manhattan. I due assomigliano alquanto ai protagonisti di La strana coppia: Preston è occhialuto, sensato, un po’ timido dietro la sua scorza burbera e sarcastica, Abe è invece irragionevole, pasticcione e assolutamente spudorato. Ah, c’è un’ulteriore differenza: Abe è un alien, e Presto un predator, anche se i due sembrano essersi perfettamente integrati tra loro e a New York, e la cosa non sembra creargli il minimo problema (i problemi li ha semmai Abe con sua madre, una terrificante hive mother). Al duo si aggiungono occasionali compagni di stanza: nei primi tempi hanno convissuto con Gesù, che aveva intrapreso la carriera di giocatore di baseball. Attualmente vivono con Corinna, una ragazza sensitiva. L’ex-presidente Bill Clinton e un cameriere cinese in grado di viaggiare nel tempo sono altri personaggi ricorrenti.
Le storie di Alien Loves Predator sono una sequela di nonsense e giochi di parole, che personalmente trovo divertentissimi, perlomeno quando li capisco (cioè non sempre). E’ anche il tipo di umorismo che lascia molti completamente indifferenti, per non dire disgustati. La cosa più bella di questo fumetto, comunque, e la tecnica esecutiva. E’ realizzato con foto di giocattoli e action figures, sovrapposte a sfondi realistici ed elaborate con Photoshop. Il risultato è davvero fenomenale, e vale almeno una visita.

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Webcomic: Ctrl Alt Del

EthanTitolo e link: Ctrl Alt Del
Lingua: Inglese
Tipologia: Comico, nonsense
Formato: Strip di quattro vignette
Colore o b/n: Colore
Cadenza: Tre volte la settimana (estremamente regolare)
Continuità: Storie singole del tutto isolate si alternano con archi di storia che durano anche diverse settimane e fanno evolvere i personaggi
Gergalità: Elevatissima, centrata sul mondo dei videogiochi
Elementi fantastici: Numerosi. Uno dei personaggi è un robot, e ci sono molti sconfinamenti nel fantastico, anche se molte storie potrebbero svolgersi anche nel mondo reale
Violenza: Occasionalmente anche molto elevata, ma sempre di tipo splatter-fumettistico, esagerata al punto di esssere innocua
Autoreferenzialità: Scarsa (l’autore è apparso nel fumetto in un paio di occasioni)
Archivio: L’intero corpo del fumetto è disponibile online
Giudizio: (9)

Ctrl Alt Del racconta le scombinate avventure di una banda di videogiocatori. Il protagonista assoluto è Ethan (autoritratto dell’autore, vedere nelle foto), un ragazzo che vive letteralmente per i videogiochi, capace di compiere le azioni più sconsiderate a causa della sua passione. Ethan è un concentrato di difetti: impulsivo, totalmente avulso dalla realtà, imbranato e incline a combinare disastri e a provocare danni a sé stesso e agli altri, incpace di amministrarsi. Ha però una sua bontà di fondo; inoltre la totlae dedizione con cui si dedica ai compiti più strampalati lo portano spesso a ottenere risultati impensabili. Suo compagno di stanza è Lucas, altro appassionato di videogiochi, che sembra molto più normale e con i piedi per terra, ma solo perché è Ethan il termine di confronto. Lucas è particolarmente sfortunato con le donne, mentre Ethan ha una ragazza fissa, Lilah, anche lei videogiocatrice. Era una vicina di casa, ma ora vive con Ethan e Lucas. Il quarto inqulino dell’appartamento è Zeke, una console Xbox che Ethan ha trasformato in un robot senziente durante uno dei suoi exploit. Infine, nell’appartamento vive anche Scott, misterioso hacker che non lascia entrare nessuno nella propria stanza. Scott è un seguace di Linux, e ha un pinguino domestico di nome Ted, che Ethan odia di un odio tanto immotivato quanto feroce. Attività principale del gruppo è reagire ai disastri combinati da Ethan per soddisfare la sua folle passione. Il corso del fumetto viene a volte interrotto da intermezzi che sono parodie di videogiochi famosi o di abitudini dei videogiocatori, nonché delle apparizioni dello chef Brian, un personaggio dall’assoluta e radicale mancanza di senso.
Ctrl Alt Del è un fumetto assolutamente professionale, con disegni di alta qualità e aggiornato con regolarità assoluta, il che spiega come l’autore, nonostante sia giovanissimo, sia riuscito a trasformarlo in breve tempo in un successo commerciale. Per poterlo capire bisogna avere una conoscenza almeno superficiale del mondo dei videogiochi. Per il resto, io lo trovo divertentissimo: è la somma di vari tipi di umorismo molto diversi tra loro, ed è qualitativamente molto solido: è raro che una storia non mi faccia almeno sorridere, e spesso mi fa letteralmente sganasciare.

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Il mese del webcomic

fumettoQuesto blog ha bisogno di essere un po’ vivacizzato. Pertanto decreto che febbraio sarà il mese del webcomic. Per tutto il mese, ogni giorno, presenterò una breve recensione di un fumetto pubblicato sul web. Spero di farcela, d’altronde ho scelto apposta il mese con il minor numero di giorni. 😉

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La controparte

Papa e ImperatoreRecentemente il Presidente della Repubblica si è espresso a favore del raggiungimento di un accordo sui famosi PACS. Per quelli che vedono questo elementare riconoscimento di diritti come il demonio, il Presidente ha fatto malissimo a esprimere questo auspicio. Per altri, ovviamente, ha fatto bene. Io mi limito a constatare che l’obiettivo indicato da Napolitano non è quello di fare una legge che soddisfi una richiesta che proviene da gran parte dei cittadini, bensì quello di trovare un accordo che tenga conto della volontà della Chiesa. Da quando la Chiesa cattolica è una controparte con cui vanno contrattati i diritti dei cittadini? Purtroppo in Italia lo è da sempre, e temo lo sia ancora. Possiamo avere eletto un Presidente ex-comunista, ma il potere di interdizione del clero, invece che calare, cresce. Una volta, perlomeno,di fronte a un discorso così palesemente ossequioso, qualcuno si sarebbe scandalizzato. Ma oggi, dagli ex-sessantottini come Giuliano Ferrara agli ex-radicali come Francesco Rutelli, tutti fanno a gara nel baciare la pantofola.

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Libro: Jonathan Strange & il Signor Norrell

Jonathan Strange e il signor NorrellNell’Inghilterra del 1300, un uomo ritornò dai Regni Fatati alla guida di un esercito di elfi e, grazie alla propria magia, si incoronò Re del Nord. Gli uomini lo chiamavano il Re Corvo, e regnò per trecento anni prima di scomparire nel nulla. Ora siamo nel XIX secolo, l’Inghilterra combatte Napoleone, le creature fatate sono tornate a essere materia di leggenda, e la magia è diventata una questione per noiosi eruditi, che è storicamente esistita ma che nessuno più è in grado di mettere in pratica. Nel giro di breve tempo, però, appaiono due uomini che sono nuovamente in grado di praticare la magia. I due sono uniti dal sogno di far rinascere la magia inglese, ma sono profondamente diversi, in tutto, e gli scontri sono inevitabili. Alla fine scopriranno entrambi che aver risvegliato la magia ha un prezzo che non avevano previsto.

Jonathan Strange & il Signor Norrell non è certamente il "solito" libro fantasy. Per cominciare, è scritto con uno stile ispirato a quello di Jane Austen (ma a me ha ricordato anche Dickens), cosa che già di per sé ha messo in fuga, per quanto ne so, più di un lettore non abituato a simili ricercatezze. Inoltre è un libro che frustra deliberatamente le aspettative del lettore, dissimulando abilmente gli eventi importanti collocandoli tra mille altri dettagli, tanto che ci si chiede continuamente se mai si arriverà al dunque; e poi, dopo seicento pagine, per così dire, di "introduzione", di colpo la vicenda piomba nel vivo, tutti i dettagli vanno al loro posto, e il romanzo si rivela molto più cupo, orrorifico e disturbante di quanto le leziosaggini precedenti lasciassero immaginare. Per me questi, beninteso, sono dei pregi; ma, se a voi suonano come dei difetti, allora è meglio che non cominciate neppure la lettura: non arrivereste in fondo.

Confesso che in qualche punto anch’io ho provato una punta di irritazione per le divagazioni tutte inglesi cui l’autrice ci sottopone; e sono tuttora convinto che alcuni episodi, per esempio la lunga rivisitazione della battaglia di Waterloo, siano superflui o comunque si prolunghino più del dovuto. E confesso anche che tuttora sono perplesso sulle motivazioni che hanno spinto la Clarke a scrivere questo libro, il cui significato appare sottile e sfuggente. Ma, come accade con i grandi romanzi, questo non è un ostacolo al godimento della storia. Il fascino del mondo magico di Norrell e Strange è tale da non dover essere giustificato. Proprio come la magia che descrive, così diversa da quella ormai standardizzata della quasi totalità del fantasy moderno, non si lascia imbrigliare in sovrastrutture teoriche, "è" e basta, a disposizione di tutti coloro che vorranno affrontarlo, rischiando di farsene ammaliare.

Questo post appare anche su Il Leggio.

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Film: Bobby

BobbyUna giornata nella vita di un gruppo di persone, ospiti e impiegati dell’albergo in cui, la sera stessa, verrà assassinato Robert Kennedy. In mano a un regista come il compianto Robert Altman, un tema così avrebbe potuto generare un capolavoro. Purtroppo però il regista e sceneggiatore è Emilio Estevez, attore di secondo piano e autore di pochi e dimenticabili film tipo Il giallo del bidone giallo. Il risultato è che, invece che un film corale le cui storie parallele ci comunicano il senso di un’epoca, come indubbiamente avrebbe voluto l’autore, abbiamo una serie di siparietti in cui attempate star hollywoodiane interpretano storie stereotipate, monche e gonfie di retorica. Sembra di essere in uno di quei disaster movie in cui gli attori si agitano quel tanto che basta per rendersi riconoscibili dal pubblico, tanto poi arriverà il terremoto, l’incendio o l’eruzione vulcanica a cancellare tutto. Solo che qui, quando il disastro (l’assassinio di Kennedy) arriva, il film, invece che entrare nel vivo, finisce.
Non è che manchino gli elementi di contatto con la realtà politica e sociale dell’epoca, che sono anche numerosi (iragazzi che si sposano per evitare il Vietnam, l’LSD, la discriminazione razziale…), solo che le storie non decollano mai, e a volte sono veramente superflue (in particolare quelle dei personaggi interpretati da Anthony Hopkins e Martin Sheen, rispettivamente produttore del film e padre del regista, che sembrano avere il solo scopo di permettere ai due vecchietti di comparire ancora sullo schermo). Alla fine, il film ha un unico merito: quello di farci ascoltare un gran numero di discorsi di Robert Kennedy, che in 40 anni non hanno perduto nulla della loro forza, e ci lasciano in imbarazzo al pensiero dei politici di oggi.

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Pronounced Leh-Nerd Skin-Nerd

LinguaIn Italia, non so bene per quale motivo, talvolta diventano di uso comune delle pronunce del tutto fantasiose dei nomi propri inglesi e americane. Dico fantasiose perché non si tratta delle storpiature che potrebbe fare chi non conosce le regole della lingua inglese, ma di invenzioni del tutto immotivate, che non si capisce bene da dove siano saltate fuori, e che pure tutti usano. Per esempio, lo scrittore H. P. Lovecraft viene chiamato da numerosissime persone, inclusi insigni studiosi dell’argomento, Lovercraft.
Da dove sia saltata fuori quella “r” è un mistero assoluto. Il nome è composto da due parole inglesi di uso comune, “love” e “craft”, affiancate, quindi non ci dovrebbero essere dubbi sul modo di pronunciarlo. Eppure…
Un caso molto simile è quello di Skype. Che in Italia il 90% delle persone pronuncia “skaipi”, aggiungendo una “i” in fondo. Non è chiaro quale ragionamento stia dietro a questa storpiatura, anche se un sospetto ce l’ho: forse si fa l’analogia con un altro marchio celebre, Nike. Che in effetti si pronuncia “naiki”, invece che “naik”, come sarebbe naturale. Ma quello è un caso particolare, perché è una parola greca riportata in inglese. Per Skype, la cosa più logica sarebbe pronunciarlo come le parole inglesi che terminano allo stesso modo, come “type” e “hype”. Oppure, se si hanno ancora dei dubbi, andare a guardare le FAQ del sito ufficiale di Skype, dalle quali risulta senza ombra di dubbio che la  pronuncia ufficiale è “skaip”. Tenetelo a mente. 

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In memoria: Michael Brecker

Michal BreckerHo saputo solo ora che Michael Brecker ci ha lasciato sabato scorso, a causa di una rara malattia del sangue che lo aveva colpito qualche anno fa e che non si è riusciti a curare.
Il mio primo ricordo di lui risale ai primi anni ’80, quand’ero al liceo, e a una festa uno dei miei compagni di classe mise su un brano stranissimo, in cui uno strumento che sembrava una specie di sax elettronico percorrreva scale che partivano sottoterra e finivano in cielo, superando l’estensione di un pianoforte. Il brano era In a Sentimental Mood di Duke Ellington, lo strumento era un Akai EWI, e a suonarlo era lui, Michael Brecker, che col gruppo degli Steps Ahead aveva sviluppato uno stile elettronico personalissimo, simile a quello di Pay Metheny con la chitarra (e infatti i due suonarono spesso insieme). Era uno di quei musicisti che sapevano suonare bene in qualsiasi contesto, passava dalla fusion elettronica degli Steps Ahead al jazz-funky insieme a suo fratello Randy, dalle canzoni di Paul Simon al perfetto stile coltraniano di molti suoi album solisti. Era un solista incontenibile, ma anche un perfetto accompagnatore, come si può ascoltare, per esempio, nello splendido Shadows and Light di Joni Mitchell, dove un’intera band di sogno era al servizio della voce roca e affascinante della cantautrice canadese.
Purtroppo non si è mai trovato il donatore le cui cellule staminali di midollo fossero compatibili con le sue. Ora abbiamo solo la sua musica a ricordarcelo. Andatevi a cercare un suo brano, uno qualunque, e anche voi non lo dimenticherete.

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Film: Giù per il tubo

Flushed awayRoddy è un topolino domestico, soddisfatto di vivere in una gabbietta dentro un lussuoso appartamento londinese. Quando un topone di fogna invade il suo regno, nel tentativo di scacciarlo Roddy finisce nello scarico del cesso e si trova proiettato in una Londra in miniatura, abitata da topi e costruita nelle fogne. L’unica a dargli una mano sarà Rita, un’avventurosa topolina minacciata da un gruppo di topi-gangster al servizio di una rana folle.
Il film è prodotto dalla Dreamworks ma realizzato dalla Aardman, la gloriosa casa di produzione famosa per le animazioni in stop-motion dei pupazzi di plastilina, come nella serie di Wallace & Gromit. Questa volta però il film è realizzato interamente al computer (pare che il motivo siano le molte scene sull’acqua, impossibili da girare con la plastilina), anche se personaggi e scenografie hanno mantenuto interamente l’aspetto che avrebbero se fossero stati costruiti a mano. In effetti è proprio questo il principale pregio di Giù per il tubo: le splendide scenografie colme di piccolissimi dettagli. Ogni scena dovrebbe durare parecchi minuti per consentire di apprezzare ogni particolare degli ambienti della città dei topi, costituiti da ogni sorta di oggetti di recupero a imitazione degli equivalenti umani. Purtroppo il montaggio troppo veloce da film d’azione permette di guardarli solo per fugaci momenti.
E’ stato sostanzialmente mantenuto lo stile Aardman, fatto di gag appena accennate (lo scarafaggio che legge Kafka), personaggi ben caratterizzati, regia che strizza l’occhio ai classici del cinema. Quello che manca, purtroppo, è una storia davvero significativa: qui lo spunto è solo un blando canovaccio per avventure e inseguimenti, divertenti ma anche prevedibili e senza gran costrutto. Dignitoso e apprezzabile, ma sicuramente non indispensabile.

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Delurking day

lurkerScopro ora una cosa che ignoravo. Oggi, 13 gennaio, è il delurking day, festività che va celebrata nel seguente modo: tutti coloro che frequentano un blog ma non si sono mai fatti vivi lasciando commenti devono farlo oggi. Non sono tenuti a scrivere nulla di interessante o di particolare, giusto far sapere che ci sono.
Io ho serissimi dubbi che questo blog sia frequentato da chiunque non sia da me conosciuto personalmente o perlomeno frequentato assiduamente per via telematica. Ma se qualcuno vuole dimostrarmi che mi sbaglio (o comunque farmi sapere che mi legge), lasci pure un commento qui.

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